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2010
Arte e religioni della Sardegna prenuragica – Giovanni Lilliu [4]
Idoli antropomorfi a schema di busto traforato
A questa varietà tipologica appartengono 44 statuine (nn. 81, 124). 43 sono scolpite su pietra: venti in marmo (nn. 81-92, 95-98, 119-120, 122123), ventidue in calcite (nn. 93, 100-118, 121) e una in calcare (n. 94). Una soltanto è plasmata in argilla (n. 124). Provengono: trentotto dalla provincia di Sassari, per l’86,36% (nn. 81-118) e sei, per il 13,36% dalla provincia di Oristano (nn. 119, 124). Il territorio del Comune di Sassari ne vanta ventinove (nn. 81-85, 91-114) ossia il 65,90%, quattro vengono dal Comune di Ossi (nn. 115-118) il 9,09%, tre da Alghero (nn. 86-88) il 6,81%, due da Portotorres (nn. 89-90),il 4,54%, due da Nurachi (nn. 119-120: 4,54%), due da Cabras (nn. 123-124: 4,54%) e una per ciascun comune ne hanno restituito Simaxis e Nuraxinieddu (nn. 121-123: ciascuno il 2,27%). Si rileva la forte concentrazione del luogo sacro di Monte
d’Accoddi: tredici statuine, cioè il 29,54%, tra “altare” (sette: nn. 104-110) e prossima tomba II (sei: nn. 98-103). Trentun idoli (nn. 70, 45%) sono stati rinvenuto in ipogei funerari, tutti nel Sassarese (nn. 81-103, 111-118). Sei (13,63%) vengono da raccolte superficiali in insediamenti neolitici dell’Oristanese (nn. 119-124) e sette sono stati messi in luce presso lo ziggurath di Monte d’Accoddi175.
I dati ambientali e statistici delle figurine a schema di busto traforato, meglio se spiegati a confronto con le situazioni degli idoli a schema di busto compatto, inducono alla constatazione di un momento culturale in mutamento, se non proprio mutato, e più recente nel tempo. Dico ciò non nascondendo che i dati sono incompleti e provvisori, tanto da poter rendere inefficace lo sforzo di trovare la chiave di lettura di una scrittura segreta difficilmente decifrabile. Dal confronto dei dati risultano evidenti le diversità tra le due tipologie figurative in fatto di estetica e di tecnica nonché di creatività, il che va di pari passo con le differenze di distribuzione e di allogamento delle statuine.
Mentre gli idoli a busto compatto toccano luoghi di tutte quattro le province sarde sino nel profondo interno, quelle a busto traforato si contraggono fortemente nello spazio geografico isolano, riducendosi a siti soltanto delle Provincie di Sassari e Oristano e di aree delle stesse contenute circa tra duecento e mille chilometri quadrati. Quanto alla localizzazione, se la prima categoria di idoletti trova posto in caverne naturali, ipogei, luoghi sacri e soprattutto villaggi (54,9%), col minimo numero degli ipogei (15,61%), la seconda categoria privilegia gli ipogei (70,45%), ma declassa al 13,63% gli insediamenti abitativi. Per di più va notato che le grotticelle artificiali con statuine a busto traforato sono tutte nel Sassarese e soltanto nella cintura di Oristano dove, al tempo degli idoli a schema di busto compatto operava brillantemente nella fabbrica di figurine di terracotta il centro di Cùccuru Arrìus dal quale non proviene più alcun idolo a busto traforato. Il che fa supporre il venir meno dell’attività del laboratorio, per mancanza di richiesta dei committenti più umili cui si confaceva l’acquisto del corrivo prodotto in argilla.
Quantitativamente valutata, la produzione totale delle statuine a busto traforato è di poco inferiore (undici in meno) rispetto a quella degli idoletti a busto compatto. Ma è decisamente scaduta la qualità e soprattutto nella varietà figurativa, cioè nel gusto di sperimentare. Non più il modo diverso di rappresentare l’immagine della Dea madre, in piedi o seduta, nuda o vestita, in proporzione uguale statuine in pietra e terracotta. Mancano poi gli idoletti maschili.
