Archivio di ottobre, 2010
Scritto da carlo moretti
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Altri idoletti
1. Statuina di stile subnaturalistico dall’ipogeo n. 12 del gruppo di Corea o Cannas di sotto – Carbonia (n. 125)
Fig. 88. Carbonia, necropoli ipogeica di Cannas di Sotto: Tomba XII. Statuina femminile in argilla (scheda 125).
L’idoletto si stacca nettamente dalle precedenti figurine di stile planare per il rendimento plastico e il movimento flessuoso del corpo rappresentato in forma quasi naturalistica, tranne che nella testa stilizzata a prominenza cilindrica priva di qualsiasi riferimento fisionomico nel volto. Nel leggero ripiegamento al ginocchio della tozza gamba sinistra (l’unica conservata col piede a disco) se non la posizione seduta si coglie quella genuflessa dell’idolo. La femminilità è indicata dalle mammelle coniche e ostentata dall’ampio rilievo del “monte di Venere” con la fessura vistosa della vulva, particolare di assoluta divaricazione dagli idoletti planari nei quali l’organo sessuale femminile non è mai rappresentato. La vulva rigonfia, quasi in fase di preparto, segue un modo di stilizzazione già presente in statuette del paleolitico superiore e in taluni idoli del neolitico e dell’età del rame[249].
È ripetuto nella figurina di Corea, il particolare, caratteristico in idoletti nei quali si evidenzia il triangolo pubico, dell’assenza di dettagli del viso[250].
Quanto al rapporto con statuine di aree esterne alla Sardegna, appare stringente quello con rappresentazioni di Dea madre, seduta, di Cipro. A mo’ di esempio, vale il confronto con la statuetta in calcare da Lemba-Paphos nel Museo di Cipro, del calcolitico I cipriota: 3900-2600 a.C.[251]. Sono simili la forma cilindrica della testa fusa con il corto e tozzo collo, il profilo “a violino” del corpo, ottenuto con l’ampia inflessione tra il busto e l’addome di schema ovale, l’atrofia degli arti inferiori. Nell’idolo cipriota non è figurata la vulva, però una prominenza sferica nella zona dell’addome indica la gravidanza della Dea.
La statuina di Corea faceva parte di un corredo funerario con oggetti litici e di abbigliamento personale (vaghi di collana in conchiglia e osso, e, in osso, anche uno spillone da crine) e di piccoli vasi in terracotta, lisci e ornati, di tipologia Abealzu-Filigosa. Vorrei dunque riferire la statuina a questa cultura, verso la metà del III millennio a.C., o poco dopo.
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Scritto da carlo moretti
FInisce per uno a zero a favore dei nostri ragazzi l’incontro in trasferta con l’Atletico Muros, giocato al sole di una bella domenica autunnale. Un risultato importante per conservare il punteggio pieno in classifica dopo le prime due partite.
La prossima domenica (voci ufficiali informano che si giocherà sabato pomeriggio alle 15:00), incontreremo i vecchi amici del Benetutti, protagonisti con noi due stagioni fà, di un testa a testa per il vertice della classifica spuntata alla fine dai nostri beniamini bianco celesti.
Naturalmente saranno sempre ben accetti commenti e valutazioni per integrare l’articolo.
FORZA RAGAZZI!!! FORZA CHIARAMONTI!!!
Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:
Scritto da carlo moretti
Anche oggi, la pro loco di Chiaramonti con la festa dell’anziano ha riscosso i giusti meriti lasciando tutti a bocca aperta per il menù vario e la bravura dei cuochi. Ma una cosa che ha scosso di più gli animi e come si usa dire dalle nostre parti “hat postu sa tudda”, è stato il gesto dei fedales del 1992 che ieri ha festeggiato la festa dei diciottenni. Una cosa unica nella nostra esperienza cittadina, una dedica agli anziani con un breve cortometraggio del Chiaramonti d’altri tempi confrontato con il paese dei nostri giorni, e una dedica in poesia per tutti scritta dal nostro Stefano Demelas:
DEDICA A SA FESTA ‘E SOS ANZIANOS
Sos’annos sun currende che una ‘ena
ch’abundat una limpia funtana.
