28
ott
2010
Arte e religioni della Sardegna prenuragica – Giovanni Lilliu [5]
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Altri idoletti
1. Statuina di stile subnaturalistico dall’ipogeo n. 12 del gruppo di Corea o Cannas di sotto – Carbonia (n. 125)
L’idoletto si stacca nettamente dalle precedenti figurine di stile planare per il rendimento plastico e il movimento flessuoso del corpo rappresentato in forma quasi naturalistica, tranne che nella testa stilizzata a prominenza cilindrica priva di qualsiasi riferimento fisionomico nel volto. Nel leggero ripiegamento al ginocchio della tozza gamba sinistra (l’unica conservata col piede a disco) se non la posizione seduta si coglie quella genuflessa dell’idolo. La femminilità è indicata dalle mammelle coniche e ostentata dall’ampio rilievo del “monte di Venere” con la fessura vistosa della vulva, particolare di assoluta divaricazione dagli idoletti planari nei quali l’organo sessuale femminile non è mai rappresentato. La vulva rigonfia, quasi in fase di preparto, segue un modo di stilizzazione già presente in statuette del paleolitico superiore e in taluni idoli del neolitico e dell’età del rame[249].
È ripetuto nella figurina di Corea, il particolare, caratteristico in idoletti nei quali si evidenzia il triangolo pubico, dell’assenza di dettagli del viso[250].
Quanto al rapporto con statuine di aree esterne alla Sardegna, appare stringente quello con rappresentazioni di Dea madre, seduta, di Cipro. A mo’ di esempio, vale il confronto con la statuetta in calcare da Lemba-Paphos nel Museo di Cipro, del calcolitico I cipriota: 3900-2600 a.C.[251]. Sono simili la forma cilindrica della testa fusa con il corto e tozzo collo, il profilo “a violino” del corpo, ottenuto con l’ampia inflessione tra il busto e l’addome di schema ovale, l’atrofia degli arti inferiori. Nell’idolo cipriota non è figurata la vulva, però una prominenza sferica nella zona dell’addome indica la gravidanza della Dea.
La statuina di Corea faceva parte di un corredo funerario con oggetti litici e di abbigliamento personale (vaghi di collana in conchiglia e osso, e, in osso, anche uno spillone da crine) e di piccoli vasi in terracotta, lisci e ornati, di tipologia Abealzu-Filigosa. Vorrei dunque riferire la statuina a questa cultura, verso la metà del III millennio a.C., o poco dopo.
2. Idoletti su ciottolo con segni antropomorfi.
L’idoletto in basalto n. 138 da Conca Illonis, di forma trapezoidale con base arrotondata, provvista sotto la sommità di due fori pervi che rappresentano occhi, può classificarsi nella categoria degli amuleti nei quali si riconosce la c.d. “Dea degli occhi” (The Eye Goddes di O.G.S. Crawford)[252]. La sagoma accettiforme, che compendia in se il carattere filatterico e la stilizzazione antropomorfa con i due pervi funzionali all’appensione dell’oggetto ed espressivi in astratto di “occhi divini”, trova la somiglianza maggiore in idoli-placca del Portogallo, rinvenuti in tombe megalitiche, per cui sono stati definiti di “carattere necrotico”[253]. Per la verità la placchetta da Conca Illonis, come gli affini amuleti sardi nn. 139 e 143, provengono da villaggi, e dunque la funzione e l’uso di talismani col simbolo della “Dea-occhi”, si estendevano anche nel mondo dei vivi. Come riscontro formale all’oggetto di Conca Illonis, del tutto liscio, si citano esemplari di idoli-placca portoghesi da Eparragosa e Montemos o Novo, i quali, oltre gli occhi a foro pervio, mostrano incisioni di triangoli tratteggiati e semicerchi concentrici [254]. Più sofisticati, ma identici per struttura, le placche di Barbacena[255], Horta Velha do Reguengos-Alemtejo e Vega del Guadancil-Caceres[256]. In questi ultimi al disegno oculare si aggiunge la rappresentazione del naso e delle braccia sul davanti e un addobbo simbolico a chevrons nella parte posteriore. Gli idoletti portoghesi si ascrivono al “Bronce I iberico” (eneolitico), fase Almeria-Los Millares, con presenza già alla metà circa del III millennio a.C.[257]. Il simbolo “Dea-occhi” sarebbe però pervenuto alla Penisola iberica dalle Cicladi o dall’Anatolia nel periodo dell’antico Cicladico I e di Troia I (3200-2700 a.C.), in una sorta di avvento “coloniale” dall’area egeica, riconosciuto anche in altri apporti di strutture e di materiali[258], sul che ovviamente si discute tra orientalisti e occidentalisti [259].