Tenuto conto dello stretto rapporto dell’arte del tempo col mito consistente nella identificazione delle comunità col modello archetipo della Dea madre, dallo scadimento della sua rappresentazione figurativa e dalla sua rarefazione, in fatto di idoli, nel territorio isolano per accantonarsi in ristrettissime aree di conservazione e cristallizzazione dello stereotipo, sembra di poter dedurre un senso di “rallentamento” della presenza e del culto della divinità femminile. Non si tratto d’un processo di “delegittimazione” del mito o di “morte della Dea”, la cui rappresentazione è anzi esclusa. Ma si avverte un nuovo senso di rapporto con la sua immagine, che tende alla semplificazione di uno standard fisso, canonico, “razionale”, irrigidito in uno schema ipergeometrico che vitalizza, aliena e toglie “anima” (cioè mito) alla figura. In sostanza sembra di poter cogliere l’inizio del tramonto della mitologia della Dea madre, verso una nuova mitologia, una nuova “esemplarità” da conferire alla compagine sociale. Il mutamento si compirà alla fine dell’eneolitico quando l’ideale “femminile” farà luogo a quello “maschile”, con gli idoli degli antenati-eroidei. Queste immagini diventano il modello simbolico d’un nuovo rivoluzionario mito, d’una nuova norma morale che aggrega le comunità divenute meno irrazionali, meno dipendenti dalla “regola” del sacro176.
Dei 44 idoletti soltanto cinque (11,36%) si conservano nell’intero corpo (nn. 81, 86, 91, 98, 121). Dieci (22,72%) sono privi della testa (8485, 89, 94, 100, 110, 114, 116, 119, 120), ventisei (59,09%) degli arti inferiori (nn. 87-88, 93-97, 99, 101-109, 111-113, 115-118, 120-122). Di dieci (22,72%) si conserva soltanto la testa (nn. 88, 93, 96-97, 99, 104-106, 112, 122), di quattro (9%) testa e busto (nn. 87, 95, 111, 115), di nove (20,4%) busto e arti inferiori (nn. 84-85, 89, 94, 100, 110, 114, 119, 125) e di dodici (27,27%) solo il busto o parte del busto (nn. 94, 101-103, 107, 109, 113, 116-117, 120). Le rotture si sono verificate, in antica data, nei punti più ristretti del corpo della figura, alla base del collo e all’attacco al tronco degli arti inferiori.
I nn. 81, 114, 114, 116 e 120 mostrano fori passanti, rotondi, sovrapposti alla base del collo, di restauro praticato introducendo nei fori una grappetta di rame o piombo saldato con mastice. Nei nn. 96 e 110 i fori a doppio strombo (diametri cm 0,6/0,5) si presentano in coppia. Il rattoppo fu eseguito o per rimediare a frattura avvenuta durante l’esecuzione dell’oggetto o verificatasi successivamente nell’uso. Fori alla base del collo a scopi di restauro si osservano anche in idoletti marmorei cicladici del tipo “antico canonico”, fase grotta Pelos: 3200-2700 a.C.177 e di stile Spedos, fase Keros-Syros: 2700-2400 a.C.178.
Un foro pervio a strombo si osserva anche neln. 89, aperto alla base della figurina, dopo che questa si era fratturata alla testa in casa del proprietario. Anziché restaurarlo si preferì usare l’idoletto rovesciato, come amuleto personale. La base di forma tondeggiante dell’oggetto, simulando la testa, ripristinava per così dire l’aspetto e il significato della figura della Dea quando era integro. Perciò, da ultimo, fu deposto nella tomba a protezione del morto.
