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2012
Studi storici sui dialetti della Sardegna Settentrionale di Mauro Maxia – Capitolo 3
Capitolo 3
Sardo e còrso dallo scorcio del Medioevo agli inizi dell’Etá Moderna
Che il settentrione della Sardegna, almeno dalla seconda metà del Quattrocento, fosse interessato da un forte presenza còrsa si può desumere da diversi punti di osservazione. Il Wagner, a proposito delle desinenze del perfetto, osservava che le antiche forme logudoresi “…nei testi dei secc. XVI e XVII occorrono ancora, ma accanto alle nuove formazioni in -ési”, precisando che le forme del perfetto debole della 3^ coniugazione “…sono state soppiantate, a partire dal sec. XVI, da nuove forme di perfetto, nelle quali la desinenza -esi, -isi, presa dai perfetti in -s-, si affigge ora al tema del presente, ora a quello del perfetto; accanto a presi sorge prendesi; accanto a fegi si dice fegisi, ecc.
Oggi tutti i verbi formano un perfetto in – ési nel logud. sett., unica regione in cui attecchí tale formazione, e accanto a questa ve n’è un’altra in -éi senza differenza di funzione e di significato”32.
Non vi è chi non veda la correttezza delle osservazioni del grande tedesco, ma donde proviene la desinenza in -ési del perfetto nel logudorese settentrionale? E come mai essa si radicò, accanto alle genuine forme in -ai ed -ei, soltanto nell’area settentrionale del Logudoro?
Wagner non risulta del tutto convincente quando dice che la desinenza in -ési scaturì dai perfetti in -s-. Come spesso accade, la soluzione forse era più a portata di mano di quanto non pensassero il Maestro della linguistica sarda e gli altri studiosi che si interessarono della collocazione del sassarese e del gallurese. Se il logudorese sett. presenta, a differenza della varietà comune e delle altre varietà sarde più conservative, le palatalizzazioni, le aspirazioni e un numero rilevante di elementi lessicali “di origine continentale” in gran parte sconosciuta agli altri dialetti 33, è probabile che l’origine del fenomeno in questione sia dovuta alle medesime cause. Ma non è al diretto influsso toscano che andranno ascritti i mutamenti fonetici, morfologici e lessicali del logudorese settentrionale, bensì all’influsso esercitato dal còrso contestualmente al consolidarsi della conquista catalanoaragonese.
Come si vedrà meglio appresso (v. cap. 6), il gallurese, pur non essendo di formazione molto antica, non è, come sosteneva il Wagner 34 , un dialetto di data relativamente recente. La sua presenza nella Sardegna settentrionale dovette iniziare, infatti, almeno nel secondo decennio del Quattrocento ma numerosi elementi, fra cui un nucleo di documenti finora trascurati dagli studiosi, ci dànno la certezza che cospicui gruppi còrsi fossero presenti col loro dialetto nel nord della Sardegna e specialmente in Anglona almeno fin dal terzo decennio del Trecento.
Intanto va precisato che l’influsso toscano nel Sassarese cessò, come attestano gli Statuti comunali di Sassari, con la stipula, da parte di questa città, dell’atto di vassallaggio nei confronti della repubblica genovese che è implicito nella formula del pazionamento. A partire da questo momento – che la Convenzione fra i comuni di Sassari e Genova fissa al 1294 ma che va certamente anticipato, 35 bisognerà parlare non più di influsso toscano ma genovese ed è in questo nuovo contesto storico e politico che bisogna inquadrare le interferenze fonetiche (-l- > -r-) e lessicali (es.: dzèa, dzimínu, lantóra) di origine genovese. Non è certo un caso che queste ultime siano assai limitate, se si considera che l’arco cronologico, durante il quale il Comune di Sassari fu autonomo sotto protettorato genovese, supera appena i cinquanta anni, essendo passato ben presto sotto il dominio aragonese.
Per quanto riguarda l’Anglona, ancora meno si potrà parlare di influsso toscano, trattandosi di una contrada sottoposta direttamente e per lungo tempo alla signoria dei Doria. È sufficiente osservare che nei compassi della marineria pisana gli approdi anglonesi risultano omessi sistematicamente per concludere che Pisa non aveva regolari rapporti commerciali con l’Anglona e che, dunque, il suo influsso culturale sarà stato sporadico e, in ogni caso, non si sarà protratto oltre il periodo in cui le fabbriche anglonesi delle chiese romaniche ospitarono maestranze toscane. Questo periodo, come si sa, coincide sostanzialmente con l’arco cronologico compreso fra la fine dell’XI e la fine del XII secolo.
Già prima del 1190, infatti, Barisone II aveva mutato il suo atteggiamento verso Pisa, preferendo diversificare le alleanze internazionali con una nuova politica matrimoniale aperta in direzione di Genova, del Monferrato e della Catalogna. 36
Non sappiamo fino a che punto valutare, sotto il profilo linguistico, l’eventuale apporto culturale dei monaci toscani di Camaldoli, che agli inizi del Duecento si erano impiantati nella valle di Orrea Pithinna (Chiaramonti) 37.
Detto di questo aspetto, occorre precisare il contesto entro il quale sono documentati i fenomeni che caratterizzano il logudorese settentrionale. Ebbene, le prime vistose interferenze di tipo toscano sono documentate all’interno del codice di S. Pietro di Sorres nella prima metà del Quattrocento. Dunque, un periodo in cui è impossibile, per le note ragioni storiche, parlare di influsso toscano diretto.
