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Vita quotidiana e morte a Chiaramonti nell’anno del Signore 1826 (agosto-dicembre)

Scritto da angelino tedde

Sguardi storici a cura di Angelino Tedde

Premessa

Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo (1814), i sovrani europei avevano imposto, con fini strategie, la restaurazione del potere assoluto e l’alleanza fra il Trono e l’Altare.

Un’altra  Europa sotterranea però covava come il fuoco sotto la cenere: massoni, carbonari e altre società segrete oltre che giovani pensatori del livello di Giuseppe Mazzini (Genova 1805-Pisa 1872) e giovani combattenti per la libertà come Giuseppe Garibaldi ( Nizza,1807- Isola di Caprera 1882) allo scopo di rovesciare i sovrani dai troni e imporre la democrazia sperimentata durante la rivoluzione francese.

L’Italia era divisa in 7 Stati: Regno di Sardegna (gli Stati dei Savoia), Regno lombardo Veneto (Austria), Ducato di Parma e Piacenza (Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone) Ducato di Modena e Reggio(Asburgo d’Este), Granducato di Toscana (Asburgo Lorena), Stato della Chiesa (Pio VII), Regno delle Due Sicilie (Ferdinando I di Borbone).  Da questa divisione dell’Italia erano passati 11 anni.

I Savoia, che già possedevano il Ducato di Savoia, il Principato del Piemonte, la Contea di Nizza, il Genovesato,  dal momento in cui erano diventati re di Sardegna (1720), continuavano a governarla per mezzo di vicerè che si avvicendavano di triennio in triennio con residenza Cagliari. Tra i più noti e attivi viceré, dal 1735 al 1738, si era contraddistinto, per la sua determinazione repressiva Carlo Amedeo Battista Marchese di San Martino, d’Aglié e di Rivarolo, già severo comandante delle sabaude galere. Non se ne stette a dare ordini da Cagliari, ma a capo di un discreto contingente militare, visitò i villaggi più turbolenti dell’Isola, gettò nelle carceri ben 3000 pregiudicati, ne fece impiccare con rituali efferati 400 ed esiliò anche gl’intoccabili nobili divisi tra fautori della Spagna, dell’Austria e nuovi fautori del Piemonte. Le visite ai paesi dell’Anglona e della Gallura lo videro severo nei confronti dei capifazione di Nulvi e di Chiaramonti (i Tedde e Delitala) che mandò al confino per un biennio. Più tardi ci volle l’opera missionaria del gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo dei Conti di Castiglione che abbandonato l’insegnamento universitario a Cagliari si diede a predicare la parola di Dio tutti i villaggi della Sardegna e a promuovere le paci tra famiglie rivali, tra le quali i Tedde e i Delitala di Chiaramonti e Nulvi, e altre della Gallura. Tra l’altro compose un catechismo e dei gosos ai santi patroni in sardo logudorese. Chiudiamo, per ora, questa finestra sul Settecento e torniamo all’Ottocento a cui si riferiscono gli atti notarili

Il primo secolo del dominio sabaudo

Nel corso di oltre cento anni (1720 -1826). i sovrani sabaudi avevano provveduto ad imporre un maggior ordine nel bilancio del regno; a vigilare sugli arbitri di oltre 300 feudatari sardi e spagnoli (assenti questi ultimi, ma  rappresentati da appositi podatari); a restaurare le università di Cagliari e di Sassari, (1760-65), chiamandovi ad insegnare illustri studiosi di Terrafema; a restaurare le scuole inferiori (Umanità e Retorica), istituendo 7 classi che andavano dalla VII alla I , definibili classi boginiane); ad imporre l’uso dell’italiano sia nelle scuole accessibili dei collegi religiosi sia negli atti pubblici ed ecclesiastici; ad emanare l’editto delle chiudende per lo sviluppo dell’agricoltura, che appariva ai sovrani illuminati un modello economico più adatto alla “felicità dei sudditi” rispetto al modello scarsamente produttivo del pascolo brado; ad istituire, per la prima volta, nel 1823, le scuole normali triennali (elementari ante litteram) per insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, la dottrina cristiana e il catechismo agrario ai ragazzi, allo scopo di dare a tutti i giovani sudditi un minimo di istruzione, e offrire ai talentuosi meritevoli, l’opportunità di proseguire gli studi medi e l’eventuale conseguimento di uno, di due, di tre o dei quattro gradi universitari (il triennale magisteriato, il biennale baccellierato, l’anno di licenza e, da ultimo, il curriculum massimo della  laurea). In pratica le università sarde sfornarono maestri d’arte, bacellieri, licenziati, laureati nei tre corsi universitari esistenti: il più ambito Teologia, al secondo posto Leggi e al terzo Medicina, la cenerentola fra le tre lauree perché di scarse occasioni di carriera e di rimunerazione. Dopo quest’altra finestrella, torniamo alle neonate scuole normali, dette in piemonte comunali, nel Genovesato elementari, nome che poi, nel 1841, Carlo Alberto  imporrà nei citati suoi 5 Stati, amministrati secondo le leggi proprie di ognuno, contrariamanete a quel che in genere si pensa, e purtroppo, alcuni storici distratti e improvvisati si scrivono.