Gli idoli interi nn. 81, 86, 91, 98 e 121 sono alti rispettivamente cm 30, 14, 12, 5, 23 e 21,3. Nell’idolo n. 81 da Portoferro, il più grande nella tipologia in esame, di regolare esecuzione geometrica, scompartita la figura in tre zone verticali, risulta la seguente altezza delle parti del corpo: cm 9,8=testa-collo (32,6%), cm 11,8= busto (39,3%), cm 8,6= arti inferiori stilizzati a volume conico appiattito (28,6%). Si avverte una composizione figurativa abbastanza equilibrata, con il busto in maggiore evidenza e testa-collo e arti di misura assai vicina. Queste ultime parti si equivalgono in altezza nel n. 91 da Marinaru, avente la base a volume ovale (a lingua) piatta (cm 3,4), ma con i suoi cm 5,6 il busto sovrasta spropositamente di ben 22 centimetri. Forte è il divario in aumento del busto dei nn. 98 e 86: nella prima statuina cm 3,2 in più di testa-collo e cm 2,5 in più degli arti stilizzati a lingua come nel n. 101; nella seconda cm 1,01 di testa-collo e nientemeno cm 3,24 in più dell’ovale degli arti. Infine nel n. 121 è l’insieme testa-collo a prevalere di cm 0,32 sul busto che, a sua volta, supera di cm 1,28 gli arti della stessa forma dei nn. 86, 91, 98; le tre parti del corpo tendono ad omologarsi metricamente. Come è stato osservato per le statuine a schema di busto compatto, non esiste una misura unitaria di riferimento né alcun rispetto di proporzioni quali nella naturalità della figura umana. Ciò contrasta con la concezione estetica della raffigurazione che vorrebbe ispirarsi a una sorta di cultura della geometria. Prevale l’estemporaneità dell’artigiano per cui ogni idoletto diventa una libera creazione, l’uno non ripete l’altro né in dimensioni né in precisi rapporti anatomici, salva l’unità concettuale e quella stilistica che la esterna.
Le statuine sono state ricavate, con accettine e piccoli scalpelli di pietra dura, da lastrine litiche o da listelli d’argilla grezza. La plastica naturale è stato poi assottigliata e spianata tranne che nella parte centrale del volto per risparmiare il rilievo del naso, la zona delle poppe nel petto e al livello dei glutei più o meno emergenti. Alla fine il tutto è stato pulito con raschiatoi o abrasivo naturale sino alla levigatura e, talvolta, alla pittura in rosso (nn. 98, 100-101, 111, 118).
Per effetto varia lo spessore della placca che però nell’insieme risponde al valore planare delle figurine. Lo spessore massimo della testa è nel n. 97 (cm 3,2) e minimo nel n. 88 (cm 0,6). Lo spessore medio su 19 figurine è di cm 1,03. Lo spessore massimo del collo si apprezza nel n. 99 (cm 1,9) e minimo nel n. 89 (cm 0,3), con medio di cm 0,9 in 20 figurine. Alle poppe lo spessore raggiunge il massimo nel n. 81 (cm 2,1) e scende al minimo nel n. 89 (cm 0,5); cm 1,2 di media in tredici idoletti. La statuina n. 82 tocca lo spessore massimo del busto con cm 1,9, minimo lo presenta il n. 89 con cm 0,3; il medio su 24 statuine è di cm 0,9. Infine la base (ossia gli arti inferiori stilizzati) è spessa al massimo cm 2 nel n. 89, il minimo è di 0,6 e il medio di 1,3 in tredici idoletti.
Il profilo anteriore del corpo delle figurine scende perpendicolarmente dalla sommità del capo sino poco sopra l’estremità inferiore che si rastrema con leggera convessità chiusa a punta. Da questo mosso profilo emergono il naso, asse del bilanciato schema geometrico, e le mammelle. Perpendicolare è anche il profilo posteriore del corpo tranne che l’occipite lievemente convesso come la base a partire dai glutei i quali in alcune figurine (nn. 84-85, 100, 110, 119, 126) sono discretamente pronunziati e in altri si accennano con un’intacca che li distingue dalla schiena (nn. 84-85, 98, 110) quando non si annullano del tutto (nn. 86, 91, 92, 98, 114).
Converrà ora studiare partitamente le annotazioni figurative degli idoli.