Sappiamo invece, seppure indirettamente, che il settentrione sardo ospitava un imprecisato numero di còrsi, la cui presenza sembra da collegare con i propositi catalano-aragonesi, una volta completata la conquista della Sardegna (1410), di realizzare compiutamente il Regnum Sardiniae et Corsicae mediante l’annessione della Corsica. Questa isola fino ad allora era rimasta in possesso della repubblica genovese. Tuttavia un partito filo-aragonese, che faceva perno soprattutto su alcuni alti prelati, ancora nel 1480 fomentava sedizioni che sfociarono in una dura repressione da parte genovese.
Un documento del 20 luglio 1460, che il Tola sensatamente attribuiva all’arcivescovo turritano Antonio Cano 38, mentre attesta la presenza di una colonia corsa dotata di beni immobili e quindi impiantata stabilmente nel territorio dell’arcidiocesi turritana, è interessante sia sotto il profilo linguistico sia sotto quello meramente storico. Si tratta, infatti, di una lettera scritta in còrso ma in un registro semidotto che si avvicina al coevo toscano. Questa missiva, firmata con la sola sigla iniziale per ovvi motivi di riservatezza, dovette essere vergata di proprio pugno dal presule citato. Essa documenta che il primo arcivescovo turritano, Antonio Cano appunto, parlava correntemente e scriveva il còrso. Che si tratti senza dubbio di còrso si desume dai seguenti esiti, tipici del còrso e che si conservano quasi immutati nel sassarese e gallurese odierni:
p. 75 [1, r. 2]: averano ‘avranno’ (sass. [avaráni])
“ 2: promisso ‘promesso’ (sass.-gall. [prum:ís:u])
“ 5: andará ‘andrà’ (sass.-gall. [andará])
“ 6: multi ‘molti’ (còrso [multi])
“ 7: veneno ‘vengono’ (sass.-gall. [vènini])
“ 9: tenemo ‘teniamo’ (sass.-gall. [tiním:u])
“ 10: posa ‘sta, siede’ (sass.-gall. [pósa])
“ 13: podiano ‘potevano’ (sass.-gall. [puđíani])
“ 13: ello ‘egli’ (còrso [èllu], sass. [èɖɖu])
“ 16: cussí ‘così’ (sass.-gall. [kus:í])
“ 17: bandere ‘bandiere’ (sass.-gall. [bandéri])
“ 17: teneno ‘tengono’ (sass.-gall. [tènini])
“ 18: capituli ‘capitoli’ (sass.-gall. [kapítuli])
“ 18: libertay ‘libertà’ (sass. [lib:eLtái], gall. [lib:altái])
“ 20: sterili ‘sterile’ (sass. [Ltérili], gall. [stérili])
“ 20: poghi hominj ‘pochi uomini’ (sass.-gall. [pògi òm:ini])
“ 23: boni ‘buoni’ (sass.-gall. [bòni])
“[2, 2]: in lo capo ‘nella parte’ (sass. [i ru gáb:u], gall. [i l:u kápu])
“ 3: distribuyriano ‘distribuirebbero’ (sass. [diLtrib:uiríani], gall. [distrib:uiríani])
“ 9: seryeno ‘sarebbero’ (sass.-gall. [saríani])
“ 14: diciva ‘diceva’ (sass. [didzía], gall. [dičía])
“ 15: non lu diciva ‘non lo diceva’ (sass. [no ru didzía], gall. [no lu dičía]).
Fra i fatti linguistici più notevoli che si desumono dall’analisi del testo sono da segnalare in fonetica:
1): la mancata dittongazione in sillaba tonica (boni, bandere; hominj);
2) l’epitesi -i tipica del còrso antico, del sassarese e del gallurese (libertay);
3) la lenizione delle occlusive intervocaliche (podiano, poghi);
4) l’uscita in -i della classe che in italiano esce in –e (sterili);
in morfologia:
1) l’articolo lu, tuttora attestato nel còrso e in sassarese e gallurese;
2) la prep. articolata in lo che in fonetica sintattica si conserva ancora con i’ lu sia in Corsica sia nel nord Sardegna;
3) l’avverbio cussí, ancora attestato in tale forma sia in Corsica sia in sassarese e gallurese
4) la desinenza della 1^ pers. plur. dell’indicativo presente in -èmo anziché col tosc. -iamo;
5) il futuro con la conservazione del tema non sincopato andar- al contrario dell’italiano andr-;
6) la desinenza della 3^ pers. sing. dell’indicativo imperfetto -íva anziché -èva e quella della 3^ pers. plur. -íano anziché -èvano;
7) le desinenze del condizionale in -íeno, íano.