Sa paghe santa sempre soberana,
seghet d’ogni aneddu ‘e sa cadena.
Bonu passare e vida serena,
pro su c’han dadu e chi nos dana.
Allegros tot’in edade anziana,
salude cat’in mare bi hat rena.
‘Oe umpare, piseddos, piseddas,
dedicamus a bois custu mutu,
ca istrinadu nos’azis valores.
Noisi semus binnidas frueddas
prontas a dare saboridu frutu,
isperas pro sos’annos benidores.
“Sod fedales de degheott’annos”
CLASSE 1992
CHIARAMONTI 16/10/2010
Istevene Demelas
Questo non perchè mia figlia Marta è della stessa classe, ma perchè i suoi coetanei a mio giudizio hanno dimostrato una maturità unica, che se Dio vuole spero li possa portare lontano. Alcuni gesti, semplici ma unici possono valere più di mille parole scritte.
Allego la foto che ieri pomeriggio ho scattato con piacere in casa ad alcuni fedales del 1992 venuti a trovare Marta a nome di tutti:
Bravi ragazzi mi rendete orgoglioso di avere una figlia del 1992!
Scritto da carlo moretti
Buona la prima! Commenta così qualcuno, nel social network più famoso al mondo. Proprio così, ieri pomeriggio è ripreso il campionato di terza categoria con un Chiaramonti completamente rinnovato rispetto a quello dell’anno passato e di un campionato da dimenticare.
Non avendo visto l’incontro non possiamo commentare niente sulla partita. Se qualcuno vuole inserire qualche commento, potrà farlo allegandolo a questo articolo e contribuendo a svilupparne i contenuti.
Anche quest’anno sosteniamo i ragazzi per la riuscita di un buon campionato.
FORZA CHIARAMONTI!!!!
Risultati e classifica dopo la prima giornata:
Scritto da ztaramonte
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Gianluigi Marras è il primo archeologo medievista, nativo di Chiaramonti, del quale abbiamo avuto modo di parlare in altra occasione. Con questo contributo e con gli altri che seguiranno ci svelerà la storia del Castello. Lo ringraziamo calorosamente per la sua collaborazione.
Introduzione
Il castello di Chiaramonti è da sempre noto agli storici sardi, che tuttavia hanno generalmente fornito solo laconiche informazioni sulla sua storia ed evoluzione nello scorrere del tempo, sulla sua ubicazione e sulle eventuali strutture materiale superstiti. La vulgata ha in particolare tramandato le notizie di un castello appartenuto dapprima ai Malaspina, poi ai Doria (Matteo, Brancaleone e Niccolò), la cui torre è stata poi riutilizzata come campanile della parrocchiale del centro di Chiaramonti.
La mia ricerca[1] parte da queste basi per cercare di fare il punto sulla storia, le strutture materiali e l’evoluzione del castello di Chiaramonti, partendo dall’analisi delle fonti archeologiche, e prima di tutto dagli imponenti ruderi della chiesa di San Matteo, e dalla raccolta delle fonti documentarie edite. Naturalmente non si ci si è posti limiti documentando ogni tipo di emergenza presente nel sito e ogni reperto, a prescindere dalla loro cronologia e funzione. Riteniamo infatti che solo procedendo con un approccio scevro di pregiudiziali si possano raccogliere tutti i dati concernenti un sito, per poterne poi ricucire la storia.
Lo studio dei castelli medievali della Sardegna, e in particolare riferimento alla situazione del Regno di Torres[2], è stato spesso condotto con criteri e metodi non troppo scientifici e risente inoltre della mancata ricaduta del dibattito nazionale e internazionale, avviato dalle tesi del Toubert negli anni 70′ e i cui frutti, a livello archeologico, sono giunti dalla fine degli anni 80′, con un alto grado di raffinatezza specialmente per i contesti liguri, laziali e toscani.
