Chiaramonti, il portale delle vostre idee

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Archivio di gennaio, 2010

Vita quotidiana e morte apparecchiata a Chiaramonti nell’Ottocento (1827)

Scritto da angelino tedde

Premessa

Nel 1827, nella Comune di  Chiaramonti, come in tutti gli altri quasi 300 villaggi della Sardegna, la vita si svolgeva soprattutto intorno al campanile di San Matteo al Monte verso cui le strade principali del paese tendevano a convergere, quali i carruggi, chiamati con vario nome: carruzzu longu, carruzzu ‘e ballas, carrela longa, piatta, carrela de su putu. Qualche sentiero campestre convergeva verso il Cunventu de sos Padres de su Carmine, detto appunto  Caminu de Cunventu; altro carruggio saliva al contrario  verso s’Oratoriu de su Rosariu, mentre dalla Piatta si scendeva verso s’Oratoriu de Santa Rughe e quindi a s’istradone che pericolosamente, a forma di serpente, da sa Rughe costeggiava la vasta e profonda conca, o depressione, di Putugonzu fino agli spuntoni di roccia alla periferia dell’allora centro abitato e poi proseguiva pericolosamente come sterrata lungo il pendio del monte per confluire nella sterrata prediale per Martis, passando per Erva Nana.

A sa Niera si stagliava superba, rispetto alle poche case basse adiacenti,  quella che era stata il palazzo della nobile e grande possidente, mezzo chiaramontese e mezzo nulvese, donna Lucia Delitala Tedde,  passato nelle mani agli oriundi ozieresi nobili Grixoni. Più a valle, a non molti metri di distanza dal palazzo Grixoni,  si stagliava il palazzo dei possidenti Migaleddu che più tardi, con l’alleanza matrimoniale con un maresciallo dei carabinieri toscano, costituiranno la fortuna dei Rottigni, promotori come si sa della modernizzazione del villaggio tra Otto e Novecento. I beni di donna Lucia, valutati in 10 mila scudi, nel 1760 (probabile anno della sua morte violenta) erano stati devoluti, secondo testamento, dalla nobildonna, grazie all’assistenza spirituale di un gesuita, dopo l’esilio a Villafranca di Piemonte, al collegio gesuitico di Ozieri.  I resti del patrimonio, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, amministrati da una commissione apposita ozierese, che li dissiperà, giungeranno alla mensa vescovile  di Sassari e successivamente, questi Lo stemma dei Delitala-Pes nella chiesa parrocchiale di Nulvi (Foto di Gianfranco Serafino, Tempio)resti dei resti, verranno devoluti alla costruzione dell’attuale Chiesa di San Matteo  e della Santa Croce nell’area di sedime dell’abbattuto omonimo oratorio.

E probabile che sempre da Ozieri, all’epoca, fossero già insediati in paese, i Madau, quella che dalla seconda metà dell’Ottocento diverrà la più locupleta famiglia del villaggio, grazie all’apparentamento con i doviziosi Ruiu come documenterà il più ricco testamento dell’intero Ottocento tra gli atti rogati a Chiaramonti.

Nell’anno di cui esaminiamo gli atti vediamo agitarsi negli affari i Falchi e un certo Pietro Canu, benché in prima fila siano sempre membri del clero, seconda classe sociale privilegiata dopo in nobili, ma prima per dignità e per influenza carismatica sulle singole famiglie il cui ciclo della vita girava e sostava nella parrocchiale. D’altra parte il vicario e i suoi preti e i religiosi carmelitani coadiutori venivano utilizzati dal governo regio a molteplici funzioni civili che la pletorica assemblea comunicativa e i tre consiglieri col sindaco non erano in grado di svolgere.

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Pareggio importante per il Chiaramonti con il Sennori.

Scritto da carlo moretti

Una partita difficile ma importante, quella giocata nel campo Basilio Canu di Sennori ieri. Aggiungerei anche un pò sfortunata con il pareggio raggiunto dagli avversari al 90 ‘esimo, praticamente in zona Cesarini.

La salvezza si raggiunge a piccoli passi, speriamo che questo sia l’inizio del riscatto.

Non aggiungo altro perchè non servono parole servono fatti.

Un augurio al nostro capitano perchè si riprenda presto dall’infortunio occorso in campo.

FORZA CHIARAMONTI!!!!

Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:

SA TEBACCHERA DE COMARE de tiu Bainzu Truddaiu

Scritto da carlo moretti

Sa tebacchera ‘e comare

est sempre a s’aberi e tanca,

ca medas bi ‘ettan franca

chirchende de tebaccare.

Su fiagu ‘e su tebaccu

a medissimos piaghet:

issa tesoro nde faghet

de s’urna senza covaccu,

guasi che unu maccu

chi lu solen abbizzare

a su tuccaru.  A pensare,

ite razza ‘e ìscoberta!

Et est sempre mesu aberta

sa tebacchera ‘e comare!

Giovaneddos de vint’annos.

cando est morzende sa die,

a iscasciu sun inie

finas a fiottos mannos.

Rimedios e ispannos

chi sanan dogni bullanca

bi chircan a faccia franca

cando iscurigat s’aera;

gai cussa tebacchera

est sempre a s’aberi e tanca.

Dami tinta e pingo puru

su caminu inghiajadu

de unu chelu isteddadu

in nottes de pagu iscuru;

cumponzo su duru duru

pro pizzinnos mezzanos,

chi cun cavanos ispanos

no han reposu in sa ninna.

Ajo. dami carta e pinna

che in sos birdes beranos!

Pro s’istajone amorosa,

si mi daeras cantones

fatto ‘ider sos puzones

in d’una mendula umbrosa.

Beni, Musa: non ch’hat cosa

chi non bramet cumpagnia!

Cantare totu cheria

cun murmutteddos de fadas:

che in epocas passadas,

Musa, dami poesia!


Bainzu Truddaiu

Arte e religioni della Sardegna prenuragica – Giovanni Lilliu [4]

Scritto da carlo moretti

Idoli antropomorfi a schema di busto traforato

A questa varietà tipologica appartengono 44 statuine (nn. 81, 124). 43 sono scolpite su pietra: venti in marmo (nn. 81-92, 95-98, 119-120, 122­123), ventidue in calcite (nn. 93, 100-118, 121) e una in calcare (n. 94). Una soltanto è plasmata in argilla (n. 124). Provengono: trentotto dalla pro­vincia di Sassari, per l’86,36% (nn. 81-118) e sei, per il 13,36% dalla provincia di Oristano (nn. 119, 124). Il territorio del Comune di Sassari ne vanta ventinove (nn. 81-85, 91-114) ossia il 65,90%, quattro vengono dal Comune di Ossi (nn. 115-118) il 9,09%, tre da Alghero (nn. 86-88) il 6,81%, due da Portotorres (nn. 89-90),il 4,54%, due da Nurachi (nn. 119-120: 4,54%), due da Cabras (nn. 123-124: 4,54%) e una per ciascun comune ne hanno restituito Simaxis e Nuraxinieddu (nn. 121-123: ciascuno il 2,27%). Si rileva la forte concentrazione del luogo sacro di Monte

Fig.66. Sassari, necropoli ipogeica di Monte d'Accodi:Tomba II. Statuina femminile a placca trforata in marmo (scheda 98).

Fig.66. Sassari, necropoli ipogeica di Monte d'Accodi:Tomba II. Statuina femminile a placca traforata in marmo (scheda 98).

d’Accoddi: tredici statuine, cioè il 29,54%, tra “altare” (sette: nn. 104-110) e prossi­ma tomba II (sei: nn. 98-103). Trentun idoli (nn. 70, 45%) sono stati rinvenuto in ipogei funerari, tutti nel Sassarese (nn. 81-103, 111-118). Sei (13,63%) vengono da raccolte superficiali in inse­diamenti neolitici dell’Oristanese (nn. 119-124) e sette sono stati messi in luce presso lo ziggurath di Monte d’Accoddi175.

I dati ambientali e statistici delle figurine a schema di busto traforato, meglio se spiegati a confronto con le situazioni degli idoli a schema di busto compatto, inducono alla constatazione di un momento culturale in mutamento, se non pro­prio mutato, e più recente nel tempo. Dico ciò non nascondendo che i dati sono incompleti e provvisori, tanto da poter rendere inefficace lo sforzo di trovare la chiave di lettura di una scrit­tura segreta difficilmente decifrabile. Dal con­fronto dei dati risultano evidenti le diversità tra le due tipologie figurative in fatto di estetica e di tecnica nonché di creatività, il che va di pari passo con le differenze di distribuzione e di allo­gamento delle statuine.