L’arcivescovo Antonio Cano, sassarese di vasta cultura già noto per essere l’iniziatore della letteratura in lingua sarda, probabilmente era bilingue per via della particolare situazione sociale e linguistica di Sassari che, relativamente al secolo successivo, sappiamo essere una città nella quale si parlavano contestualmente il sardo, il còrso, il catalano e il castigliano (v. infra). Le prime due lingue erano precipue dei rispettivi elementi autoctono e còrso, che convivevano uno a fianco all’altro; le altre due erano usate dall’elemento militare e amministrativo di provenienza iberica ma anche dagli strati sociali locali che, su un piano subordinato, partecipavano alla gestione della cosa pubblica. Presso l’elemento ecclesiastico più acculturato, inoltre, veniva usato anche il latino. La lettera del Cano era indirizzata al vescovo di Ajaccio, Jacopo Mancoso, oriundo di Bonifacio, il cui cognome però, pur non sapendo quanto remote, tradisce chiare origini sarde 39. Di questo vescovo conosciamo una missiva del 3 luglio 1480 indirizzata ai Protettori delle Compere del Banco di S. Giorgio di Genova, con la quale tentava inutilmente di sviare i sospetti che si appuntavano su di lui per il ruolo avuto nella congiura tendente a far passare Bonifacio sotto il controllo aragonese. Il testo, scritto in una varietà che a tratti sembra inclinare verso il genovese, denuncia tuttavia un carattere eminentemente còrso. Esso appare interessante, fra l’altro, per individuare l’origine del perfetto in -ési, -ísi che il Wagner riteneva scaturito nell’area logudorese.
Vediamone le forme più notevoli:
p. 111, 1, r. 7: in lo loco ‘nel luogo’ (sass. [i ru lóg:u], gall. [i l:u lóku])
“ “ “ 8 intendesimo ‘sentissimo’ (sass.-gall. [intindís:imi])
“ “ “ 9 ziamato ‘chiamato’ (sass. [čiam:ád:u], gall. [c’´amátu])
“ “ “13,18abemo ‘abbiamo’ (sass. [abèm:u])
“ “ “19 aviamo ‘avevamo’ (sass. [abíami])
“ “ “19 disimo ‘dicemmo’ (sass.-gall. [dízimi])
“ “ “19 voliamo ‘volevamo’ (sass.[vuríami]; gall. [vulíami])
“ “ “20 sapiamo ‘sapevamo’ (sass. [sab:íami], gall. [sapíami])
“ “ “23 dise ‘disse’ (sass.-gall. [dizi])
“ “ “24 tenisimo ‘tenessimo’ (sass.-gall. [tinís:imi])
“ “ “28 de lo loco ‘del luogo’ (sass. [di ru lóg:u], gall. [di lu lóku])
“ “ “28 doy inseme ‘due insieme’ (gall. [dui insèmbi])
“ “ “29 potiano ‘potevano’ (sass.-gall. [puđíani])
“ “ “30 guardazino ‘guardassero’ (gall. [valdés:ini])
“ “ “32 poterano ‘potranno’ (sass.-gall. [puđaráni])
“ “ “33,38 li providesino ‘li provvedessero’ (sass. [prubiđés:ini], gall. [pruiđés:ini])
“ “ “ 35 intendevamo ‘sentivamo’ (sass.-gall. [intindíami])
“ “ “ 36 li averia apicati ‘li avrebbero impiccati’ (gall. [l aríani ap:ik:áti])
“ “ “ 36 eramo irregulari ‘eravamo irregolari’ (sass.-gall. [érami ir:egulari])
“ “ “ 37 diti homini ‘detti uomini’ (sass.-gall. [dit:i òm:ini])
“ “ “ 37 a chi ‘ai quali’ (sass.-gall. [a ki] oppure [a ka])
“ “ “ 37 lo aviamo dito ‘gli avevamo detto’ (sass. [l abíami dit:u], gall. [l aíami dit:u])
“ “ “ 39 era lo tempo ‘era il tempo’ (gall. [éra lu tèmpu])
“ “ “ 40 recoglire ‘raccogliere’ (sass. [rigul’í], gall. [riguɖ:í])
“ “ “ 40 eramo ‘eravamo’ (sass.-gall. [érami])
“ “ “ 41 abemo ‘abbiamo’ (sass. [abèm:u])
“ “ “ 43 averia ‘avrei’ (sass. [abaría])
“ “ “ 44 credavimo ‘credevamo’ (sass.-gall. [kriđíami])
“ “ “ 45 questi doi ‘questi due’ (gall. [kisti đui])
“ “ “ 45 li vostri… ne ano preso ‘i vostri… ne hanno catturato’ [gall. [li òstri n áni prézu]).
“ “ “ 47 senza averni colpa ni raxone ‘senza averne colpa né ragione’ (sass. [sèntsa abén:i g:òipa nè ražòni; gall. [santsa (oppure: kèna) aén:i kulpa nè ražòni])
“ “ “ 56 Como pono intende ‘come possono capire’ (sass. [kumènti b:óni intindí], gall. [kòmu póni intindí])
“ “ “ 57 non lo averiamo dito ‘non lo avremmo detto’ (sass. [no l abaríLtimi dit:u]; gall. [no l aaríami dit:u])
“ “ “ 56 si avesemo voluto ‘se avessimo voluto’ (sass. [si abús:imi vurúd:u]; gall. [s iɖ :u aús:imi ulútu])
p. 111/2 “2 li aviamo ‘gli avevamo’ (sass. [l abíami], gall. [l aíami])
A parte alcuni passaggi non del tutto chiari, la correlazione temporale del testo si può definire ineccepibile, ciò che dimostra che anche un dialetto come il còrso, quando è necessario, è capace di registri alti e svolge in pieno le funzioni di “lingua” che comunemente vengono attribuite alle lingue di cultura.
(r. 19) “disimo voliamo intrare in lo trato et che lo sapiamo et fecimoli de grandi promesioni quanto potemo e sapemo” ‘dicemmo che volevamo entrare nel discorso e che lo conoscevamo e gli facemmo delle grandi promesse per quanto potemmo e sapemmo’.
