Archivio di aprile, 2010
Scritto da carlo moretti
Vicino ad uno dei più pittoreschi villaggi del Nuorese, noi abbiamo un podere coltivato da una famiglia dello stesso villaggio.
Il capo di questa famiglia, già vecchio, ma ancora forte e vigoroso, – strano tipo di sardo con una soave e bianca testa di santo, degna del Perugino, – viene ogni tanto a Nuoro per recarci i fitti ed i prodotti del podere, e ogni volta ci racconta bizzarre storie che sembrano leggende, invece accadute in realtà tra i monti, i greppi, e le pianure misteriose ove egli ha trascorso la sua vita errabonda, e a molte delle quali egli ha preso parte… Egli si chiama zio Salvatore.
Ecco dunque l’ultima storia che egli ci ha raccontato, che molti non crederanno, e che pure è realmente avvenuta in questa terra delle leggende, delle storie cruente e sovrannaturali, delle avventure inverosimili.
Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell’ovile di pietre e di siepe, e la luna d’aprile, tramontando sull’occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno.
Erano entrambi bruni, simpatici e forti, ma il primo svegliato, che si chiamava Bellia, cioè Giommaria, era più alto e ben fatto, con una testa signorile che colpiva, e faceva chiedere se a chi apparteneva non era figlio di qualche ricco Don.
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Scritto da carlo moretti
Italia, nos costas bene cara
pro su capricciu de ti fagher una!
Da chi ses liberale ses avara
in ogni filu de bona fortuna,
fatta ti ses insipida et amara,
infadosa, molesta et importuna,
cun levas militares et impostas
nos ispulpas, nos bochis… già nos costas!
Salvatore Cossu Rettore di Ploaghe (1799-1868)
Traduzione:
Italia, ci costi ben cara!
Italia, ci costi ben cara per il capriccio di unificarti!
Da quando sei liberale ti sei fatta avida verso ogni bene di fortuna,
sei diventata sgradevole e amara, seccante, molesta e importuna,
con le leve militari e le imposte ci spolpi, ci uccidi… quanto ci costi!
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Poesia |
Scritto da carlo moretti
A prima vista il titolo sembrerebbe lapidario, ma in realtà contro la squadra capolista c’era poco da sperare. Come di solito, i nostri leoni hanno retto il gioco finchè potevano, ma poi hanno dovuto cedere il passo ai gladiatori della squadra avversaria che sinceramente merita la testa della classifica.
E’ stato bello comunque vedere il gran numero di sostenitori che ha incoraggiato la squadra, visibile dal monte vicino dove la manifestazione di Ajò in Anglona 2010, faceva da cornice ai vecchi ruderi dell’antico castello dei Doria.
Era anche possibile vedere la buona disposizione della squadra in campo da parte del Mister Saba, che però a poco è valsa contro la superiorità di gioco degli avversari.
Il prossimo turno sarà una partita per la speranza di rimanere in seconda categoria da parte di tutte e due le formazioni, con il Tula che guida il fanalino di coda e il Chiaramonti che lo segue poco distante.
Noi non abbiamo mai perso la speranza di salvezza e la squadra deve caricarsi perchè i leoni siano padroni dell’arena.
SEMPRE FORZA RAGAZZI E SEMPRE FORZA CHIARAMONTI!!!!!!
Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:
Scritto da angelino tedde
Il vicario Giovanni Satta detta il testamento nel settembre del 1832, trovandosi infermo, dopo circa 38 anni di cura d’anime in Chiaramonti, del vice vicario non conosciamo l’inizio del ministero, ma conosciamo la data del testamento e quella di morte, dal momento che l’inventario dei suoi beni viene effettuato nel giugno del 1834, quindi dopo la sua morte.
Egli detta il testamento al notaio, ugualmente di notte, alla luce di tre candele, come il vicario, ma con testimoni diversi da quelli del del vicario. In ordine alfabetico si tratta di Casula Francesco, sacerdote, Cossiga Baingio, chirurgo, Migaleddu Baldassarre, Talu Antonio, Tedde Vincenzo, medico. Come si vede i medici abbondano, ma è presente anche il chirurgo, probabilmente per fargli calare la pressione alta applicandogli le sanguisughe. Il medico, nell’allora curriculum universitario, doveva seguire un corso di 6 anni e doveva curare i malati ricorrendo alla farmacopea, mentre il chirurgo seguiva un corso di cinque anni e doveva sempre intervenire con varie operazioni sul corpo del malato. L’uno non poteva invadere il campo dell’altro. Soltanto nel 1857 furono unificati del tutto i due corsi ed ecco perché, quasi un relitto storico, ogni medico anche oggi viene detto medico chirurgo benché non sia deputato a fare operazioni a meno che non sia specializzato in chirurgia.
La formula seguita dal notaio, salvo qualche svarione, segue quella del vicario e sarebbe superfluo soffermarci ancora su di essa. Il vice vicario vuole essere seppellito anch’egli nella parrocchiale di San Matteo al Monte. I curatori dei funerali oltre che la sorella Francesca sarà anche il nipote Giorgio Falchi. D’altra parte la donna, presumibilmente illetterata, ma non analfabeta come vedremo nella stesura dell’inventario, aveva pur bisogno dell’aiuto del cugino, visto che don Baingio ha una situazione immobiliare problematica, proprio per non dire “incasinata” come volgarmente si dice oggi.
