19
ott
2008
Ma cosa fare con i nostri “figli speciali”?
L’altro giorno mentre leggevo il quotidiano “La Nuova sardegna”, mi sono imbattuto consultando la cronaca di Nuoro, nell’ennesimo articolo che racconta di genitori che non sanno cosa fare con la propria figliola che non ha la fortuna di essere normodotata e a volte neanche autosufficiente.
Alessandra, venuta al mondo nel 1984, per una patologia è come se avesse cinque anni, per di più essendo nata prematura, ha subito in incubatrice una terapia poco appropriata che l’ha privata anche della vista.
La “bambina” che ora ha ventiquattro anni, non vede e nenche parla, gioca in un box, prende ancora il ciuccio e ha ancora bisogno del pannolino. Per l’anagrafe e le istituzioni è una donna di 24 anni, mentre le sue condizioni psico-fisiche e le sue sembianze non la fanno apparire più grande di una bambina del quinto anno d’età.
Per fortuna nonostante le sue condizioni sente e capisce perfettamente.
Ora, non sono quì per raccontarvi la storia di Alessandra, perchè chi ha letto il quotidiano, oramai la conosce perfettamente, ma per denunciare purtroppo la mancanza di strutture e accorgimenti legislativi, che potrebbero senza ombra di dubbio migliorare la qualità della vita di figli e genitori colpiti da questi drammi.
La storia di questa “bambina” mi ha colpito molto, non solo perchè purtroppo anche io sono direttamente interessato, ma perchè con questi angioletti, non si può fare solo una questione di anagrafe. Posso essere d’accordo che asili, scuole e istituti, visti anche gli ulteriori tagli economici del Ministero della Pubblica Istruzione, siano costretti a dichiarare la non idoneità della struttura per “bambini” e ragazzi di questa categoria, ma non posso accettare che non esistano strutture apposite e idonee per accogliergli almeno nel periodo diurno.
L’alternativa che spesso viene indicata, è la convivenza e ricovero presso centri di riabilitazione psico-fisica che nella nostra realtà, sono adatti e solo attrezzati per pazienti adulti.
Non esistono luoghi dove poter pensare a un “dopo di noi” adatto alla vita dei nostri “bambini”, che si sono guadagnati questo appellativo non solo perchè i genitori vedono i propri figli sempre piccoli, ma perchè realmente loro vivono un’infanzia perenne.
L’infanzia perenne in cui vivono però li trova ben ambientati nei luoghi dove i “coetanei” che non si curano, come invece fanno gli adulti, della diversità di questi “bambini speciali”, giocano con loro e partecipano in modo diretto ed interattivo alla loro, se pur modesta vita sociale.
Altre cose importanti, ne ho preso da poco coscienza perchè Marta mia figlia compiendo sedici anni si avvicina alla maggiore età e la sua condizione psitica è molto simile ad Alessandra, è che al compimento del diciottesimo anno di età medici e figure della Neuro Psichiatria Infantile che la seguono praticamente dalla nascita, devono lasciare il posto a medici che sicuramente sono degli ottimi professionisti, ma che non conoscono mia figlia che comunque continuerà a essere una “bambina”. Ancora un caso di anagrafe quindi, non pensato per niente per il bene di questi “bambini”.
Che fare? Io purtroppo non ho risposte, posso solo con questo blog manifestare e rendere pubblici questi miei malesseri.
E purtroppo non sono solo, fate sentire anche la vostra voce, questo spazio è a disposizione di chi voglia denunciare altre situazioni come queste.
Carlo Moretti
p.s. – chi vuole può contattarmi nella pagina “Contatti” in alto nel menù, o lasciare un commento su questo articolo.