24) “et alora ne dise de questo prete e che facia questo trato e ne dise de molte cose…” ‘e allora disse di questo prete e che faceva di questi discorsi e disse di molte (altre) cose…’.
Per ciò che interessa ai fini del presente discorso, il congiuntivo passato mostra forme assai simili al perfetto in - ési, -ísi che si conserva ancora e non a caso nel sassarese e nel gallurese, mentre nel logudorese settentrionale è caduto in disuso a favore dell’uscita genuina in -éi e, più ancora, del passato prossimo, secondo una tendenza diffusa nelle lingue romanze e particolarmente nel parlato.
La lettera del vescovo di Ajaccio presenta alcune forme del perfetto (qui riprodotte sottolineate) che conviene esaminare nei relativi contesti: Le grafie disimo e dise sono molto vicine alle corrispondenti forme sassaresi e galluresi, varietà nelle quali tutte le desinenze del perfetto escono in -i ([dísimi], [dísi]). Ma non è da escludere che le forme riportate nel testo siano da rendere con la sibilante aggeminata (dis[s]imo, dis[s]e), come sembra dimostrare la degeminazione in forme dello stesso documento nelle quali ci si aspetterebbe il rafforzamento. Mentre, infatti, grafie come essere, passati, dicto, scripto, Vinciguerra, hommi, fossi, nulla si sottraggono alla degeminazine, si osservano, viceversa, varie degeminazioni in altre grafie come acade, sospeto, quelo, trato, dito, promise, promesioni, alora, apicati, ecc.
È da evidenziare, tuttavia, che nelle forme abiamo, abemo la bilabiale va intesa effettivamente scempia, come dimostrano gli esiti sass. /abèm:u/ e gall. /aèmu/. Lo stesso vale per il futuro farano “faranno”, al quale corrisponde la forma sass.- gall. /faráni/.
Da un lato si osserva la promiscuità di forme aggeminate e degeminate (per es.: dicto anziché dito) mentre, dall’altro, esiti odierni – sia propriamente còrsi che sassaresi e galluresi – mostrano lo scempiamento in contesti nei quali l’italiano presenta il rafforzamento (còrso: faráno, sass.-gall. faráni vs. ital. faranno) e, viceversa, rafforzamenti in contesti nei quali l’italiano presenta lo scempiamento (/abèm:u/ vs. ital. abbiamo).
Notevole appare il perfetto fecimoli che, senza il pronome clitico, è da leggere fécimo in accordo col perfetto latino mentre in toscano l’accento viene attratto sulla seconda sillaba per effetto del rafforzamento della nasale intervocalica.
La forma */fésimo/, da cui appare derivato l’esito gall.-sass. /fésimi/, presenta la spirantizzazione dell’affricata comune nei dialetti italiani settentrionali, dei quali il còrso, specialmente ad opera del ligure 40, ha subito un influsso che, se non è paragonabile a quello toscano, non è tuttavia da trascurare. Già nel ligure antico l’originaria affricata prepalatale sorda si sonorizza diventando mediopalatale. È da forme come il dispexi della Dichiarazione di Paxia (da leggere probabilmente dispési), che può essere appunto insorto il perfetto in -ési delle parlate sardo-còrse.
Se questa è la situazione del corso, di poca rilevanza, nonostante l’opinione del Wagner e di altri studiosi, appare invece l’elemento ligure, oltre che nel sardo, negli stessi dialetti sassarese e gallurese.
Se la situazione attuale riflette, come sembra almeno per alcuni aspetti, quella del documento in questione, occorrerà pensare che anche la pronuncia della sibilante oscillasse fra il rafforzamento e lo scempiamento. Nel caso del perfetto essa poteva addirittura presentarsi sonora. Nel qual caso la sibilante delle grafie dise, disimo corriponderebbe effettivamente a quella sass.-gall. delle forme [díi], [díimi].
Qualora il quadro linguistico corrispondesse a quello che qui, a causa della penuria di documenti e della promiscuità delle grafie, si è solo tentato di tracciare, la questione delle forme del perfetto sass. e gall. in -ési, -ísi potrebbe dirsi avviata verso la soluzione.
D’altra parte, nel parlato, i locutori di lingua italiana, specialmente i dialettofoni, tendono spesso a semplificare il discorso, sostituendo le forme del congiuntivo con quelle corrispondenti dell’indicativo e il condizionale con l’imperfetto indicativo. A determinare le uscite del perfetto [- ési], [-ísi] possono avere concorso le forme dell’imperfetto congiuntivo. Prendiamo, ad esempio, alcuni passi della lettera del vescovo Mancosu in cui figura l’imperfetto congiuntivo:
(r. 6) “Al presente acade como questi jorni passati essendo noy in lo loco de Bonifacio… a bocha intendesimo…” ‘Orbene succede che in questi giorni passati, essendo noi (stati) nella località di Bonifacio… a voce sentissimo…’
(r. 39) “…era lo tempo de le arecolture et convegni andasimo ne lo episcopato per recoglire” ‘…era il tempo della raccolta e degli incontri 41 (e che) andassimo nella diocesi per raccogliere’.