Tra i ventuno esemplari che conservano il capo, diciannove (90,47%) la hanno in forma rotonda, a sezione antero-posteriore piano convessa, rotondo anche il volto piatto realizzato nel “segno del circolo” voluto dal geometrismo che governa l’intera figura (nn. 81-83, 87, 90-91, 93, 97-99, 104-106, 111-112, 115). Nel volto emerge il naso a listello col dorso arcuato, ben centrato, isolato (nn. 82-83, 87-88, 91, 93, 106, 122) oppure innalzato sino a congiungersi con la sommità del capo (nn. 81, 9599). Vi sono pure leggermente disegnati gli occhi a circoletto inciso (nn. 81-83, 88, 93) e a globetto (nn. 96, 98-99). Lo stilismo di testa e volto trova riscontro in figurine d’argilla dette “Rigide Signore Bianche” dalla tomba 5 della necropoli di Vykvanintsi-Moldavia sovietica, del tardo Cucuteni179. Simile la testa a disco della statuina in argilla di Bilcke Zolte-alto Dniester-Ucraina, di stile Cucuteni B180. Si può portare a confronto la forma della testa, con forte naso isolato, d’un idolo marmoreo cicladico di stile “precanonico”, dell’antico Cicladico 181. Non disdice nemmeno assomigliare, per il particolare del viso, altro idolo di stile Spedos, dell’antico Cicladico II182 e un frammento di testa in conchiglia, pure di stile Spedos, da collezione privata183. La testa circolare la si vede anche in figurine anatoliche184.
A differenza della forma della testa e del volto delle statuine precedenti, quella dei nn. 86 e 120 è oblunga, col naso a listello prolungato sino alla sommità del capo, su corto e tozzo collo. Si disegnano gli occhi a tondino inciso. Tornano a riscontro le fattezze del viso in un idolo marmoreo, tipo Drios A, dell’antico Cicladico I, nella “Raccolta d’arte statale di Dresda”185 e in altro della stessa materia, di stile “postcanonico” della University of East Anglia di Norwich186.
È la forma del tronco che dà individualità alle statuine. La placca compatta del busto, caratteristica degli idoletti di cui nel paragrafo 2, si disarticola producendo il disegno a se stante del busto trapezoidale ristretto in basso a “vitino di vespa” delle braccia che lo contornano, distinte, a cornice quadrangolare.
La scissione è operata con un traforo per parte del tronco, che mette in evidenza il cavo ascellare in disegno di lungo e stretto triangolo acuto. La cornice quadrangolare del busto è formata dalle spalle, dai bracci piegati al gomito e dagli avambracci flessi ortogonalmente verso la vita cui si attaccano, suggerendo lo stilismo delle mani ricondotte al petto nelle effigi della Dea madre. In venti figurine si conserva totalmente o in parte la cornice bracchiale di contorno trapezoidale con base minore in basso (nn. 81-84, 86, 89, 91-92, 95, 100-101, 107, 109, 114-115, 117, 125: 17 esemplari, 85%) e quadrato (nn. 98, 103, 112: 3 esemplari, 15%). La cornice bracchiale, piatta e rigida, occupa la maggior parte del corpo, per lo più in misura calibrata se si eccettuano l’esondanza e lo squilibrio nel n. 91. Lo schema accentua il bilanciamento, ossia la rigorosa composizione bilaterale, geometrica e simmetrica, della figura. Liscia è la superficie del contorno delle braccia, tranne che nei nn. 81, 91 e 124, dove si apprezza un timido approccio decorativo nella generale concezione di pura struttura dell’insieme figurale. Le spalle e i bracci del n. 81 da Portoferro presentano posteriormente una frangia orizzontale di brevi e spaziate tacche verticali (sulle spalle) e bande verticali di fitte striature orizzontali (sui bracci). Un più semplificato addobbo (sei incisioni nella parte superiore dorsale delle spalle) appare nel n. 91 da Marinaru. L’idoletto n. 124 da Conca Illonis, in argilla, presenta il dorso delle spalle segnato da nove impressioni ovali fatte a stecca, e il dritto da sette residue.