Queste prime vere scuole popolari pubbliche, (anticipate dalle informali scolette parrocchiali con pochi privilegiati alunni), (catechismo e grammatica), furono messe a carico della Comunità, sotto la provvidenza del sindaco per i locali e le attrezzature e la sovrintendenza didattica e morale del parroco, per la vigilanza sui precettori che in genere erano i viceparroci o, se c’erano dei religiosi, questi ultimi.  Solo in mancanza di sacerdoti, in poche piccole comunità, si ricorreva a scrivani, a segretari comunitativi, a chirurghi e altri graduati all’università. Le spese del funzionamento erano a carico della Comune o Comunità, costituite da assemblee comunitative e da tre consiglieri che coadiuvavano il sindaco (1791) nella propria casa, un abbozzo ancora grezzo e informe di quello che più tardi diventerà il Comune autentico (1848), l’unica istituzione paragonabile a quella attuale.

Per le spese delle scuole, se non c’erano lasciti, si affittava un terreno comunitativo e dal ricavato si pagavano le spese per i locali, per il precettore e per le attrezzature.

Torniamo però al 1826. Le campagne del territorio chiaramontese continuavano ad essere chiuse con i muri a secco e naturalmente chi più si poteva allargare si allargava, anche se non più di tanto, perché c’erano ancora i latifondi del feudatario spagnolo. Con  la chiusure si rendeva più difficoltoso per la Comunità il diritto di legnatico, di acqua, di raccolta delle ghiande e altri prodotti per continuare a praticare “l’economia del maiale” come la chiamano gli studiosi. Per le semine c’erano ancora gli ademprivi, vale a dire sos padros, che gli abitanti utilizzavano con semine a rotazione e con disaffezione, per il frumento necessario per la sussistenza degli abitanti del borgo ai quali veniva dato in uso un appezzamento di terreno.

Per i più poveri, al momento della semina, c’era la possibilità di ottenere un certo quantitativo di sementi dai monti frumentari, per evitare d’incappare negli usurai che erano sempre pronti ad angariare i contadini meno accorti e riflessivi.

Il contesto storico del centro abitato

Le case di Chiaramonti, non più di 350, si inerpicavano verso la parrocchiale di San Matteo al monte, altre accanto all’oratorio del Rosario, altre ancora attorno all’oratorio di Santa Croce, altre, ma poche, andavano sorgendo presso Sa Niera, prima e dopo il palazzo dei Grixoni, quasi all’ombra del mulino a vento le cui pale giravano con un certo sibilo nei giorni ventosi.  I Carmelitani di Antica Osservanza, non numerosi, vivevano isolati dal paese nel loro Convento e chiesa seicenteschi, intitolata ai loro santi protettori: la Vergine del Carmine e Sant’Elia (il profeta scomparso in un carro di fuoco alle pendici del monte Carmelo in terra Santa). Spettava a loro l’insegnamento delle scuole normali, allogate nell’oratorio della beata Vergine del Rosario. A periodi il frate incaricato pretendeva che i ragazzi salissero in convento per far scuola nell’attigua loro chiesa del Carmelo.

Il popolato era costituito da circa 400 contadini, in parte giornalieri senza animali (50%)  e in parte dotati di carri e buoi (50%) e 300 pastori, la maggior parte  servi-pastori, detti grecamente teracos (servi) presso i possidenti o amministratori del feudo. Una cinquantina di uomini si dedicavano ad attività artigiane e una cinquantina di donne lavoravano ai 50 telai tradizionali, non ancora aggiornati dal geniale prete Matteo Caccioni e dalla Maestra Pia Venerini romana, Anna Bella.

Dei ragazzi, circa il 30%  della popolazione (250-300), tolti un altro 30% di poppanti (80-100), circa 120-150 in età scolare, solo il 10% frequentavano le neonate scuole normali anche se c’è da tener conto che i possidenti affidavano i loro figli a precettori privati che potevano essere maestri d’arte, bacellieri, licenziati, laureati in Teologia o in Leggi. D’altra parte risiedevano in paese almeno tre sacerdoti, oltre il vicario, che li coinvolgeva nella cura delle anime e almeno tre frati carmelitani nel loro Convento che di certo non se ne stavano con le mani in mano, visti gli atti rogati da svariati notai e giacenti nella Biblioteca (detta universitaria) dei Beni Culturali in Sassari e data l’attività pastorale svolta sotto il vicario, ma anche al di là delle competenze vicariali. Uno di loro diverrà parroco, discusso, della parrocchiale di San Matteo.