Mentre gli idoli a busto compatto toccano luo­ghi di tutte quattro le province sarde sino nel profondo interno, quelle a busto traforato si con­traggono fortemente nello spazio geografico iso­lano, riducendosi a siti soltanto delle Provincie di Sassari e Oristano e di aree delle stesse contenu­te circa tra duecento e mille chilometri quadrati. Quanto alla localizzazione, se la prima categoria di idoletti trova posto in caverne naturali, ipogei, luoghi sacri e soprattutto villaggi (54,9%), col minimo numero degli ipogei (15,61%), la secon­da categoria privilegia gli ipogei (70,45%), ma declassa al 13,63% gli insediamenti abitativi. Per di più va notato che le grotticelle artificiali con statuine a busto traforato sono tutte nel Sassarese e soltanto nella cintura di Oristano dove, al tempo degli idoli a schema di busto compatto operava brillantemente nella fabbrica di figurine di terra­cotta il centro di Cùccuru Arrìus dal quale non proviene più alcun idolo a busto traforato. Il che fa supporre il venir meno dell’attività del labora­torio, per mancanza di richiesta dei committenti più umili cui si confaceva l’acquisto del corrivo prodotto in argilla.

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Ringraziamo gli amici di Domodossola per l’ospitalità ricevuta.(Foto-gallery)

Scritto da carlo moretti

Come promesso nel nostro articolo di circa 2 mesi fa:

http://www.ztaramonte.it/word/2009/11/ringraziamo-gli-amici-di-domodossola-per-lospitalita-ricevuta/

ai nostri amici di Domodossola, dove siamo stati ospiti il 7 e l’8 novembre scorso, abbiamo finalmente pubblicato una slide-show della due giornate, per accedervi cliccate sul link o sulla foto qui sotto.

Buona visione!

Coro de Tzaramonte ospite a Domodossola 7-8 novembre 2009


Vita quotidiana e morte a Chiaramonti nell’anno del Signore 1826 (agosto-dicembre)

Scritto da angelino tedde

Sguardi storici a cura di Angelino Tedde

Premessa

Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo (1814), i sovrani europei avevano imposto, con fini strategie, la restaurazione del potere assoluto e l’alleanza fra il Trono e l’Altare.

Un’altra  Europa sotterranea però covava come il fuoco sotto la cenere: massoni, carbonari e altre società segrete oltre che giovani pensatori del livello di Giuseppe Mazzini (Genova 1805-Pisa 1872) e giovani combattenti per la libertà come Giuseppe Garibaldi ( Nizza,1807- Isola di Caprera 1882) allo scopo di rovesciare i sovrani dai troni e imporre la democrazia sperimentata durante la rivoluzione francese.

L’Italia era divisa in 7 Stati: Regno di Sardegna (gli Stati dei Savoia), Regno lombardo Veneto (Austria), Ducato di Parma e Piacenza (Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone) Ducato di Modena e Reggio(Asburgo d’Este), Granducato di Toscana (Asburgo Lorena), Stato della Chiesa (Pio VII), Regno delle Due Sicilie (Ferdinando I di Borbone).  Da questa divisione dell’Italia erano passati 11 anni.

I Savoia, che già possedevano il Ducato di Savoia, il Principato del Piemonte, la Contea di Nizza, il Genovesato,  dal momento in cui erano diventati re di Sardegna (1720), continuavano a governarla per mezzo di vicerè che si avvicendavano di triennio in triennio con residenza Cagliari. Tra i più noti e attivi viceré, dal 1735 al 1738, si era contraddistinto, per la sua determinazione repressiva Carlo Amedeo Battista Marchese di San Martino, d’Aglié e di Rivarolo, già severo comandante delle sabaude galere. Non se ne stette a dare ordini da Cagliari, ma a capo di un discreto contingente militare, visitò i villaggi più turbolenti dell’Isola, gettò nelle carceri ben 3000 pregiudicati, ne fece impiccare con rituali efferati 400 ed esiliò anche gl’intoccabili nobili divisi tra fautori della Spagna, dell’Austria e nuovi fautori del Piemonte. Le visite ai paesi dell’Anglona e della Gallura lo videro severo nei confronti dei capifazione di Nulvi e di Chiaramonti (i Tedde e Delitala) che mandò al confino per un biennio. Più tardi ci volle l’opera missionaria del gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo dei Conti di Castiglione che abbandonato l’insegnamento universitario a Cagliari si diede a predicare la parola di Dio tutti i villaggi della Sardegna e a promuovere le paci tra famiglie rivali, tra le quali i Tedde e i Delitala di Chiaramonti e Nulvi, e altre della Gallura. Tra l’altro compose un catechismo e dei gosos ai santi patroni in sardo logudorese. Chiudiamo, per ora, questa finestra sul Settecento e torniamo all’Ottocento a cui si riferiscono gli atti notarili