Schematica e netta è pure la zona del petto nel quale, sulla linea di nascita del cavo ascellare, emergono le mammelle, unico segno di femminilità. Le mammelle si osservano in 14 figurine: modellate a cono in nove, per il 64,28% (nn. 8184, 86-87, 98, 120, 121) e di forma emisferica in cinque, per il 35,71% (nn. 89, 91, 101, 111, 115). Hanno diametro e rilievo massimo nel n. 81, rispettivamente cm 1,2 e 1 (forma conica), minima nel n. 89, rispettivamente di cm 0,3 e 0,1 (forma emisferica). In media il diametro è di cm 0,8 e il rilievo di cm 0,4.
Le figurine nn. 91 e 101, dalla tomba II di Monte d’Accoddi, si distinguono per la presenza di una solcatura verticale sulla schiena a segnare la linea della colonna vertebrale; nel n. 101 si osserva pure una solcatura pettorale. Più che ad annotazione anatomica le solcature tendono a mettere in evidenza la ponderazione bilaterale della figura, in osservanza del “geometrismo’. Il solco nella schiena si ripresenta in idoli a gruppo di tre dell’antico Cicladico II, prima maniera di Spedos187.
Lo schema del busto con cornice di braccia disgiunte da traforo ascellare appare una connotazione che trova l’esito figurativo più rilevante in numero e qualità di idoletti nel tardo neolitico della Sardegna, mentre ha scarsa applicazione in idoletti di aree esterne. Tra questi vanno citati una statuina marmorea da Armorgos tipo Plastiras188, dell’antico Cicladico I e idoli pure in marmo da Naxos189 e da Syros190. Lo stesso schema appare in una figurina, in composizione con altre, e con segni astratti, d’una forma di getto in serpentino, da Salenti Thiateria (Anatolia); la scena sembrerebbe d’influenza siriaca e mesopotamica191.
Quanto alle forme che stilizzano gli arti inferiori, quella a cono del n. 81 è più o meno come in un idolo marmoreo da Apeiranthos dell’antico cicladico I-II in collezione privata192 e in altra statuina in marmo della serie “Nudo rigidi” dall’Anatolia occidentale dell’età del Bronzo II, metà del III millennio a.C.193. Per il resto (forma ovale più o meno sviluppata) si tratta di autonome produzioni degli artigiani locali, senza riscontro esterno194.
Infatti, locale è il materiale in cui sono scolpite le statuine sarde in esame. Il marmo dei nn. 86-88 dall’ipogeo XX bis di Anghelu Ruju è quello delle cave di Orani (Nuoro) e la calcite dei nn. 93, 100-118, 121 è nativa195, ben presente nell’area settentrionale del Sassarese, luogo da tempo individuato per la produzione degli idoli a placca traforata196; ne vale a smentirlo una recente proposta, non ragionata, di riferirla a “una sorgente meridionale”197.
Giova ora collocare le statuine sarde a placca di busto traforato in un quadro culturale preciso e proporre, nel possibile, una cronologia.
A cominciare dalla pubblicazione dei primi idoli del genere, rinvenuti nella cella d dell’ipogeo XX bis di Anghelu Ruju (nn. 86-88), e successivamente delle figurine di Sa Guardiola-Portoferro (nn. 81-85), gli esemplari sono stati ascritti a un quadro eneolitico, con varie date: seconda metà III millennio a.C.198, 2800-2000 a.C.199, II millennio inoltrato200, metà II millennio201. Nel 1963 gli idoletti in discorso, seppure supposti eneolitici, sono riferiti, per la prima volta, alla cultura di San Michele di Ozieri e ritenuti successivi a quelli con placca di busto compatta, della fase prima dell’età del rame: 2000-1800 a.C.202. Questo inquadramento culturale è seguito dalla maggiore parte degli Autori203. Nel 1977, gli idoletti dell’ipogeo II di Monte d’Accoddi sono collocati nell’ambito della cultura cosiddetta di Filigosa e negli ultimi secoli del III millennio a.C. – primi secoli del II204. All’ipotesi aderiscono alcuni studiosi, in scritti recenti, proponendo una cronologia più alta: circa 2500-2000 a.C.205. Un tardo o post Ozieri, con datazione alla fine del IV millennio a.C., è addotto dalla Gimbutas per la figurina n. 81 da Portoferro206.