Accettiforme è pure la placca-idolo n. 139 da Puisteris, diversa nella sagoma, a tre quarti di ellssi anziché trapezia, e nella sezione, biconvessa anziché piano-convessa, dal n. 138. Simile è però per la semplice rappresentazione dei soli fori oculari per cui si ripetono i confronti già fatti con gli idoletti-placca portoghesi. In più nell’amuleto di Puisteris si presenta la coloritura in rosso della superficie, il che richiama agli idoli-betili troncoconici, lisci, delle sepolture a tholos coperte da tumulo nn. 7 e 9 della necropoli di Los Millares, dipinti di rosso o color ocra[260]. Volgendo la figura geometrica della placca dei nn. 138 e 139 in solido, e cioè in volume troncoconico, pare lecito vedere in questi i presupposti dei grandi betili con incavi plurioculari messi a custodia delle tombe di giganti nuragiche della fine del Bronzo medio o dell’inizio di quello recente (1300-1200 a.C.). Qui sopravvive il “geroglifico” della “Deaocchi”, come ogniveggente d’ogni intorno (circolarità del betilo)[261].
La forma della placca-idolo trapezoidale del n. 138 torna nel n. 141 da Bau ‘e Porcus, dove, nella superficie anteriore, alla sommità, figura un foro pervio come attaccagnolo del talismano, e nella mezzeria è inciso lo schema a V di sopracciglia e naso a contorno degli occhi incavati a punteruolo. Lo schema o ideogramma della “Dea-occhi” è lo stesso che appare in placca-idolo litica, dalla medesima forma trapezoidale, di Troia I: 3200-2700 a.C., nel quale si può vedere l’archetipo[262]. Qui si continua in idoletti a placca con sagoma di violino, taluni con tratteggio lineare alla sommità della testa e al collo, nei tempi di Troia II: 2700/2400-2300 a.C.[263].
Giova una riflessione particolare sulle tre placchette-idoli. Esse, come ho detto, provengono da villaggi, dove sono state raccolte in superficie, cioè non dentro un definito strato archeologico. Appartengono a un’area assai ristretta del Campidano d’Oristano, nella quale sono presenti i materiali da cui sono state tratte: basalto, calcare e schisto, indizio di fattura locale. Quanto alla collocazione culturale e cronologica, gli amuleti di Conca Illonis e Puisteris sono stati riferiti da M.G. Mele all’aspetto di Ozieri e alla fine del III millennio a.C.[264](da G. Lilliu al tardo neolitico e al calcolitico)[265]. Sul tempo del talismano di Bau ‘e Porcus E. Atzeni non si pronunzia se non indirettamente attraverso il confronto con le placche-idolo di Troia[266]. Questi i dati e le interpretazioni ad oggi.
Si può approfondire l’analisi circa i luoghi di rinvenimento. L’abitato di Conca Illonis ha restituito, a fior di suolo, oggetti di cultura Bonuighinu[267]; Ozieri[268] e Abealzu-Filigosa[269]. Anche i materiali, sparsi alla superficie del terreno, nel villaggio di Puisteris rivelano la presenza di una stratigrafia culturale comprendente Bonuighinu[270], Ozieri[271], Monte Claro[272] e il nuragico[273]. Aspetti Ozieri e Monte Claro a Bau ‘e Porcus[274]. Per l’appartenenza delle placche-idolo è senz’altro da escludere lo strato Bonuighinu (neolitico medio). Non pertinente nemmeno quello di Ozieri perché gli amuleti sono privi di decorazione che è caratterizzata di tale cultura e la figura antropomorfa si riduce al pure “geroglifico” della “Dea-occhi”.
