Archivio di dicembre, 2009
Scritto da carlo moretti
Per tutti i bambini:
italiani, francesi o abissini
e noi che siamo così piccini,
non chiederemo dei regalini,
ma solo la pace per tutti i bambini
Brilla in cielo una stella
Brilla in cielo una stella
Con la coda lunga e bella.
Si ode dentro la capanna,
una dolce ninna-nanna.
C’è un bambino biondo, biondo
Col visetto tondo, tondo,
che riceve doni e fiori
dagli umili pastori.
Ho Sognato
Ho sognato che il Bambino
venne presso il mio lettino
e mi disse dolcemente:
“Per Natale non vuoi niente?”
Io pensai per prima cosa
a te mamma sì amorosa
a te babbo, buono tanto,
e gli dissi:”Gesù santo,
babbo e mamma benedici,
fa’ che sempre sian felici!”
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Scritto da carlo moretti
La figlia piccola di un pastore era intenta ad accudire il gregge del padre in un pascolo vicino Betlemme, quando vide degli altri pastori che camminavano speditamente verso la città. Si avvicinò e chiese loro dove andavano.
I pastori risposero che quella notte era nato il bambino Gesù e che stavano andando a rendergli omaggio portandogli dei doni.
La bambina avrebbe tanto voluto andare con i pastori per vedere il Bambino Gesù, ma non aveva niente da portare come regalo. I pastori andarono via e lei rimase da sola e triste, così triste che cadde in ginocchio piangendo.
Le sue lacrime cadevano nella neve e la bimba non sapeva che un angelo aveva assistito alla sua disperazione. Quando abbassò gli occhi si accorse che le sue lacrime erano diventate delle bellissime rose di un colore rosa pallido. Felice, si alzò, le raccolse e partì subito verso la città.
Regalò il mazzo di rose a Maria come dono per il figlio appena nato.
Da allora, ogni anno nel mese di dicembre fiorisce questo tipo di rosa per ricordare al mondo intero del semplice regalo fatto con amore dalla giovane figlia del pastore.
Scritto da angelino tedde
Con la pubblicazione di questi atti notarili diamo inizio ad una serie di articoli che ci permetteranno di conoscere vita e morte della vita quotidiana in Chiaramonti nell’Ottocento. Giorgio Falchi, nella parte trascritta ed edita del suo diario (Cfr. Patatu, Chiaramonti, 2004) ci presenta alcuni eventi del paese, gli atti notarili del Notaio Giommaria Satta, rogati in Chiaramonti dal 1826 al 1867, ci offre materiale abbondante per conoscere le dinamiche immobiliari e mobiliari dell’economia del nostro borgo, all’epoca con una popolazione che oscillava dai 1500 ai 1800. (Preciseremo meglio più in là).
Avremo modo di conoscere le compravendite, i lasciti, le donazioni e la destinazione dei beni. Gli arredi delle case, l’agiatezza o la povertà delle persone nonché i passaggi di proprietà. Col tempo, chissà, può darsi che il Comune, provveda a stilare un progetto di trascrizione di tutti gli atti che si prestano a conoscere meglio la vita quotidiana e i traffici degli abitanti del villaggio ottocentesco.
Cominciamo a riportare qui il testamento di Anna Bella, maestra romana, che istituì a Chiaramonti una delle prime scuole professionali femminili dell’Isola, dando alle nostre bisnonne l’opportunità di un aggiornamento tecnologico delle arti femminili. La maestra morì, presumibilmente per quello che verrà più tardi definito il morbo di Parkison (James Parkinson (1755-1824). Promotore della scuola fu il sacerdote Matteo Satta Caccioni. Su questa scuola non si è fatta luce completa e mi auguro che qualche studente chiaramontese voglia prima o poi curare sul sacerdote e sulla scuola una più accurata ricerca .
