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2010
Dagli scavi spuntano un antico villaggio e un santo misterioso – La Nuova Sardegna 18 maggio 2010
Un villaggio medievale scomparso, una chiesetta romanica dedicata a Santa Maria Maddalena, l’epigrafe trecentesca di un santo sconosciuto e, per certi versi, misterioso. Ci sono tutti gli ingredienti tipici della trama di uno di quei best-sellers – sullo stile de Il Codice da Vinci – che negli ultimi anni hanno appassionato migliaia di lettori, anche in Sardegna. In realtà si tratta dei primi interessanti risultati che fanno da sfondo a una importante ricerca archeologica avviata alcuni anni fa dalla Cattedra di Archeologia medievale dell’Università di Sassari, diretta dal professor Marco Milanese, insieme al Comune di Chiaramonti, alla Soprintendenza archeologica e con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna. Lo scenario – decisamente suggestivo – è quello di Orria Pithinna, piccola località a circa 5 chilometri a sud-ovest di Chiaramonti, dove sorge la chiesa campestre di Santa Maria Maddalena che domina e controlla una pittoresca vallata. Il santuario, in stile romanico, venne costruito agli inizi del Duecento impiegando conci di calcare bianco e di trachite rossa disposti a filari alternati, una soluzione decorativa che la rende davvero unica nel suo genere. Le ricerche nel sito di Orria Pithinna stanno cominciando a dare i primi risultati: è stata perimetrata la parte relativa a un monastero camaldolese, individuata l’area su cui sorgeva il villaggio, eseguite mappatura e analisi completa delle testimonianze epigrafiche e dei graffiti rilevati nella chiesa. Proprio grazie a quest’ultimo studio – compiuto dall’epigrafista medievale Giuseppe Piras – è emersa una scoperta che ha del sensazionale. E’ stata finalmente decifrata una iscrizione del XIV secolo, incisa all’esterno della cappella meridionale, che ha svelato l’esistenza di una sepoltura relativa a un personaggio. Si tratta di un certo Autedus, al quale viene attribuito nell’epigrafe l’appellativo di sanctus. «Non si tratta di un santo per il quale vi fu un processo di canonizzazione con il riconoscimento ufficiale della Curia di Roma – spiega lo studioso di Porto Torres che ha pubblicato i risultati della ricerca negli Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – ma verosimilmente di un personaggio (forse legato al priorato camaldolese, un monaco o un eremita), che per la sua esistenza virtuosa venne acclamato santo spontaneamente dalla comunità di fedeli, i quali insieme alla loro devozione gli tributarono impropriamente il titolo di santo». Le ricerche non hanno fornito altri elementi riferiti ad Autedus e tantomeno al suo culto. «Non ne è rimasto ricordo – sottolinea Giuseppe Piras – nemmeno nella toponomastica locale. La spiegazione più probabile è che questo culto locale sia sorto nel Trecento in concomitanza con il periodo drammatico vissuto dagli abitanti di Orria Pithinna e si sia spento rapidamente con l’abbandono del villaggio e del priorato camaldolese. Abbandono che per giunta – dice Piras – può avere prodotto nei suoi confronti quasi l’effetto di una damnatio memoriae da parte della popolazione». L’indagine diretta dal professor Marco Milanese apre un filone importante per il recupero di risorse straordinarie, non solo per la storia medievale della Sardegna ma anche in termini di attrazione dei flussi di turismo culturale e scolastico. «Il progetto sui villaggi abbandonati della Sardegna è cominciato una quindicina d’anni fa – racconta il professor Milanese – con una attività svolta direttamente sul territorio e non in maniera astratta. Con due obiettivi fondamentali: tutelare le risorse e assumere un ruolo responsabile per la loro valorizzazione e conseguente trasmissione alle generazioni future». Conoscenza storica, dei