Restano pertanto le ipotesi di riferimento alla cultura di Abealzu-Filigosa e al contesto culturale di Monte Claro[275]. Poiché le placchette-idolo dell’eneolitico occidentale (quelle iberiche soprattutto con le quali le sarde più si confrontano) rientrano nel quadro del megalitismo funerario, gli amuleti di Conca Illonis, Puisteris e Bau ‘e Porcus possono essere ben collocati nel corrispondente megalitismo che nell’isola, all’inizio e per un breve periodo del loro sviluppo, fu patrimonio delle culture di Abealzu-Filigosa e di Monte Claro. La notata somiglianza del simbolo della “Dea-occhi” nella placchetta di Bau ‘e Porcus con lo schema visuale “sopracciglia arcuate-naso” delle statue-menhirs armate dal Sarcidano ascritte al quadro Abealzu-Filigosa[276], farebbe propendere a includervi la placchetta stessa. Ma non si può ignorare che nell’ambito della cultura di Monte Claro sono presenti tipi di fortificazione e tecniche ceramiche, come quella della brunitura disegnativa[277], le quali sembrerebbero pervenire in qualche modo dall’area cicladica e dall’Egeo in genere, al mondo iberico e da questo alle comunità della cultura francese di Fontbouisse. Ciò avviene nello stesso tempo in cui l’archetipo della placca-idolo col segno della “Dea-occhi” tocca, sviluppandosi al modo locale, la Spagna “almeriana” e il Portogallo[278]. Non è fuor di logica ipotizzare che in questo itinerario di “modelli” orientali verso l’Occidente fosse raggiunta anche la Sardegna con un deposito privilegiato nel contesto culturale di Monte Claro cui le stesse placchette-idolo potrebbero appartenere in coerenza.
Ma si accolga l’una e l’altra delle due ipotesi, è vero che gli amuleti si collocano nell’eneolitico, in un arco di tempo corrispondente al declinare di Troia II o dall’antico Bronzo II anatolico, verso il 2400-2300 a.C. In questa epoca le culture di Abealzu-Filigosa e di Monte Claro sono in pieno sviluppo[279]. Uno sviluppo che è una svolta verso un mondo che va abbandonando il mito della Dea madre. La sua immagine perde per gradi la forma corporea manifesta bella ricca statuaria e si riduce, anzi si nasconde, nel segno della faccia a T o dell’occhio della Dea. Lasciando il messaggio o forse soltanto la memoria in un ideogramma.
L’idoletto-ciottolo n. 140 dalla grotta sepolcrale di San Michele d’Ozieri ha lo stesso carattere talismanico delle placchette-idolo e, come queste, era portato addosso alla persona non appeso per il foro che non ha, ma come uno scapolare, cioè tra due pezzetti di stoffa aderenti al corpo. Così doveva indossarlo il defunto o la defunta al cui corredo l’oggettino apparteneva insieme a oggetti litici e ceramiche[280]. Il ciottolo calcareo è di forma ovale da supporre simbolica nel senso che l’uovo ha significato di rigenerazione[281] oppure allude alla nascita. Infatti nel dritto dell’amuleto figura incisa la “cifra” della Dea madre cui si riferiva ogni principio.
La frammentarietà del talismano (è ridotto al quarto superiore) non consente di riconoscere l’intero schema figurativo del davanti e del retro della pietra magica. Per la parte anteriore si può supporre la rappresentazione abbreviata d’un volto umano – il volto della Dea – cui si rendeva culto, racchiuso da un riquadro del quale rimane la linea orizzontale superiore per intero, mentre sono interrotte le due linee laterali verticali, a causa di rottura. Una squadratura del viso cosiffatta, di rigorosa geometria e simmetria, la si può vedere in convergenza stilistica ma senza alcune rapporto diretto nè culturale nè cronologico, nella sagoma del volto in un naso antropomorfo in terracotta da Szegvar-Tuzkoves presso Szentes-Ungheria, della cultura Theis, circa 4000 a.C.[282]. I tratti visuali si riducono agli occhi divisi dal naso e alla bocca a cerchiello con un punto centrale del pari che le cavità oculari.
Nel talismano d’Ozieri la sommità del capo è data dalla convessità apicale del ciottolo. Nella fronte sottostante, a segmento di cerchio, è inciso un segno a X orizzontale che, in rappresentazioni e oggetti di culto della cultura di Vinca (52004000 a.C.) è uno dei simboli allusivi alla Dea madre [283]. La linea orizzontale, ben marcata, che separa la fronte dal resto del viso indica l’arcata sopraccigliare ortogonale al naso, intersezione che determina il diffuso stilismo della faccia a T. La fisionomia è completata dagli occhi a circoletto con punto centrale, quali nel volto del citato vaso antropomorfo ungherese o, per fare un esempio di stilizzazione oculare in area occidentale, in un idolino-betilo del Museo di Siviglia del Bronce iberico I[284]. Non mancano riscontri al ciottolo figurato dalla grotta di San Michele, specie nel Vicino Oriente. Su ciottoli ellittici con rappresentazione di occhi, naso e bocca, da Yarmuckian-Shaar Hagolan-valle del Giordano, Libano, di fine VII millennio a.C. In uno di essi si osserva anche il segno della X[285]. Non è improbabile che da questa antica area culturale sia venuto il modello che più tardi, nei tempi tardivi della cultura di Ozieri – alla metà o poco prima del III millennio a.C. – ha trovato un’ottima imitazione nel-l’idoletto-ciottolo con simile visetto della Dea madre, dalla grotta di San Michele che ha restituito anche altri eccellenti prodotti archeologici del neolitico recente [286].
