1
set
2010
Vita e morte nell’Ottocento a Chiaramonti. L’inventario nelle altre stanze del vice vicario Cabresu. A cura di Angelino Tedde.
I lotti dell’inventario del vice curato della chiesa parrocchiale di San Matteo in Chiaramonti don Baingio Cabresu (1934). II
Nel precedente contributo sull’inventario del vice vicario Cabresu (1800(?) -1834) abbiamo presentato gli oggetti della camera in cui morì. Ora presentiamo l’inventario di altre tre camere: la prima detta sala, la seconda apposentu, la terza camera al di sotto della sala. I lotti delle tre camere sono rispettivamente 13, 10, 19 in totale 42. I lotti comprendono lenzuola, utensìli, stoffe varie, e arredamento di vario genere, ma non sono assenti i contenitori delle provviste. Bisogna dire che l’uomo, possidente di beni mobili e immobili non si faceva mancare niente così come l’uso esigeva per il clero che aveva il compito di catechizzare, istruire e pregare per la popolazione. Vorrei ricordare i pilastri del vecchio ordinamento: i nobili per combattere, il clero per pregare, e il popolo per lavorare. A noi, passati attraverso le idee della massoneria, dell’anarchia dei nostri emigrati in Panama (e rientrati), attraverso le idee positiviste e successivamente quelle socialiste del materialismo storico, i beni di questo viceparroco ci danno davvero fastidio. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che all’epoca anche il Papa era Papa-Re di uno stato della penisola italiana. Né possiamo obliare che, tuttavia, all’epoca vissero nel mondo cattolico molti sacerdoti che preferirono distribuire le loro sostanze ai poveri e principi che rinunciarono ai beni terreni per seguire la via della povertà evangelica. E’ evidente che il nostro viceparroco Cabresu non era nato con la vocazione alla povertà come documenteremo più avanti elencando il bestiame, i terreni e le case di sua proprietà.
Siamo nel 1834, regnava nei 6 stati sardi, Carlo Alberto e specie in Piemonte ogni tanto si davano da fare con rivolte e insurrezioni sparuti gruppi appartenenti alle società segrete allo scopo di sovvertire l’ordine sociale per il raggiungimento di un nuovo ordine di monarchia costituzionale o addirittura di stato repubblicano. La borghesia intellettuale e le teste più calde andavano diffondendo queste idee nonostante il controllo dei tutori dell’ordine costituito. In Sardegna, dopo le chiudente del 1820, l’istituzione delle scuole normali in ogni villaggio del 1823, l’approvazione del codice civile e criminale di Carlo Felice del 1827, il governo regio alleato strettamente alla Chiesa mirava a educare e formare buoni cristiani e buoni sudditi. Le assemblee comunitative, il sindaco con due o tre consiglieri, governavano, si fa per dire, la povertà dei più. In Chiaramonti non mancava due o tre volte l’anno l’eliminazione di persone scomode ai potenti ad opera di sicari o di qualche pastore o contadino colpito nei pascoli, nel bestiame, o nella tenuta dei confini (sas lacanas). Almeno questo narra la tradizione, per quanto siano necessari studi più approfonditi. Del resto delitti di varia origine avvenivano in Europa e negli stati continentali per tanti versi simili a quelli avvenuti in Sardegna e a Chiaramonti come documenta la carta criminale d’Italia tra Otto e Novecento. Non bisogna credere, secondo un pessimo plebeo costume identitario paesano, che il nostro paese fosse uno dei centri più criminogeni della provincia o della Sardegna, a parte le lotte avvenute tra fazioni politiche e famiglie, per motivi economici (contrabbando di cereali e altro) nel Settecento e terminato con le paci promosse dal piemontese gesuita carismatico Giovanni Battista Vassallo.
L’esame attento dei lotti delle varie camere denotano un certo benessere del nostro viceparroco.
La scrittura del notaio è disordinata, la lingua italiana incerta, sicuramente il nostro notaio era stato costretto ad abbandonare lo spagnolo per usare l’Italiano. Non dobbiamo dimenticare che è dalla seconda metà del Settecento che fu imposto l’uso della lingua italiana negli atti pubblici al posto del sardo o dello spagnolo. e che ci vorranno secoli prima che questa lingua venga usata correttamente in quanto la stessa lingua andava evolvendosi e da colta doveva farsi consuetudinaria. Forse dagli ultimi decenni del secolo scorso con l’uso della televisione s’impose un linguaggio parlato comune a tute le plebi italiane, molte delle quali usano ancora oggi tanto la lingua locale quanto quella nazionale. Le licenze che ci siamo prese nella trascrizione di questo inventario ha lo scopo di agevolare la lettura.
Buona lettura , dunque.
Gli oggetti delle altre camere del defunto vice vicario Cabresu
(…) e si descrive l’esistente nella sala, consistente in (1) due paia di lenzuola di tela usata e tagliati in vari luoghi, più un (2) cochiaio di farina, e due cochiarini d’argento, (più) due tele in pezza, (3) due breviari, (4) un inchiostro, (5) un sigillo di stagno, (6) un piccolo paniere, (8) ed una spazzetta, (9) due guanciali di tela a mattoni rossi, (10) il legname di un letto poco usato, (11) cinque pezze di lino, (12) cinque sacchi d’orbacio molto usato, (13) ed altro (sacco) piccolo con un bisaccia.
Nel piccolo apposentu, si è trovata (1) una cassa grande colla serratura a chiave, e dentro quattro paia lenzuola di tela grossa poco usate, (2) altro paia di tela nuove, (3) palmi dodici di tela in pezza, (4) un paio di littos usati, uno con rondatu e gli altri lisi, (5) quattro camicie due delle quali in tela di bottega e le altre in tela di casa. (6) Cinque sedie di paglia molto usate, (7) sei piccole sportine, (8) quattro pignate nuove, ed una usata, tra grandi, e piccole; (9) un orinale bianco, ( 10) un conculu ed una casuola grande di terraglia.
Nella camera di sotto la sala si è trovato (1) due paja di lenzuola usati, (2) una coperta d’orbaccio di due pieghe pari, (3) tre serviette e (4) due sacchi usati, e (4) quattro sacchi di tela usati, (5) un paio di tovaglie usate,(6) due asciugamani. (7) Vanu azu (contenitore) usato, (8) un altro asciugamano di tela usato; (9) due tovaglie, una a riga alta di tela assai vecchia. (10) Una botte grande di dodici cariche (misure), con quattro cerchì di ferro quasi nuovi, (11) quattro ampolle di mezzetta l’una, e (12) due di mezza mezzetta I’una, (13) ventidue piatti di Bruges bianchi, (14) una bottiglia d’una mezzeta circa di stagno (ferro stagnato). (15) Tre pignate due piccole, ed una grande; (16) quattro piatti di fuoco (bracieri), (17) altri due piatti grandi di fuoco (bracieri), (18) sei cochiaj e un forcino per i bracieri, (19) uno steglio di lata per uso d’oglio.
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