Queste le notizie che sicuramente il buon cronista scolopio, padre Vittorio Angius, raccolse alle soglie degli anni Trenta dell’Ottocento; notizie raccolte dall’intellinghenzia religiosa e laica di Chiaramonti  la cui popolazione, nella maggior parte abitante nel popolato, ma in parte anche nel vasto territorio della Comune, oscillava tra le 1700 e oltre le 2000 unità.

Fatta questa debita premessa, eccoci agli atti notarili del 1926.

Gli atti rogati nel 1826 dal Notaio Giommaria Satta  per i chiaramontesi sono 10,  tra questi, uno per alcuni abitanti di Martis.

Le vigne oggetto di compravendita sono tre. Un atto riguarda la compravendita di una capanna (pinnetta). Gli altri sei rogiti riguardano compravendite di appezzamenti di terra.

Non avendo trascritto l’intero testo degli atti siamo costretti ad analizzarne il contenuto solo dei regesti (riassunti telegrafici) che menzionano l’oggetto della transazione, i venditori e gli acquirenti.

I venditori sono il fabbro Francesco Casula, sicuramente maestro di fabbri che giungeranno fino alla fine dell’Ottocento, le sorelle Murruzzulu e la vedova Maria Tedde, il giovane Giommaria Budroni, Michele Dau, Matteo Satta, Antonio Maria Truddaiu-Seu, la nobildonna Angela Campidanesu-Camerini, Caterina e Giorgia Carta, Vincenza Mundula e il padre, Antonio Cabresu e il canonico Gio Tomas Manca, tutti proprietari, che vendono ai seguenti acquirenti: Sacerdote Salvatore Masala, due acquisti, Andrea Ruiu, Giovanna Dau e Antonio Satta Tedde, Antonio Seu e Pietro Vincenzo Tedde, Bachisio Usai, sacerdote, Salvatore Manunta e Anna Murruzzulu. Nel totale 12 venditori e 9 acquirenti tra i quali  due sacerdoti, uno dei quali effettua due acquisti.

I cognomi di venditori e acquirenti, in ordine alfabetico sono:

Budroni, Cabresu, Campidanesu, Carta, Casula, Dau, Manca, Manunta, Masala, Mundula, Murruzzulu, Ruiu, Satta-Tedde, Seu, Tedde, Usai. Con una breve ricerca nell’anagrafe comunale potrebbe essere agevole mettere in luce i cognomi tuttora esistenti.

Data l’inconsultabile anagrafe, ormai escluso appannaggio dell’incaricata, purtroppo per la legge sulla privacy, è una ricerca impossibile per me che di Chiaramonti non sono notabile, nonostante l’autorizzazione del sovrintendente dei Beni Culturali Regionale.

I mesi riguardanti queste compravendite immobiliari vanno da agosto a dicembre. Allo stesso periodo risalgono i testamenti. Aggiungendo quei cognomi a questi si ricuperano i cognomi Carcassona, Cherchi, Migaleddu. Emergono nel complesso degli atti  ben 18 cognomi e, oserei dire, nuclei familiari, se si considera che anche i sacerdoti o convivevano con alcuni familiari o con dei servitori di entrambi i sessi come si potrà vedere nella lettura del   testamento di un vicario.

I testamenti offrono maggior curiosità perché calcolando il valore dei beni inventariati si può ricostruire almeno in parte l’agiatezza delle famiglie e dei singoli nonché l’origine delle ricchezze degli ultimi decenni dell’Ottocento e della prima metà del  Novecento. Altro elemento che si potrebbe ricostruire è il grado di alfabetizzazione dei testimoni in quanto se sottoscrivono l’atto è evidente che sono alfabetizzati, mentre se non firmano si rileva che sono analfabeti. Per ora ci dobbiamo accontentare dei regesti, ma chi vuol togliersi la curiosità potrà consultare gli atti presso l’Archivio di Stato di Sassari, presentandosi con un progetto di ricerca e potrà leggerseli per intero rilevando l’entità dell’appezzamento, la località e spesso i confinanti.