Forse non è un caso che in entrambi i passi citati il congiuntivo non viene introdotto dal pronome relativo chi ‘che’, ‘in cui’. E infatti i due periodi possono essere anche tradotti (1) ‘a voce sentimmo’ e (2) ‘andammo’ senza che il senso dei due periodi ne risulti minimamente modificato. In altre parole, la mancanza di codificazione in cui inevitabilmente si svolgeva la comunicazione sia orale sia scritta permetteva una certa promiscuità fra tempi corrispondenti di modi diversi, una situazione alla quale, come si accennava, non sfugge neppure l’odierno italiano parlato e che, sempre più spesso, interferisce in contesti di larga veicolazione.
Molto utile si rivela l’esame di tre documenti còrsi 42 del medesimo periodo rappresentati, rispettivamente, da:
1) Deposizione del rettore della chiesa di S. Niccolò di Spano (20 settembre 1400);
2) Lettera di prete Polino da Mela ai protettori del Banco di San Giorgio (11 giugno 1489);
3) Lettera dall’esilio di Giovanpaolo Leca, conte di Cirnarca, ai figli (scritta a Sassari il 2 giugno 1506).
Prima di soffermarci sui fatti filologici e linguistici è importante, sotto l’aspetto storico, rilevare la presenza a Sassari di una personalità còrsa di rango elevato come il conte di Cinarca 43, che vi era relegato in esilio. Questo dato conferma che nel periodo in questione Sassari continuava, come nei secoli precedenti, ad ospitare una colonia còrsa. Ora, il fatto che lo stesso arcivescovo conoscesse e usasse il còrso la dice lunga sul grado di acclimatamento raggiunto da questa varietà a Sassari nel Quattrocento. Non sembra dunque azzardato ipotizzare, come confermano poi i documenti del secolo successivo, che già nel XV secolo il còrso a Sassari fosse fortemente radicato e che fosse già in atto o si trovasse addirittura in una fase avanzata il processo di erosione e sovrapposizione a detrimento del logudorese.
Questo aspetto sfata alcuni luoghi comuni, invalsi anche fra studiosi prestigiosi, quali la supposta origine plebea del sassarese e la teoria del radicamento del còrso a seguito di “mortalissime pestilenze” avutesi a Sassari nella prima metà del Cinquecento (v. supra).
Per quanto riguarda la presunta estrazione del sassarese dai più bassi strati sociali, l’affermazione viene contraddetta nettamente dal fatto che lo stesso arcivescovo scriveva lettere in còrso. Ciò significa, dunque, che il còrso non soltanto era parlato anche dagli strati sociali più elevati ma conosceva un uso scritto sia pure limitato, a causa dei pochi dati di cui siamo in possesso, ai rapporti fra Sassari e la Corsica. Abbiamo visto, inoltre, dalle lettere del Cano e del conte di Cinarca, che il còrso “illustre” non differiva in modo particolarmente significativo dall’italiano attestato sulla penisola durante il medesimo periodo. Le differenze, in effetti, sembrano circoscritte a pochi fatti lessicali, all’accentazione, al particolare vocalismo, a qualche aspetto del consonantismo e, soprattutto, alle forme verbali.
La presunta origine plebea è frutto di una distorsione di prospettiva da parte del Wagner che, sposando le opinioni dell’Angius e del Tola, stranamente proiettò in chiave diacronica quanto a lui risultava sul piano sincronico. Se egli avesse esaminato la lettera del Cano e le chiarissime interferenze di ordine morfologico presenti nelle composizioni dell’Araolla sarebbe giunto a ben altre conclusioni. Ma sappiamo quanto Wagner fosse poco interessato ai dialetti della Sardegna settentrionale, per cui l’insufficienza del suo approccio trova spiegazione in questo suo atteggiamento.
Non vi è dubbio che, dopo il bando della lingua italiana decretato dalle prammatiche reali spagnole della seconda metà del ’500 44, dopo il fortissimo influsso sardo subito dal còrso nel processo di sovrapposizione sull’originario logudorese, dopo un’immersione nella sfera del mero parlato durata per oltre tre secoli e dopo l’italianizzazione delle classi superiori iniziata nella seconda metà del ’700, il dialetto di Sassari si presentava a Wagner come un “ibrido” che ormai si trascinava verso l’epilogo con un uso limitato agli strati sociali più bassi.
Ma il risultato finale di questo processo regressivo non va confuso con le origini di questo dialetto, le quali scaturirono da uno straordinario crogiuolo sociale e linguistico che al giorno d’oggi in Sardegna, ma forse anche nel resto d’Italia, non sembra conoscere paragoni.
Sulla teoria delle “mortalissime pestilenze”, inaugurata dall’Angius e poi fatta propria dal Tola, conviene soffermarsi soltanto per osservare che non vi è alcuna ragione perché esse nella prima metà del ’500 non colpissero tutte le componenti sociali presenti a Sassari. Vale a dire che esse decimarono indistintamente sia l’elemento sardo sia quello còrso sia quello iberico. Wagner infatti non fa alcun cenno alle ragioni storiche e culturali in virtù delle quali l’elemento còrso, in modo quasi repentino, si sarebbe instaurato a Sassari nel XVI secolo.