Il nostro dà inizio al testamento disponendo che la nobildonna Anniga Solinas della quale è stato procuratore per tanti anni, saldi i cento scudi dovutigli ai suoi eredi, si suppone intentandogli causa, visto che la donna non glieli ha ancora resi; altra grana è la casa abitata da una sua nipote per la quale questa deve pagare l’affitto. E siccome, si dice non c’è due senza tre, la terza grana deriva da una casa lasciatagli dalla defunta Giovanna Satta, in stato precario e da lui restaurata con 33 scudi, e per il valore della quale doveva celebrare delle messe, egli dispone che una volta tolti dall’affitto quanto vi ha investito, esso debba essere versato alla Causa Pia, mentre lui si è rifatto trattenendo un terreno che trovasi in località Orria Pizzinna, del valore di 9 scudi come da estimo eseguito dai periti Vincenzo Unali e Vincenzo Fiori.
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Scritto da carlo moretti
L’associazione delle Pro Loco dei comuni anglonesi e della bassa valle del Coghinas, presenterà a Chiaramonti domenica 18 aprile, la quarta edizione di Ajò in Anglona.
Anche quest’anno l’inaugurazione stagionale avverrà a Chiaramonti alla presenza delle autorità.
Nata nel 2007, da un idea della Pro Loco diretta da Sandro Unali, è riuscita ad accomunare i comuni anglonesi e della bassa valle del Coghinas in una manifestazione, che anno dopo anno, si sta dimostrando sempre più interessante e sta coinvolgendo anche altri comuni che inizialmente non avevano aderito all’idea.
Vi aspettiamo perciò Domenica 18 aprile tutti a Chiaramonti per inaugurare Ajò in Anglona 2010.
Ecco il programma della manifestazione:
- 10:00 – Apertura degli stands
- 10:30 – Nella Parrocchia San Matteo, Santa Messa accompagnata dal Coro Parrocchiale
- 11:30 – In P.zza Repubblica, inaugurazione Ajo in Anglona 2010, con la presenza delle varie autorità
- 12:00 – Aperitivo ai giardini pubblici in Piazza Repubblica
- 13:00 – Inizio percorso itinerante nel centro storico, visitando i luoghi più suggestivi ed interessanti del paese. Durante il percorso sarà possibile fruire di punti di ristoro con piatti tipici. (buono pasto 6 euro)
- MENU’ COMPOSTO DA:
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- Antipasto
- Primo
- Secondo
- Digestivo
- Acqua e vino
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Buono pasto da acquistare sul posto o su prenotazione ai numeri
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079 569254 – 348 9158653 – 348 2523270
- 15:00 - Castello dei Doria: convegno sulla storia medievale del paese
- 16:00 – Castello dei Doria: esibizione del “Coro de Tzaramonte”. A seguire esibizione di parapendio organizzata dall’Associazione sportiva e scuola di volo “I Grifoni” Chiaramonti, con l’istruttore Salvatore Solinas
- 16:30 – Visite guidate ai siti di maggiore interesse nel territorio (su prenotazione, biglietto 1 euro)
- 17:00 – Castello dei Doria: esibizione del “Gruppo Folk Santu Mateu de Tzaramonte”
- 19:00 – In Piazza Repubblica balli per tutti, dal Sardo al Samba.
Gli orari potranno subire delle variazioni in base alle esigenze della giornata.
Buon divertimento!
Scritto da angelino tedde
Per rendere edotti i miei 5 lettori, compreso quello che mi abbassa la valutazione, cliccando sulla stellina meno generosa, a quanto già detto sugli atti dei primi anni Trenta dell’Ottocento, offro la lettura di due testamenti di notevole interesse perché sono del Vicario Satta (1795-1833) e del vice vicario Cabresu (Falchi).
Per questa puntata presentiamo il testamento del vicario.
Il vicario Giovanni Satta fa testamento nel 1832, l’uomo è talmente malridotto che non riesce a firmarlo. Egli lo detta di notte alla luce di tre candele.
L’altro elemento importante che risalta è la constatazione di testimoni quasi tutti con grado universitario. Li elenchiamo in ordine alfabetico: Cabresu Baingio, sacerdote, Cossiga Gavino, chirurgo, Falchi Sanna Pietro (Cristoforo), (notaio), Ferralis Domenico, baccelliere in medicina, Multineddu Giovanni, presumibilmente maestro d’arte.
La premessa del testamenti è rituale e fa riferimento alla morte, sempre certa, ma incerto il momento in cui questa avviene. Da ciò la determinazione di fare testamento.
Il secondo pensiero del vicario è rivolto a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Sua Santissima Madre, la Vergine Maria, Avvocata dei peccatori davanti al giudizio di Dio.
Si passa quindi all’enunciazione di una grande verità di fede, molto consolatoria al momento della morte: il vicario chiede l’accoglienza dell’anima nella Patria Celeste, non per i pochi suoi meriti, ma per il Preziosissimo Sangue, sparso durante la Passione e morte da Gesù Cristo, in espiazione dei peccati degli uomini, per sollecitare la Misericordia di Dio-Padre verso l’umanità peccatrice.
Provveduto, quindi, al bene dell’anima, il vicario passa alla scelta della sepoltura ecclesiastica nella chiesa parrocchiale di San Matteo al Monte e alle relative pompe funebri.
Fatta questa debita e rituale premessa, si passa ai beni della terra e alla loro destinazione, perché questi non si possono portare all’altro mondo.
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