Infine un idolino-ciottolo ovale da carattere magico è il n. 143, dall’ipogeo a facciata architet-tonica con betilini alla sommità, n. IX di Sos Furrighesos[287]. La superficie della pietra appare interessata da un disegno rimasto allo stato di abbozzo. Su una parte, risparmiata nella convessità naturale della pietra, emerge uno spazio semicircolare delimitato in alto da un zona di brevi incisioni verticali tra di loro parallele che vorrebbero simulare i cappelli d’una figura e alla base da una solcatura orizzontale sinuosa praticata, ma non finita, a punteruolo di cui restano le tracce nella scheggiatura interna. Questo spazio potrebbe essere il campo ritagliato per disegnare un volto umano del quale un incavo rotondo poco sopra la delimitazione inferiore sarebbe la bocca, unico elemento fisionomico portato a termine. Dalla parte opposto si osserva un leggero rilievo in quadro contornato da linee irregolari, incise a mano libera con lavoro trascurato, con un sottoquadro in forma di banda orizzontale riempita d’una serie di incisioni obblique, realizzate con intento disegnativo (una sorta di frangia). È questo della banda tratteggiata un motivo diffusissimo nella ceramica di stile Ozieri[288]. Nel campo del quadrato, poco sopra la base, appare una sequenza di punti impressi a segmento di cerchio con la convessità verso il basso, a mo’ di collana. Segmenti di cerchio con punti impressi si osservano, ad esempio, nella statuina a busto compatto da Sa Ucca e su Tintirriolu, pur essa di stile Ozieri[289].
Sarà da riportare a questa cultura anche il ciottolo figurato di Sos Furrighesos? Per la verità nello scarso e poco pregevole corredo funerario dell’ipogeo n. IX, soltanto dei frammenti di utensili in selce e in ossidiana [290] potrebbero appartenere a tale aspetto culturale, l’ultimo residuo di corredo di primitive deposizioni anteriori alla vasta ristrutturazione della tomba attuata nel Bronzo antico, che portò alla quasi totale dispersione dei vecchi materiali[291].
Note:
[249] GIMBUTAS, 1989, p. 102 ss., fig. 169,1 (statuetta del gravettiano-perigordiano superiore da Monpazier-Dordogna: 23000-21000 a.C.), 2 (manico di coperchio di vaso con figura femminile con vulva in evidenza, di Età del Rame, metà IV millennio a.C., da Tiszafüred-Majores, Ungheria).
[250] GIMBUTAS, 1989, p. 102.
[251] KARAGEORGHIS, 1987, p. 36, fig. a p.33.
[252] CRAWFORD, 1957.
[253] GIMBUTAS, 1989, p. 55.
[254] MELE, 1986, p. 11, fig. 3, 7-9.
[255] MELE, 1986, p. 11, fig. 3, 8.
[256] GIMBUTAS, 1989, p. 193, fig. 297, 1-2.
[257] L’attribuzione del Bronce I iberico (eneolitico) è di ALMAGRO, 1968, p. 337. La fase eneolitica (o Bronzo I iberico) di Almeria-Los Millares è collocata nel tempo da due datazioni a C14 dell’abitato di Los Millares: KN-72: 4380±120 B.P.= 2430 a.C., e H-204/247: 4295±85 B.P.= 2345 a.C., DE BALBIN-BEHRMANN, 1978, p. 77.
[258] HOCKMANN, 1967b, p. 168 ss.; 171, 173.
[259] DE BALBIN-BEHRMANN, 1978, pp. 77-79.
[260] ALMAGRO-ARRIBAS, 1963, p. 124, làm. XLIX, B, 1-9 a p. 316 (t.7), p. 137, 175.
