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Contos de foghile – La scomunica di Ollolai.

Scritto da ztaramonte

“Leggende sarde” di Grazia Deledda, a cura di Dolores Turchi, Roma, Newton Compton Editori, 1999, collana Italia Tascabile, 8

Radicatissima è ancora nel popolino sardo la credenza che la scomunica del papa o magari di un semplice sacerdote, apporti davvero maledizione su chi è lanciata e sulle sue generazioni.

A tal proposito ho trovato fra le altre questa leggenda. In un villaggio del circondario di Nuoro c’era un ricco monastero i cui frati spadroneggiavano non solo sulle loro proprietà e sui loro sottoposti, ma in tutte le terre e gli abitanti vicini. Perciò erano sommamente malvisti, e già, segretamente, gli abitanti del villaggio avevano inviato molte suppliche al Santo Padre perché mettesse un freno alle angherie loro. Ma a Roma si pensava ad altro che al piccolo villaggio sardo: allora un gruppo di giovini un po’ scapestrati e senza pregiudizi decise di far qualche tiro ai monaci, che li screditasse presso il papa e segnasse la loro rovina. L’occasione li favorì stranamente. Un giorno di festa, in cui nella chiesa del monastero si facevano solenni funzioni, morì improvvisamente un bambino, forse figlio d’uno dei congiuranti contro i monaci. Senza che nel villaggio se ne spargesse la notizia quei giovanotti presero il cadaverino e lo gettarono, di notte, in un pozzo del chiostro.

L’indomani tutto il villaggio commentava la scomparsa del fanciullo, che il giorno prima era stato veduto aggirarsi, sano e lieto, con gli altri bambini della sua età, per le navate della chiesa dei monaci. E cerca e cerca e cerca fu finalmente ritrovato il cadavere nel pozzo! Figurarsi l’indignazione e il furore del popolo! Perché subito si disse che il bimbo era stato trucidato dai frati, chissà perché. A stento se la scamparono, ma giunta la notizia dell’immane delitto alla corte del Giudice di Logudoro questi, d’accordo col papa, mandò un bando, che il monastero venisse distrutto e i monaci cacciati in esilio.

Invano i poveretti cercarono giustificarsi; né a Roma né in Ardara, sede allora dei Giudici, fu concesso loro né ascolto né pietà. Il convento venne diroccato e i monaci, già sì forti ed opulenti partirono raminghi. Ma prima di andarsene essi scagliarono le loro più formidabili scomuniche su gli abitanti del villaggio e sui loro discendenti. Infatti, d’allora in poi, la maledizione gravò su questo villaggio: le pestilenze, le carestie, le disgrazie più inaudite piombarono in ogni tempo su di esso, e, ciò non bastando, gli abitanti, rosi dagli odi e dalle inimicizie più funeste, si dilaniarono tra loro, massacrandosi e sperdendosi a vicenda.

Note:

[1] Questa premessa e le leggende “Il diavolo cervo”, “La leggenda di Aggius”, “La leggenda di Castel Doria”, “Il castello di Galtellì”, “La leggenda di Gonare”, “San Pietro di Sorres”, “La scomunica di Ollolai”, “Madama Galdona”, sono state pubblicate in Natura ed Arte, 15 aprile 1894.

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  1. Angelino Tedde dice,

    Interessante anche questa novella. Colpisce il fatto della maledizione per chi maltratta il consacrato o i consacrati, siano buoni o cattivi. Spesso ai sacerdoti si consigliava di non maledire mai nessuno, ma di benedire, però dicono i romani “quanno ce vo’ ce vo’” anima mia libera naturalmente. Per certi ragazzi blasfemi, irriverenti, sacrileghi, la tentazione di maledirli è forte, ma il Signore ci ha detto.- Benedite chi vi maledice.- Perciò dobbiamo uniformarci a lui. In questo racconto la Deledda sembra più scorrevole e per la storia Ollollai è un paese molto religioso ed edificante.
    Tra l’altro i Bussu di Chiaramonti vengono da Ollollai a cominciare dal padre di Giovannino Soro e dei Bussu. Noto come giornalista coraggioso e in odore di cattocomunista è apparso Don Bussu, loro parente. Ricordo una delle sue prime messe a Cachile con la famiglia Porcu-Me e Bussu, entrambi mezzadri de s’avvocadu Falche. Ho avuto modo di conoscere Don Bussu a Nuoro e di trovarlo amabile e fortemente impegnato per i suoi galeranti di Badu de Carros.
    Amezusvidere
    Anghelu de sa Niera (metto de in omaggio alle regole della Regione, chi l’avrebbe detto che a 71 anni mi sarei messo a studiare la grammatica sarda. Già fid’ora.

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