tempi e delle dinamiche, scoprire come erano organizzate le popolazioni medievali, come erano fatte e quanto erano grandi le case, valutare le strade, il tutto con la convinzione che «l’archeologia può dare un contributo determinante per mettere insieme la storia della società». Lavorare e fare in modo che alla fine sia la sosietà stessa «a impadronirsi di un patrimonio così significativo». Dalle fonti storiche, emerge che la chiesa intitolata a Santa Maria (la ridedicazione alla Maddalena compare, ancora inspiegabilmente, in documenti del Settecento), il 10 luglio 1205 venne donata dalla nobildonna Maria de Thori (zia di Comita giudice di Torres) all’Ordine Camaldolese. I monaci si stabilirono nel territorio e fondarono un monastero che divenne un priorato (dipendeva dall’abbazia di Saccargia) e si impegnarono per rendere produttivi i terreni divenuti di loro proprietà. Tra il 1323 e il 1335 – lo confermano le epigrafi presenti nella chiesa, decifrate proprio di recente – i monaci la restaurarono rifacendo il portale e la ampliarono aggiungendo due cappelle laterali. La situazione cambiò radicalmente nella seconda metà del Trecento: tutta l’Anglona divenne teatro della guerra scoppiata tra i Doria (che dominavano da secoli quelle contrade), il giudice di Arborea loro alleato e il sovrano d’Aragona. Il conflitto durò dversi decenni e portò devastazione e morte, oltre alle ondate di carestie e pestilenze. Una situazione terribile che spinse i monaci ad abbandonare il territorio e a rifugiarsi in villaggi limitrofi, fino a spostarsi nel neonato borgo fortificato di Chiaramonti (già nel 1350) considerato più sicuro. Oggi, unica testimone di quelle tragiche vicende è rimasta solo la chiesa di Santa Maria Maddalena: sono scomparsi il monastero e il villaggio di Orria Pithinna insieme agli altri vicini. Il progetto partito nel 2005, diretto appunto da Marco Milanese e coordinato sul campo dagli archeologi Gianluigi Marras e Maria Cherchi ha come obiettivo proprio quello di individuare e riportare alla luce insediamenti medievali dei quali si è persa traccia. «Occorre puntare sul discorso più ampio di politica culturale – ha rimarcato Marco Milanese – e lavorare senza lasciare un vuoto interno. In quei terreni, oggi in larga parte incolti o abbandonati, c’è sotto la storia e potrebbero diventare una attrazione in più per il territorio. Bisogna partire dal basso, lavorare sulle scuole, sensibilizzare i Comuni che altrimenti rischiano di perdere l’aggancio con la loro identità». Ora non resta che attendere che le indagini e gli scavi archeologici previsti dal progetto possano fare riemergere i resti del villaggio, del monastero camaldolese. E magari consentano di ritrovare anche la sepoltura di Autedus, il misteroso santo di Orria Pithinna.
Gianni Bazzoni
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Per chi fosse interessato ad approfondimenti circa l’epigrafe Trecentesca del sanctus Autedus, a tutte le testimonianze epigrafiche presenti nella chiesa di S. Maria Maddalena ed alla documentazione relativa al priorato camaldolese di Orria Pithinna, segnalo l’articolo pubblicato sugli Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna:
G. PIRAS, Il sepulcrum sancti Autedi in un’inedita epigrafe trecentesca della chiesa di S. Maria Maddalena a Chiaramonti (Sassari), «Theologica & Historica», XVIII (2009), pp. 425-469 (ivi troverete citata ampia bibliografia precedente).
Un’altra iscrizione, finora inedita, proveniente da S. Maria Maddalena è attualmente custodita presso il Mus’a di Sassari. Questo l’articolo inerente appena uscito sulla rivista storica Quaderni Bolotanesi:
G. PIRAS, Una nuova iscrizione trecentesca dalla chiesa di Santa Maria de Orria Pithinna(Chiaramonti), «Quaderni Bolotanesi», XXXVI (2010), pp. 239-255.
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