Le compravendite

1

1826, agosto 29, Chiaramonti

Vendita d’un tratto di terra sottoscritta dal  fabbro Francesco Casula a favore del Sacerdote Salvatore Masala. ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

2

1826, agosto 30,  Chiaramonti

Vendita d’un tratto di terra sottoscritta e segnata dalle sorelle Murruzzulu e dalla vedova Maria Tedde a favore di Andrea Ruiu tutti di Chiaramonti.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

3

1826,  settembre 4,   Chiaramonti

Vendita di un terreno sottoscritto e segnato dal nubile (sic) Giommaria Budroni in favore del sacerdote Salvatore Masala.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

4

1826, ottobre 1,Chiaramonti

Vendita di un tratto di terra sottoscritto e segnato da Michele Dau in favore della celibe Giovanna Dau.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

5

1826, ottobre 3,Chiaramonti

Vendita di una vigna sottoscritta e segnata da Matteo Satta in favore di Antonio Satta Tedde.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

6

1826, Ottobre 7 Chiaramonti

Alienazione di 4 porzioni di vigna di Antonio Maria Truddaiu Seu a pro di Antonio Seu.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

7

1826 Ottobre 9, Chiaramonti

Promessa generale della Signora Campidanesu Elia Donna Camerini Angela a pro del Signor Pietro Vincenzo Tedde.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

8

1826, Ottobre 10, Chiaramonti

Alienazione di una capanna della vedova Caterina Giorgia Carta e figli, in favore del Sacerdote Bachisio Usai.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

9

1826, novembre 11, Chiaramonti

Vendita di un pezzo di terra sottoscritta e segnata da Vincenza Mundula e padre, in favore del Sacerdote Stefano Spanu di Martis.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

10

1826, novembre 11, Chiaramonti

Vendita di una vigna sottoscritta e segnata da Antonio Cabresu a favore di Salvatore Manunta.

ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

11

1826 dicembre 18, Chiaramonti

Vendita di un terreno sottoscritta e segnata dal Canonico Gio Tommas Manca a favore di Anna Murruzzulu. ASSS, B. 1, H 55, vol. 1.

I testamenti

Di questi testamenti come degli atti di compravendita non è stata fatta la trascrizione, ma semplicemte il regesto e una rapida lettura. Essi risultano interessanti per la valutazione della consistenza patrimoniale dei testatori, del corredo, dei beni immobili e mobili. Si tratta indubbiamente di testatori agiati e di eredi che fanno parte di quella piccola borghesia terriera del villaggio ottocentesco. I protagonisti, a meno ad una prima comparazione, hanno tramandato i loro cognomi fino ad oggi, più o meno numerosi e qualcuno in via di estinzione. I Cherchi, I Carcassona, i Tedde, i Migaleddu, forse non i Diaz (cospicua famiglia di Ittiri), che pare risultino scomparsi dal nostro paese, salvo prova contraria.

I nomi credo siano ancora in uso in paese quali Caterina, Antonio Giorgio, Francesco, Andrea mentre credo che Petronilla e Baldassarre siano scomparsi anche se da pochi anni, sempre salvo eredi  che non vivono a Chiaramonti. I contributi in merito sono sempre graditi. Del tutto scomparsa mi sembra anche il nome di  Agnetta (Agnese) dal latino Agnes, Agnetis da cui l’italiano latineggiante Agnetta.

1

1826, agosto 30, Chiaramonti

Testamento di Petronilla Cherchi a favore del genero Giorgio Carcassona: mobili, case, tovaglie pentole di rame, animali domestici.

2

1826, settembre 11, Chiaramonti

Testamento di Agnetta Carcassona a favore del consorte Francesco Tedde Pintus e dei e dei figli Caterina e Antonio: casa, mobili, tovaglie, lenzuola, pentole, terreni, cavalli.

3

1826 , settembre 30, Chiaramonti

Testamento del vedovo Nigoleddu Pinna a favore dei figli minorenni.  Sono designati curatori Antonio Luigi Diaz e Baldassare Migaleddu.  Il testatore lascia: case, terreni, somma di denaro, animali.

4

1826, ottobre 5, Chiaramonti

Consegna al notaio del testamento di Andrea Ruiu  di cui si parlerà più avanti.

Qualche curiosità: sia il nome quanto il cognome di questo testatore a Chiaramonti attualmente è portato da un frugoletto vivacissimo di 2 anni figlio di Checco Ruiu, allevatore, e della Geom. Caterina Accorrà. (1826- 2009) Dopo circa 183 anni il nome, accanto allo stesso  cognome, continua a sussistere.

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  1. angelino tedde dice,

    Caro Carlo, ti sarei grato se correggi l\’errore dell\’ultima nota su Andrea Ruiu.
    Gli anni trascorsi tra il 2009 e il 1826 sono 183 3 non 114. Da qualche parte è scritto privay invece di privacy.
    Ti saluto cordialmente.
    Angelino

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