Poco interesse ha infatti finora suscitato il tema dell’incastellamento, ovvero delle ricadute della fondazione dei castelli sull’insediamento preesistente, e pochi i contesti studiati, sia dal punto di vista storico che archeologico; da ricordare comunque le analisi storiche e archeologiche effettuate nei castelli di Bosa, Monteleone Roccadoria, Ardara e Castelsardo da parte dell’èquipe del prof. Milanese e gli approfondimenti della documentazione specialmente aragonese effettuata negli ultimi anni da Angelo Castellaccio, Giuseppe Meloni, Giuseppe Spiga, Alessandro Soddu e Franco Campus, che hanno mostrato come possa essere ancora fruttuosa la ricerca negli archivi iberici.
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Scritto da carlo moretti
Di recente è stato messo in dubbio che sia mai esistita in Sardegna l’usanza dell’accabbadura, ossia della “buona morte” od “eutanasia”, praticata dalle accabbadoras (ma anche dagli accabbadores) (due cc e due bb !) su individui in lunga e dolorosa agonia. Chi ha sollevato questo dubbio evidentemente non ha letto l’articolo di Maria Giuseppa Cabiddu, pubblicato nei «Quaderni Bolotanesi» del 1989, num. 15, pagg. 343-368. Si tratta di uno studio molto accurato, circostanziato di fatti, di testimonianze e di bibliografia, il quale non lascia spazio a ragionevoli dubbi intorno al fenomeno studiato ed esposto dalla ricercatrice. Costei presenta anche una lunga testimonianza fàttale da un suo concittadino di Orune, nato nel 1910, testimonianza che praticamente riportava indietro i fatti narrati soltanto di qualche decennio.
D’altronde nel mio libro Lingua e civiltà di Sardegna (II, Cagliari 2004, Edizioni della Torre, pag. 20) ho scritto testualmente: «dal mensile di Cagliari “Il Messaggero Sardo”, del febbraio 2004, sono venuto a conoscenza di un fatto quasi incredibile: un anziano emigrato ha scritto di avere il ricordo chiaro di due casi di eutanasia, effettuata da accabbadoras a Cuglieri, dopo la I guerra mondiale, nei primi anni Venti… In paese se ne parlava in modo molto sommesso e riservato…».
Ancora più recente è la testimonianza riportata da Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano, nel loro libretto Eutanasia ante litteram in Sardegna (Cagliari 2003, pagg. 86-87), i quali, dopo aver seguito passo passo lo studio della Cabiddu, riferiscono due episodi di accabbadura, uno avvenuto a Luras nel 1929 e l’altro avvenuto ad Orgosolo addirittura nel 1952…
Infine segnalo che è comparso di recente il libro di Dolores Turchi, Ho visto agire s’accabbadora – la prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabbadora (con dvd allegato) (Oliena 2008, ediz. IRIS).
D’altra parte ritengo opportuno presentare una notazione propriamente linguistica, che ha una sua importanza: se in tutta la Sardegna centrale fino a mezzo secolo fa erano conosciuti e adoperati i vocaboli accabbadore, accabbadora «accoppatore,-trice» e accabbadura «finitura, accoppamento» (da accabbare, aggabbare «finire, terminare, smettere, esaurire, accoppare, uccidere», a sua volta dallo spagn. acabar), significa che essi facevano preciso riferimento, non a leggende inventate, ma a fatti reali e concreti.
Anche lo studioso gallurese Franco Fresi, in alcuni suoi scritti e interventi, ha riportato la testimonianza di casi di accabbadura avvenuti in epoca recente in Gallura e provocati pure col colpo di un martello tutto di legno dato sul cervelletto oppure su una delle tempie del malcapitato, martello chiamato matzolu «mazzuolo», di cui tuttora esiste un esemplare nel «Museo Etnografico» di Luras. Eccone la fotografia:
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