Da quanto esposto non appaiono nè un ambito culturale nè una cronologia definita. Senza alcuna pretesa di chiudere la discussione, ritengo utile portare qualche elemento migliorativo di conoscenza e di approccio al problema, per due versi; e cioè con lo studio dei contesti materiali delle statuette e delle rispondenze iconografiche in aree esterne all’isola.
Le figurine di Anghelu Ruju nn. 86-88, rinvenute nella piccola nicchia d, il vano più riposto e interno dell’ipogeo XX bis, facevano parte d’un corredo funerario composto da oggetti litici, d’osso, in metallo e di ceramiche. Un oggettino manicato in osso207 assomiglia a esemplari di Poliochni-Lemno e delle Cicladi208. I vasi di pregevole fattura e ornati a incisione di fasci curvilinei a tratteggio riempito di sostanza rossa, sono di ottimo stile Ozieri209. Peraltro è presente anche un frammento di vaso campaniforme, di stile “marittimo’210e figurano due pendenti a olivella in argento pertinenti a cultura “beaker”211. Con le statuine a placca di busto traforato, era deposto pure un idoletto in calcare a placca di busto compatta, la nostra statuina n. 33212. Gli elementi di corredo rivelano due momenti culturali e cronologici: il primitivo (statuina n. 33, oggettino d’osso, ceramici a fasci curvilinei) di cultura Ozieri: circa 3300-2500 a.C., il successivo (statuette nn. 86-88, frammento vaso e pendagli in argento “beaker”) di cultura Abealzu-Filigosa con oggetti di corrente campaniforme: 2500-2000 a.C. circa213.
Le sei statuine a placca traforata, rinvenute nello strato inferiore della cella B dell’ipogeo II di Monte d’Accoddi (nn. 98-103), stavano associate confusamente con oggetti della cultura Ozieri, Monte Claro e Abealzu-Filigosa, in materia litica e in terracotta214. Le ceramiche appartenenti a dette culture, in tutto diciotto frammenti di vasi differenti, si presentano nelle seguenti proporzioni: cinque della cultura Ozieri (27,77%), tre della cultura Monte Claro (16,66%) e dieci della cultura Abealzu-Filigosa (55,55%)215. La percentuale di più della metà in vasaria di quest’ultima cultura, e cioè la sua massima presenza nel corredo funerario, invita a supporre l’appartenenza alla stessa delle statuette che formano un blocco omogeneo per iconografia e stile; difatti, in questo senso si sono espressi vari studiosi216.
Ai tempi della cultura di Abealzu-Filigosa possono essere assegnati i sette idoli a placca traforata rinvenuti in punti e profondità vari all’esterno dell’altare di Monte d’Accoddi (nn. 104-110)217.Le figurine, posteriori ai cripto-idoli in forma di otto (nn. 29-30), alla statuina in argilla in posizione assisa n. 21 e a quella, pure in argilla, a schema di busto compatto con prominenze ad alette n. 68 dalla capanna dello “Stregone”, rappresentano immagini di devozione nel periodo di maggiore sviluppo del santuario. Questo coincise con il momento della ristrutturazione della primitiva ziggurath con la cella dipinta in rosso, in versione “megalitica” con nuova rampa, avvenuta appunto nei tempi della cultura Abealzu-Filigosa, come attestano strutture e addobbi del monumento e materiale218. Del resto le immagini a placca di busto traforato, più numerose di quelle del tempo antico e pertinenti al c.d. “tempio rosso”, sono simili per forma e stile agli idoli nn. 98-103 del prossimo ipogeo II di Monte d’Accoddi, tomba del vasto cimitero che contornava lo ziggurath. E ciò conferma l’inquadramento culturale proposto con indicazione cronologica degli ultimi quattrocento anni del III millennio a.C.219.