Il testamento comprende 1. un regesto (abstract notarile); 2. la formula classica sulla capacità d’intendere e volere del moribondo; 3. Le disposizioni testamentarie per la cura delle esequie (in particolare del luogo della sepoltura che all’epoca poteva effettuarsi sia presso la chiesa del Carmelo sia presso quella della Santa Croce sia presso la chiesa del Rosario oppure direttamente presso la chiesa parrocchiale di San Matteo al monte); 4. Disposizioni per la cura dell’anima sulla cui esistenza tutti credevano (la moda di non credere è arrivata col progresso della scienza e della tecnica, i credenti dichiarati oggi, a sentir le voci di piazza, sarebbero pochi anche in Chiaramonti); 5. la destinazione dei beni, spesso con la nomina di un esecutore testamentario, che doveva preoccuparsi sia di quanto destinato agli eredi sia di quanto destinato alle sante messe per il suffragio dell’anima. Anche qui compaiono d’obbligo alcune istituzioni: l’ospedale più vicino, il monte nummario, il Conservatorio delle Figlie della Provvidenza (esposte, orfane o figlie di famiglie a disagio, fondato a Cagliari fin dal 1750).
Ciò premesso, lascio ai lettori il piacere della lettura del testamento reso dalla maestra Anna Bella.
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Scritto da carlo moretti
Il vischio come simbologia del natale si lega ad una leggenda che ha molto a che vedere con la tradizione cristiana e con le favole di morale, si narra infatti che un vecchio mercante si era ritirato a vivere da solo tra i monti.
L’uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu’ nessun amico.
Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò:
- Fratello, – gli gridarono – non vieni?
Fratello, a lui fratello? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non c’erano che clienti: chi comprava e chi vendeva. Per tutta la vita era stato avido e avaro e non gli importava chi fossero i suoi clienti e che cosa facessero.
Ma dove andavano?
Si mosse un po’ curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme.
Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote, anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Arrivò alla grotta insieme con gli altri; s’inginocchio insieme agli altri. – Signore, – esclamò – ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E cominciò a piangere.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell’alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline. Era nato il vischio.
Scritto da carlo moretti
E così siamo arrivati! Nonostante la buona prestazione di alcuni elementi in campo, la nostra squadra ha rimediato un’altra sconfitta. Siamo precipitati nel fondo della classifica. Niente da recriminare da parte nostra, se consideriamo che il Chiaramonti è una matricola in questa categoria e non c’è da inveire, come solitamente si fà, contro allenatore e dirigenti che svolgono i loro compiti assumendosi l’impegno e la responsabilità delle loro scelte. Ora si può solo migliorare, e spero che con meno pressioni, visto che di peggio non c’è, tutti osservino in silenzio senza criticare le decisioni di chi seriamente si espone in prima persona e altro non ha in mente se non il bene della squadra.
Auguro a tutti un buon lavoro. FORZA CHIARAMONTI!!
Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:
Scritto da carlo moretti
Est die mala, de ierru frittu e de funadas de ranzola e nie. Finas sos mortos si tremen arpilados in sa tuda, che chi sa carrarzura ‘e sa terra beneita esseret fine che chelu ‘e aranzolu.
Tames ja b’at a chie su fritu non li corcat pilu.
Bore Mela ch’est intro s’ostera afraigadu, dai olta ‘e die, a su fundu ‘e su banchitu, solu, che jorra arrunzada, in su chizolu ‘e josso. Nemos lu calculat, s’iscuru. Finas sa butighinaja nd’est ivilida ‘e li narrer a si moderare, chi no li diat aer dadu a biere ateru ‘inu e chi sighende asie diat aer fatu fine mala. ‘Ero su sidis est prus malu ‘e s’abburruntu de Dominighedda e Bore, perricónchinu, a len’a lenu si che coghet biende a sucutu dai s’ampullone, che chi sa fémina aeret faeddadu a su muru.
E gai, bàrriu ‘e coighina, cun sa cara randinada ‘e suore, che ‘essit a “Arzolas” a isbentiare. Inie ja bi sulat fitianu, finats in s’istiu, su ‘entu ‘e sa “Punta”, e mal’e peus b’inchibberat continu in jerru. Cussa est sa meighina chi bi cheret, sinò torrende a domo gai jampanadu, ite briga ‘e mannos che nde diat bessire a pizu. Emmo mezus bessìchere a s’Arzola ‘e Punta: su arriu ja s’acconzat incaminu narat su diciu antigu. ‘Ero, coghi ‘ sighire a ala ‘e nanti, daghi che ponet pe’ in s’Arzola ‘e Mesu, leat a dereta , istontonende dai cresura a muru, abrunchende in s’impredradu iscumbessu, peri sa faladorza ‘e “Carrucana”. E che parat, malefadadu, in buca ‘e campusantu, a jaga ilbarizada, ciulende.
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