Se dopo quelle micidiali epidemie è possibile apprezzare una prevalenza dell’elemento etnico originario della Corsica ciò dipenderà dal fatto che nel frattempo, grazie a una indiscutibile lealtà linguistica osservabile anche attualmente, il còrso aveva cominciato a soppiantare inesorabilmente il logudorese che, secondo la testimonianza del Tola, si sarebbe estinto completamente nel ’700. D’altronde, quanto fosse elevato il numero dei Corsi residenti a Sassari si rileva in modo chiarissimo negli stessi Statuti e, in particolare, nel cap. 42 del II libro, redatto nel 1435 o negli anni immediatamente successivi.
Nella Deposizione del rettore della chiesa di S. Niccolò di Spano si rilevano, per ciò che riguarda il nostro argomento, i seguenti fatti notevoli:
r. 2 li antichi ‘i fatti antichi’ (gall. [l antíki] “i progenitori”
“ 3 la iesia ‘la chiesa’ (sass.-gall. [la jéža])
“ 4 Iohanni ‘Giovanni’ (sass. [ğuán:i]; gall. [g’´uán:i])
“ 5 co le ‘con le’ (sass.-gall. [ku li])
“ 9 era tando ‘ero allora’ (gall. [éra tandu])
“ 11 in giò ‘in giù’ (gall. [in ğò], anche [in g’´ò], [in ñò])
“ 12 lu collo ‘il colle’ (gall. [lu kóɖ:u])
“ 16 ello ‘egli’ (sass. [èɖ:u])
“ 16 lu Pusatoio (topn.) (gall. [lu pusatòğ:u] ‘dove ci si siede’)
“ 18 in la valle ‘nella valle’ (sass. [i ra báɖ:i]; gall. [i l:a áɖ:i])
Per morfologia e lessico il documento presenta varie forme vicine al gallurese, ma se ne distacca per le uscite del perfetto. Ora, mentre la lettera del vescovo Mancoso è del 1480 e proviene da Ajaccio oppure da Bonifacio, cioè dall’area pomontina, la Deposizione del prete Iohanni Provintiale è del 1400 (uno dei più anticchi documenti in volgare còrso) e proviene dalla Balagna, nell’entroterra di Calvi, un’area che, sotto l’aspetto linguistico, per la sua posizione geografica risente dell’influsso del capocorsino e del bastiaccio 45.
Tali precisazioni hanno lo scopo di evidenziare, da un lato, che il perfetto forte in -eno è caratteristico della Balagna. D’altro canto, la lettera del Mancosu è successiva di ottanta anni e viene da quell’area linguistica (Corsica sud-occidentale) da cui sembra ormai acquisita la provenienza del gallurese.
Non a caso, dunque, il perfetto in -ési, -ísi si è affermato come unica forma in Gallura, area che via via si è staccata dal diasistema còrso per assumere, a causa del forte influsso sardo, ma anche iberico, tratti propri. In altre parole, questo tipo di perfetto, originatosi in area còrsa oltremontana in un periodo in cui la circolazione demografica, culturale e linguistica fra la Sardegna e la Corsica era vivace, finì con l’affermarsi in Sardegna fra la fine del ’400 e il ’500.
L’innovazione si propagò ben presto al perfetto logudorese, come dimostrano le composizioni poetiche dell’Araolla, nelle quali, le nuove forme coesistono con quelle autoctone 46.
La lettera del prete Polino da Mela merita di essere ricordata, fra l’altro, perché si inserisce direttamente nel contesto della rivolta còrsa contro il dominio genovese (1489) capeggiata dal feudatario Giovanpaolo di Leca. Questo aspetto è di notevole interesse sotto il profilo storico. Le ricorrenti rivolte contro Genova, fino a quella settecentesca del Paoli, consentono di apprezzare una delle maggiori cause che alimentarono per diversi secoli la diaspora còrsa. La direttrice principale seguita dai fuorusciti è rappresentata, appunto, da Sassari e dalla Gallura e venne determinata, oltre che dalla vicinanza della Sardegna, dall’acquiescenza o anche dal favore col quale il potere catalano-aragonese consentiva queste migrazioni in vista dell’agognata realizzazione del Regnum Sardiniae et Corsicae. L’esilio a Sassari di Giovanpaolo di Leca appare in questo senso eloquente.
Per quanto riguarda, in particolare, la Gallura si dovrà considerare che la motivazione principale del suo ripopolamento ad opera di gruppi còrsi è da individuare nel fatto che essa, essendo rimasta quasi completamente spopolata nella seconda metà del Trecento, non poteva che procurare se non rendite miserrime ai feudatari catalani che tante risorse avevano investito nella conquista della Sardegna.
È implicito che l’immigrazione venisse favorita per incrementare le entrate attraverso l’insediamento di nuovi vassalli.