Non si sfugge alla suggestione di collegare culturalmente e cronologicamente agli idoli di Monte d’Accoddi-necropoli altare, le statuette nn. 94-97, trovate in scavo più o meno attento negli ipogei I e II di Ponte Secco, luogo prossimo al grande santuario che doveva attivare vita e opere religiose e civili nel suo compendio e per la sua funzione centrale. La figurina n. 94 della tomba I, rinvenuta nello spazio tra le cellette d ed e costruite successivamente all’impianto originario del complesso ipogeo, stava confusa con materiali di corredo, molto frammentari, litici e ceramici, nonché a vaghi di collana tratti da valve di molluschi marini o da zanna di cinghiale. Dei rottami vascolari, i più lisci forse della cultura di Bonnànaro, si distinguono per maggior significato due cocci con decorazioni, uno in stile Ozieri e l’altro in stile “beaker”220. Da notare che il frammento di stile Ozieri è l’unico rinvenuto nella tomba, mentre di stile “beaker” sono stati raccolti pezzi nelle cellette g e h, marginali al corpo del’ipogeo come d-e221 e, nel maggior vano b, è stato trovato un brassard in pietra grigio-verdina, elemento della corrente campaniforme222. Insomma, lo stadio di maggior uso della tomba I di Ponte Secco è testimoniato da materiale eneolitico con apporti commerciali “beaker” alla cultura del tempo che poteva essere stata quella tardiva di Abealzu-Filigosa. Da ciò l’ipotetica attribuzione delle statuine a busto traforato a questo ambito culturale. Circa i consimili idoli pur essi molto guasti, dalla tomba III di Ponte Secco, M.L. Ferrarese Ceruti, sebbene propensa a riferirli a cultura Ozieri, non esclude anche quella di Abealzu-Filigosa223.
Di esplicito significato post-Ozieri è la situazione stratigrafica e di associazione di corredo della statuina n. 91 da Marinaru, tomba I: un ipogeo a pozzetto, costruito in tempi Ozieri224 ampliato in periodo di cultura Monte Claro225 nel contatto con la corrente “beaker”. La figurina fu appunto rinvenuta nella cella d, uno spazio irregolare espanso di forma e tecnica differenti da quelle dei vani a-c del primitivo impianto226. Essa costituiva l’elemento di spicco del corredo, quasi integro, di un defunto inumato in posizione rannicchiata, integrato da un pacchetto di vasi campaniformi di pregevole fattura e con decorazione lineare in stile marittimo227. Lo strato contenente l’insieme, a livello di pavimento, era sovrastato, quaranta centimetri più in alto, da un gruppo omogeneo di vasi di stile Bonnànaro, corredanti un adulto dolicocefalo228. Questi dati oggettivi rendono trasparente l’appartenenza del n. 91 a stagione successiva a quella della cultura Ozieri: subneolitico in sintonia con Abealzu-Filigosa229.
L’idoletto n. 92 da Calancoi, simile per la stilizzazione degli arti inferiori a corta linea, ai nn. 84 di Portoferro, 91 da Marinaru e 100 da Monte d’Accoddi-ipogeo II non si lascia concludere in una precisa fase culturale. Infatti il materiale di corredo col quale si associava, estratto dall’ipogeo c senza alcuna attenzione stratigrafica, mostra elementi di probabile cultura Ozieri230 ed altri di possibile cultura Abealzu-Filigosa231. Per vero la statuina aderisce per iconografia e stile ai citati numeri 91 e 100, riferiti a quest’ultima cultura232. Va poi tenuto presente che le grotticelle di Calancoi fanno un tuttuno con quelle delle località di Sos Lacheddos e di Abealzu – eponimo della cultura – dalle quali sono state restituite numerose ceramiche di stile Abealzu-Filigosa233. È forte la suggestione di attribuire a questo quadro culturale anche la figurina n. 92.
Pure l’inquadramento culturale del resto di idolo n. 93 del vano maggiore dell’ipogeo n. 2 di Oredda, è problematico. Da una parte i due frammenti di vaso a cestello con fondo segnato da striature rientrano nella tipologia Ozieri234. Dall’altra, i rilievi corniformi che decorano la parete d’ingresso all’ipogeo n. 1 dello stesso sito di Oredda, di pianta assolutamente simile a quello dell’ipogeo n. 2235, sono ascritti alla cultura di Filigosa236.
