21
lug
2011
Nei pascoli opimi del Cielo, è andato Melchiorre a pascolare, di Ange de Clermont
Nel giorno santo della Vergine del Carmelo ha detto addio ai pascoli di Sassu Altu, Melchiorre Soro, pastore dall’infanzia e legato alle praterie del suo gregge. Da bambino, seguendo il padre Pera Soro da Ollollai, si era innamorato dello scampanellio del suo gregge, del latte appena munto delle sue pecore, dei cani pastori che facevano buona guardia e non lasciava mai i suoi pascoli. Molti dei suoi compagni avevano disertato il mestiere antico quanto l’uomo, per diventare carabinieri, poliziotti, guardie di finanza oppure erano emigrati in Belgio, in Australia, ma lui, Melchiorre Soro figlio di Pera, era rimasto accanto al vecchio padre e con lui aveva condiviso il casolare di campagna con l’industriosità legata alla produttività del gregge di pecore, all’allevamento delle agnelle, alla conduzione dei maialini ruspanti, all’allevamento delle scrofe per le salsicce e per il lardo.
Di notte, quando qualche volta perdeva il sonno, si dilettava a guardare i pallidi raggi della luna e i messaggi che gli mandavano le stelle, mentre ascoltava il canto monotono dell’assiolo (sa tonca), il gracidare delle raganelle degli abbeveratori, il vociare dei cani d’altri pastori, quando un passeggero notturno si avventurava per quelle plaghe. Non invidiava il fratello studente che nei brevi periodi di soggiorno si dava a comporre quello che Melchiorre pensava e che teneva nel cuore. Per lui, le raffinate poesie de Giuanninu, i versi paterni, erano come denudare l’anima e quasi ne soffriva che qualcuno di famiglia gli rubasse tanta intimità. Un giorno però anche lui aveva incontrato Giusta, una ridente ragazza del paese, se n’era innamorato e l’aveva chiesta in sposa. Giusta aveva accettato l’invito e dal loro amore sono sbocciati due fiori: due bei ragazzi di cui il padre era orgoglioso e lo fu per una ventina d’anni, quando in una malaugurata notte, in un incidente d’auto, aveva perso un figlio. Gli s’era spezzato il cuore e quasi si era incurvato nell’incedere. Sembrava che il Cielo l’avese tradito, ciononostante aveva continuato la sua vita di pastore, non più dietro il gregge, ma nelle sue tanche. Non è trascorso molto tempo dalla morte del figlio e un altro incidente, quasi voluto dal destino, lo ha catapultato dalla macchina. L’anziano pastore osò sperare nell’insperabile e pur giacendo nel letto scomodo di un ospedale sperava ancora in un rientro nelle sue tanche tra il suo bestiame. Erano le 14,00 del giorno del Carmelo di quest’anno e sarebbe stato assente alla Messa che le pie obriere fanno celebrare nella seicentesca chiesa del Carmine, in Chiaramonti, mormorò al fratello e alla moglie: “Andate, me la caverò ancora!” e li congedò. Mezz’ora dopo, vide uno splendore speciale e udì una musica tanto simile a quella che per tutta la vita aveva ascoltato all’imbrunire nelle sue tanche. Le comparve rivestita d’un manto dorato, con un bambino in braccio, una speldente signora che le disse, “Melchiorre, ti porto con me, pascolerai con gli angeli del cielo nelle praterie di stelle!!” Melchiorre capì subito e annuì sorridente. La Vergine del Carmine era venuta a prendersi un figlio devoto dall’anima ripiena di stupore come quella di un bambino. Alle 14 e 30 giacque esanime.
Oggi, alcuni giorni dopo la sua scomparsa, il popolo chiaramontese, dall’ombra dei pini presso il Campostanto fino alla gremita chiesa del Carmine, ha salutato Melchiorre, anzi la sua salma, perché la sua anima si è unita a quella di suo padre Pera e di suo figlio, per pascere le stelle nell’ampio firmamento che sovrasta nelle notti senza luna Sassu Altu dove le sue pecore piangono belando e scampanellando il più amato dei pastori, di buona discendenza di Ollollai!
Sia onore a tutti gli antichi pastori che mirano il firmamento, neniando ottave per Nostra Signora, che li invita a pascere le stelle. Sia lieve per Giusta e per il figlio, per l’amico Giovanni e per tutti i congiunti, questo momento d’ombra. Melchiorre nei pascoli di stelle sorride lieto da lassù.
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