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Caro Carletto,
essendo tu in trincea da molti anni, sai bene quant’è difficile combattere la guerra finalizzata a rendere agibili i diritti, costituzionalmente protetti, dei disabili. Segnatamente se minori. Un esempio, il minore ricoverato in ospedale (ancorché non disabile) non può fruire della presenza e dell’assistenza continuativa di un familiare. A meno che un medico di buon senso o un infermiere amico non chiudano un occhio, per consentire a uno dei genitori di dormire su una sedia e confortare, sul piano psicologico, il bambino che si trova smarrito in un ambiente che non gli è familiare. Capita agli adulti, figurarsi ai piccoli! Ebbene, noi abbiamo una bella legge regionale (la n. 25/1983) che detta disposizioni in materia di assistenza dei bambini in ospedale e prevede che minori e disabili possano fruire dell’assistenza continua (24 ore su 24) di un familiare. Al quale è riconosciuto il diritto a disporre di un letto, di un servizio igienico e di una doccia. Ma la legge è rimasta lettera morta. Maiora premunt, per cui i fondi già stanziati sono stati dirottati altrove. Magari per motivi nemmeno nobili. E chi s’è visto s’è visto.
Tu che vivi la vicenda umana di Marta sai bene che la nostra società è organizzata a misura di chi è autonomo e di chi è in grado di difendersi. Come nella foresta. Vedia quanta strada abbiamo ancora da percorrere. I minori, i disabili e gli anziani che si arrangino! E, con loro, i familiari che ne hanno il carico. Basta farsi un giretto in città, ma anche da noi a Chiaramonti, per rendersene conto: barriere architettoniche un po’ dovunque e altre barriere che la nostra maleducazione e il nostro egoismo frappongono anche alla libera circolazione di chi è costretto a fare uso di carrozzelle o altri strumenti di supporto. Una buca che si apre su una strada dell’abitato induce un po’ tutti a reagire con proteste nei confronti del Palazzo. Ma un marciapiedi costantemente occupato da automezzi, da pali e altri materiali (per tacere delle cacchette dei cani) che ne impediscono la libera e completa fruizione non scandalizza ormai nessuno. I bambini, i disabili e gli anziani appartengono alle cosiddette fasce deboli: non hanno voce, non hanno un sindacato che li tuteli, né una comunità intelligente, sensibile e pronta a sostituirsi a loro nella protesta e nella lotta.
Arrendersi? Mai! Fai bene ad agitare il problema. Diamo voce, come possiamo, a queste persone che non possono. Ai nostri bambini, come dici tu. Giustamente. E, per quel che valgono, ti faccio molti auguri.
Carlo Patatu
In “Profilo storico dell’opera “Gesù Nazareno” di Sassari. Un’istituzione per portatori di handicap.” Marco Sussarello tratta ampiamente della storia degli esistenzialmente svantaggiati, questa fino al 2002 era la definizione dell’OMS poi non so se è cambiata. Il giovane, orientato da me per la storia, da Giuseppina Manca per la parte pedagogica, dal prof. Angelo Pirisi (medico) per la parte clinica ha predisposto una buona tesi di laurea che se desideri potresti anche consultare. Nell’appendice IV ho fatto inserire tutte le leggi e decreti a favore degli esistenzialmente svantaggiati sia dello Stato sia delle Regioni a partire dalla 382 del 1970 fino alla Circolare IPDAP che fa riferimento al Testo Unico del 2001. Io penso che la chiave di volta siano i servizi sociali dei comuni che dovrebbero elaborare proposte partendo dal vissuto reale degli esistenzialmente svantaggiati. Dovrebbe essere preciso compito del sindaco, a che i diritti dei cittadini in tale situazione non vengano conculcati, al tempo stesso fare in modo che in ogni comunità si favorisca l’inserimento degli stessi alla stessa stregua dei normodotati e accoglierli come ogni famiglia accoglie con comprensione ed affetto i figli più deboli.
Un caro saluto
Anghelu de sa Niera
[...] approvo e appoggio integralmente. Come io, che alcuni giorni fa, nell’articolo “Ma cosa fare con i nostri “figli speciali”?” ho manifestato alcuni malesseri, ora posso dire di essere un po meno [...]
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