Il primo secolo del dominio sabaudo

Nel corso di oltre cento anni (1720 -1826). i sovrani sabaudi avevano provveduto ad imporre un maggior ordine nel bilancio del regno; a vigilare sugli arbitri di oltre 300 feudatari sardi e spagnoli (assenti questi ultimi, ma  rappresentati da appositi podatari); a restaurare le università di Cagliari e di Sassari, (1760-65), chiamandovi ad insegnare illustri studiosi di Terrafema; a restaurare le scuole inferiori (Umanità e Retorica), istituendo 7 classi che andavano dalla VII alla I , definibili classi boginiane); ad imporre l’uso dell’italiano sia nelle scuole accessibili dei collegi religiosi sia negli atti pubblici ed ecclesiastici; ad emanare l’editto delle chiudende per lo sviluppo dell’agricoltura, che appariva ai sovrani illuminati un modello economico più adatto alla “felicità dei sudditi” rispetto al modello scarsamente produttivo del pascolo brado; ad istituire, per la prima volta, nel 1823, le scuole normali triennali (elementari ante litteram) per insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, la dottrina cristiana e il catechismo agrario ai ragazzi, allo scopo di dare a tutti i giovani sudditi un minimo di istruzione, e offrire ai talentuosi meritevoli, l’opportunità di proseguire gli studi medi e l’eventuale conseguimento di uno, di due, di tre o dei quattro gradi universitari (il triennale magisteriato, il biennale baccellierato, l’anno di licenza e, da ultimo, il curriculum massimo della  laurea). In pratica le università sarde sfornarono maestri d’arte, bacellieri, licenziati, laureati nei tre corsi universitari esistenti: il più ambito Teologia, al secondo posto Leggi e al terzo Medicina, la cenerentola fra le tre lauree perché di scarse occasioni di carriera e di rimunerazione. Dopo quest’altra finestrella, torniamo alle neonate scuole normali, dette in piemonte comunali, nel Genovesato elementari, nome che poi, nel 1841, Carlo Alberto  imporrà nei citati suoi 5 Stati, amministrati secondo le leggi proprie di ognuno, contrariamanete a quel che in genere si pensa, e purtroppo, alcuni storici distratti e improvvisati si scrivono.

Queste prime vere scuole popolari pubbliche, (anticipate dalle informali scolette parrocchiali con pochi privilegiati alunni), (catechismo e grammatica), furono messe a carico della Comunità, sotto la provvidenza del sindaco per i locali e le attrezzature e la sovrintendenza didattica e morale del parroco, per la vigilanza sui precettori che in genere erano i viceparroci o, se c’erano dei religiosi, questi ultimi.  Solo in mancanza di sacerdoti, in poche piccole comunità, si ricorreva a scrivani, a segretari comunitativi, a chirurghi e altri graduati all’università. Le spese del funzionamento erano a carico della Comune o Comunità, costituite da assemblee comunitative e da tre consiglieri che coadiuvavano il sindaco (1791) nella propria casa, un abbozzo ancora grezzo e informe di quello che più tardi diventerà il Comune autentico (1848), l’unica istituzione paragonabile a quella attuale.

Per le spese delle scuole, se non c’erano lasciti, si affittava un terreno comunitativo e dal ricavato si pagavano le spese per i locali, per il precettore e per le attrezzature.

Torniamo però al 1826. Le campagne del territorio chiaramontese continuavano ad essere chiuse con i muri a secco e naturalmente chi più si poteva allargare si allargava, anche se non più di tanto, perché c’erano ancora i latifondi del feudatario spagnolo. Con  la chiusure si rendeva più difficoltoso per la Comunità il diritto di legnatico, di acqua, di raccolta delle ghiande e altri prodotti per continuare a praticare “l’economia del maiale” come la chiamano gli studiosi. Per le semine c’erano ancora gli ademprivi, vale a dire sos padros, che gli abitanti utilizzavano con semine a rotazione e con disaffezione, per il frumento necessario per la sussistenza degli abitanti del borgo ai quali veniva dato in uso un appezzamento di terreno.

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Cantigos de coros 2010.

Scritto da carlo moretti

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