Si discute, altresì, sulla radice culturale e sull’età delle statuine nn. 115-118 dell’ipogeo di Littoslongos, rinvenute nel lungo corridoio esterno, nel padiglione retrostante (fuori posto) e nella cella di fondo g237. Né vale per la soluzione il constatare che in nessun altro contesto di contenitore e contenuto, esiste, come in questa tomba, una perfetta coerenza stilistica, improntata a geometrismo “a quadro” manifesto nel bilanciato assetto architettonico dei vani di preciso taglio quadrangolare238, nel rigido profilo ortogonale dei “corniformi” costituenti l’addobbo simbolico239 e delle statuine a netta placca di busto traforato.
Nel corredo funerario, per la verità non ricco a causa di ripetuto saccheggio e dispersione, gli oggetti parrebbero rispecchiare momenti culturali diversi e successivi. Lasciando da parte i manufatti litici, meno significativi240, una ventina di frammenti ceramici per lo più decorati indicano l’aspetto di cultura Ozieri241. Ma due frammenti sono di quadro culturale successivo, sub-Ozieri o Abealzu-Filigosa242. Si aggiunga che prende piede la tendenza a riferire anche i “corniformi” a profilo ortogonale a quest’ultimo ambito243. Al quale non è illecito attribuire le stesse statuine nn. 115118, senza escludere che il tipo possa essersi originato col finire della cultura di Ozieri e il trapasso al derivato aspetto Abealzu-Filigosa244.
Non è il caso di approfondire il discorso alla ricerca di sicura appartenenza culturale (Ozieri oppure Abealzu-Filigosa) circa le statuine nn. 119-124, perché vengono da raccolta di superficie, senza riscontro stratigrafico.
Pare opportuno, invece, apportare, al fine d’una meno improbabile collocazione epocale dei nostri idoletti a placca di busto traforata, i confronti iconografici di aree culturali esterne alla Sardegna, individuati nelle pagine precedenti. Ciò si fa con la riserva d’un grado di affidabilità commisurato al livello dei confronti limitati a dettagli corporei delle figurine messe a riscontro delle sarde: forma della testa, del busto e degli arti stilizzati. È da aggiungere che il discorso comparativo va inteso a piano di affinità, di clima di epoca e non di vera e propria “parentela” tra le sculture.
Le analogie si osservano con statuine di area anatolica occidentale, dell’età del Bronzo II2700/2400-2300 a.C.245, di luoghi della Moravia e dell’Ucraina con aspetto di cultura Cucuteni B, circa metà IV millennio a.C.246 e delle Cicladi. Sono le figurine cicladiche quelle meno lontane nel confronto e di una qualche utilità per un orientamento cronologico degli idoletti sardi. A ciò valgono non tanto le statuine dell’antico Cicladico I (fase grotta Pelos) di stile “precanonico”, Drias A e Plastiras-3200-2700 a.C.247, quanto le figurazioni dell’antico Cicladico II (fase Keros-Syros), di stile Pedos, Apeiranthos e “post-canonico”: 2700/2400-2300 a.C.248.
Concludendo l’esame delle statuine sarde di stile planare, proporrei le seguenti datazioni: statuine a placca di busto compatto = 3400/2700 a.C. e statuine a placca di busto traforato = 2700/2400-2300 a.C. È possibile che per un certo periodo di tempo (2700-2500) i due tipi abbiano convissuto. Il più antico tipo attraversa l’intero spettro della cultura di Ozieri, il secondo poté nascere al tramonto di questa cultura per fiorire nei tempi della cultura eneolitica Abealzu-Filigosa, favorito dall’instaurarsi di un nuovo “mito”, a regola d’un sistema sociale in cambiamento, se non del tutto mutato.
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bravo,forse troppo tecnico per una lettura da parte dei non addetti ai lavori ma questi ultimi apprezzano.ciao
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