[261] LILLIU, 1978, p. 91-99, tav. XII-XX, pp. 101-103; LILLIU, 1988, p. 380, fot. n. 57, c-d: betili da Perdu Pes-Paulilàtino, Sòlene-Macomèr e Oragiana-Cùglieri.
[262] ATZENI, 1975, p. 19, tav. VII, 5-7 (da MÜLLER-KARPE).
[263] HOCKMANN, 1976C, p. 181, 376, 478, p. 586, n. 478: da Troia, p. 276, 479, p. 546, n. 479: da Kyme-NW Anatolia, p. 376, 480, p. 547, n. 480, p. 377, 481, p. 547, n. 481, p. 377, 482, p. 547, p. 377, 483, p. 547, n. 483: da località sconosciute dell’Anatolia occidentale.
[264] MELE, 1986, p. 15.
[265] LILLIU, 1988, p. 252.
[266] ATZENI, 1975, p. 19.
[267] LILLIU, 1988, pp. 43, 50.
[268] LILLIU, 1988, pp. 76 80 ss., 104, 131, 158, 242 ss., 246, 248, 251, 257.
[269] V. scheda n. 124.
[270] LILLIU, 1988, pp. 43, 47, 50, 59, 65.
[271] LILLIU, 1988, pp. 46, 78, 80, 106, 109, 239, 241 ss., 276, 248, 255 ss.
[272] LILLIU, 1988, pp. 131, 141.
[273] PUXEDDU, 1962, p. 247 ss., fig. 9, p. 258 ss.
[274] ATZENI, 1975, p. 19.
[275] LILLIU, 1988, p. 137 ss., 140, 189 ss., 192, fig. n. 40 (cultura Monte Claro).
[276] ATZENI, 1975, p. 24 ss., figg. 3-4, 1, tavv. XIV-XVI, LILLIU, pp. 190, 255 ss., 257 ss., fig. n. 75.
[277] Vedi nota 258 e LILLIU, 1988, pp. 133-137, fig. n. 37 (fortificazioni di Monte Baranta e Monte Ossoni, recinto di Sa Ureci), p. 149 ss., 157 (brunitura disegnativa in ceramiche di Monte Claro, Sa Duchessa, via Basilicata- Cagliari, Corti Béccia-Sanluri, Enna Pruna-Mògoro).
[278] Vedi nota 258.
[279] LILLIU, 1988, p. 18: cronologia di Abealzu-Filigosa e Monte Claro.
[280] LILLIU, 1958, p. 183, tav. LXII, 2.
[281] GIMBUTAS, 1989, p. 213.
[282] FILIP, 1974b, p. 295, fig. 305 b, n. 305 b.
[283] GIMBUTAS, 1989, p. 12, fig. 17.
[284] MELE, 1986, p. 11, fig. 3, 4.
[285] GIMBUTAS, 1989, p. 51, fig. 87, 1-4 (in figura 87, 2 il segno X), p. 63, fig. 99, 1-3.
[286] TARAMELLI, 1915, p. 124 ss., figg. 1-8; ZERVOS, 1954, p. 133, fig. 135 a p. 136, p. 138 ss., 197, 200, 204, 206, figg. 235-236, pp. 208-210; ATZENI, 1981, p. XXVII, XXIX, nn. 25, in basso, 30, 32; LILLIU, 1988, pp. 73, 93, fig. 32, 2, p. 99 ss., fig. 27, pp. 239, 242 ss., 252, 256, 276, 298, 305, 343, fig. n. b, n. 12, b, 13, a.
[287] TANDA, 1984, I, pp. 74-103, figg. 45-65, 66-76, 77, 9-10, 14-15, 79, 1-2, II, p. 151 s.
[288] Vedi schede nn. 166, 171-172, 175, 178, 195-201.
[289] Vedi scheda n. 51. Vorrei citare, conscio della lontananza del confronto, anche i punti impressi all’interno, lungo di lati del motivo simbolico in forma di quadrato, scolpito, insieme allo schema della Dea con seni e sottostante collare e una punta di lancia, su lastra della galleria coperta di Projou-Mehir a Tréheurden (Côtes-du-Nord), L’HELGOUACH, 1966, p. 325, fig. 4, DS, CN2, fig. 7, CN2, DS-(ante 1800 a.C.).
[290] TANDA, 1984, I, p. 99 ss., nn. 13.10-15.12, II, p. 153.
[291] LILLIU, 1988, pp. 279, 288. Il Bronzo antico è posto tra 1800 e 1500 a.C. (p. 273).
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