Nella breve lettera del prete Polino da Mela sono da segnalare, per il nostro discorso, le seguenti forme:
r. 2 habio ‘ho’ (sass.-gall. [áğ:u])
“ 3 vinuti ‘venuti’ (sass. [vinúd:i]; gall. [vinúti])
“ 3 tucta la liga ‘tutta la lega’ (gall. [tut:a la liga])
“ 3 viduta ‘intervista’ (gall. [vidúta] ‘veduta’)
“ 5 stringnarano ‘restringeranno’ (gall. [striñaráni])
“ 5 li passi ‘i passi’ (gall. [li pas:i])
“ 5 ristarano ‘resteranno’ (gall. [ristaráni])
“ 6 scripssino ‘scrivessero’ (gall. [skriís:ini])
“ 7 lectara ‘lettera’ (sass.-gall. [lít:ara])
“ 8 p(rise)nti ‘presente’ (sass.-gall. [prisènti])
“ 8 quesso vostro loco ‘codesto vostro luogo’ (gall. [kis:u òstru lóku])
“ 9 chi l’avet a li mani ‘che l’avete nelle mani’ (gall. [ki l aét a li mani])
“ 9 como meglo ‘come meglio’ (sass. [kumènti mél’u]; gall. [kòmu mèd:u])
“ 10 dato chi ‘dato che’ (sass. [dad:u gi]; gall. [datu ki])
“ 11 forsi ‘forse’ (sass.-gall. [fós:i])
“ 12 havaremo pacientia ‘avremo pazienza’ (sass. [abarèm:u padzèntsia], gall. [aarèmu patsèntsia])
“ 13 a li quali sempri ‘ai quali sempre’ (gall. [a li kali sèmpri])
Il documento proviene da Olmetu 47, un villaggio del distretto di Sartène, situato nell’area linguistica più conservativa dell’isola. Non per caso, nonostante i frequenti latinismi e la resa degli infiniti in -are operate da quel religioso, questa lettera fornisce numerosi esempi di corrispondenze fonetiche e morfologiche col sassarese ma, soprattutto, col gallurese.
Nel nostro discorso assume un aspetto particolare la lettera che lo sfortunato Giovanpaolo di Leca scrisse nel 1506 da Sassari ai figli, anche loro esuli ma a Roma 48. Costui era conte della Cinarca, una valle che si apre sul Golfo di Sagona, l’ampia insenatura che separa Cargese da Ajaccio. La relativa varietà è da assegnare, come per le due lettere precedenti, al còrso oltremontano.
Per i fini di questo lavoro sono da segnalare le seguenti forme:
r. 2 doi dí passati ‘due giorni fa’ (gall. [dui đi pas:áti])
“ 2 soa ‘sua’ (sass.-gall. [sója])
“ 3 avemo ‘abbiamo’ (sass. [abèm:u]; gall. [aèmu])
“ 4 ci áno ‘ci hanno’ (gall. [či áni])
“ 4 erate ‘eravate’ (sass. [érad:i]; gall. [érati])
“ 5 semo ‘siamo’ (sass. [sèm:u]; gall. [sèmu])
“ 5 maravigliati ‘meravigliati’ (sass. [maravil’ád:i]; gall. [marail’áti])
“ 6 di non avisarci ‘che non ci abbiate avvisato’ (gall. [di no av:isáč:i])
“ 6 secondo potemo intendere ‘secondo quanto possiamo sentire’ (gall. [sigúndu (lu ki) puđèmu intindí])
“ 8 podaria essere ‘potrebbe essere’ (gall. [puđaría ès:e])
“ 8 papero ‘carta’ (gall. [papéri])
“ 9 doviate ‘dovevate’ (sass. [dubíad:i]; gall. [duíati])
“ 10 eo ‘io’ (gall. [éu])
“ 10 voi sete cum li piú ‘voi siete con i più’ (gall. [voi zéti ku li piú])
“ 12 si partio…de qui ‘se ne partì…da qui’ (gall. [si n:i paltízi da ki])
“ 13 sempre in pensamento ‘sempre in pensiero’ (gall. [sèmpri iin pinsamèntu])
“ 14 agia ‘abbia’ (sass. [àğ:a]; gall. [àg˝:ia])
“ 14 podere ‘potere’ (sass.-gall. [puđé])
“ 15 agio ‘ho’ (sass. [àğ:u]; gall. àg˝:iu])
“ 16 ci podesse ‘ci potesse’ (sass. [tsi puđés:ia]; gall. [či puđés:ia]).
“ 17 bono ‘buono’ (sass.-gall. [bònu])
“ 21 m’hano ‘mi hanno’ (sass.-gall. [m àni])
“ 22 megio 49 ‘meglio’ (sass. [mél’u]; gall. [mèɖ:u])
“ 23 li soi pensamenti ‘i loro pensieri’ (gall. [li só pinsamènti])
“ 23 elli sono…jente ‘essi sono…persone’ (sass. [èd:i so ğ:ènti]; gall. [iɖ:i zo g˝ènti])
“ 24 si pigiano di li soi ‘si prendono dei loro’ (sass. [si b:íl’ani di ri zói]; gall. [si píɖ:ani di li zói])
“ 25 diceno che voleno ‘dicono che vogliono’ (sass. [dìdzini gi vóni]; gall. [díčini ki vóni])
“ 25 tantare ‘tentare’ (gall. [tintá], [tantá])
“ 26 havemo ‘abbiamo’ (sass. [abèm:u]; gall. [aèmu])
“ 26 svoltare ‘convincere’ (sass. [iv:uLtá]; gall. [svultá])
“ 26 li figlioli ‘i figli’ (sass. [li fil’óri]; gall. [li fiɖ:óli])
“ 27 in tre dí ‘in tre giorni’ (sass.-gall. [in tre dí])
“ 28 se elli venisseno ‘se essi venissero’ (sass. [si èd:i vinís:ini]; gall. [si iɖ:i inís:ini])
“ 28 non ponete mente ‘non date retta’ (gall. [no puníti mènti])
“ 30 voi sete ‘voi siete’ (gall. [voi zéti])
“ 32 lassemo ‘lasciamo’ (sass. [las:èm:u], [dagèm:u]; gall. [las:èmu], [dakèmu], [lakèmu])
“ 32 semo ‘siamo’ (sass. [sèm:u]; gall. [sèmu])
“ 33 inseme ‘insieme’ (gall. [insèmbi])
“ 34 vi faragio ‘vi farò’ (sass. [vi varáğ :u]; gall. [vi varág˝:u])
“ 36 tua mogliera ‘tua moglie’ (sass. [tó mul’éri]; gall. [tó mud:éri])
“ 39 li sia benedetta ‘se l’abbia in gloria’ (sass. [benedèt:a li zia]; gall. [binidít:a li zia]).
La lettera del conte di Cinarca mostra, rispetto alle precedenti, un maggior numero di forme, fra le quali spiccano alcuni costrutti che si riscontrano, oltre che nel sassarese e nel gallurese, anche in logudorese. Espressioni come “io sono stato…sempre in pensamento” sono frequenti in tutta la Sardegna settentrionale, sì che a Sedini è piuttosto comune sentire “sogu sempri in pinsamèntu” ‘sto sempre in pensiero’ allo stesso modo in cui a Castelsardo capita spesso di sentire “(èddi) sò ghjènti chi…” ‘sono delle persone che…’ o anche “no l’avèmmu pudúddu ivvuLtá” ‘non siamo riusciti a convincerlo’ o ancora “no puníddi mènti” ‘non date retta’ oppure “binidítta li sia!” ‘che (il Signore) l’abbia in gloria!’. Anche la costruzione secondo potemo intendere trova riscontro in Gallura con locuzioni come, per esempio, “sigundu ágghju cumpresu” ‘da quello che ho capito’.
Se questa era la situazione che si ipotizza per la seconda metà del ’400 e per i primi del ’500, si può ben capire perché nel 1561 a Sassari non si parlasse più il sardo ma un dialetto còrso o, piuttosto, una sua varietà. È utile, a questo proposito, riportare alcuni passi tratti da un nucleo di tre lettere di quel medesimo anno, scritte da Baldassarre Pinyes, rettore del collegio dei Gesuiti di Sassari, e dal padre Francisco Antonio, le quali sono state pubblicate dal Turtas:
(I) …Los lectores, muy mejor sería que entendiessen y supiessen hablar italiano, porque es la lengua más entendida de lo niños por ser la propria lengua d.esta ciudad, la qual tiene peculiar lengua, muy conforme a la italiana, aunque los ciudadanos dessean desterrar esta lengua de la ciudad por ser apezadisa de Córsega y entrodusir la española 50.
“I lettori, sarebbe molto meglio se capissero e sapessero parlare l’italiano, perché è la lingua meglio capita dai bambini in quanto è questa la lingua di questa città, la quale ha una sua lingua peculiare piuttosto simile all’italiano, sebbene i cittadini (di rango più elevato) desiderino estirpare questa lingua della città, essendo originaria della Corsica, e introdurre (al suo posto) lo spagnolo”.
(II) …La lengua ordinaria de Cerdeña es la sarda, come de Italia la italiana. En algunas villas empero usan la corça, aunque también entienden la sarda… En esta ciudad de Saçer algunas personas prinçipales hablan mediocremente la española, pero lo común es sardo y corço, o italiano que le es vezino… no se venía quasi nadie a confessar con nosotros por no saber la lengua… los pocos que acquí hemos sido siempre fuimos de pareçer que en casa la habla ordinaria fuesse sarda… si los lectores o confessores que han de venir acá sono españoles, tendrán harto trabajo y haran poco fruto por espaçio de un año o más, porque los mochachos ninguna lengua hablan sino es corça…51
“La lingua comune in Sardegna è il sardo come in Italia è l’italiano. In alcuni villaggi però parlano il còrso, sebbene capiscano anche il sardo… In questa città di Sassari alcune persone di livello elevato parlano in modo mediocre lo spagnolo ma comunemente si parla sardo e còrso o italiano, che è simile a quest’ultimo… quasi nessuno veniva a confessarsi da noi per il fatto che non conoscono la (nostra) lingua… Quei pochi di noi che sono sempre stati qui hanno finito per dare l’impressione che nella Casa la lingua comune fosse il sardo… se i lettori o confessori che verranno qui saranno spagnoli per almeno un anno dovranno faticare parecchio in cambio di scarsi risultati perché i ragazzi non parlano altra lingua che il còrso”
(III) …En lo de la lengua sarda sepa vuestra paternidad que en esta ciudad no la hablan, ni en el Alguer ni en Caller; mas solo la hablan en las villas. En esta ciudad se hablan quatro o sinco lenguas quien catalán, quien castellano, quien italiano, quien corso, quien sardo; de modo que no hay lengua cierta sobre que el hombre pueda hazer fundamento; todavia se pone algún cuydado en que se hable sardo… aunque, como digo, en esta ciudad no le hablan, mas tienen lengua por sí quasi como corcesca…52
“Riguardo alla lingua sarda sappia Vostra Paternità che in questa città (di Sassari) non la parlano (così come non è parlata) né ad Alghero né a Cagliari, ma la parlano soltanto nei villaggi. In questa città si parlano quattro o cinque lingue: chi catalano, chi castigliano, chi italiano, chi còrso, chi sardo, di modo che non c’è una lingua certa sulla quale chiunque possa basarsi. Tuttavia si pone una certa cura ad esprimersi in sardo… sebbene, come dicevo, in questa città non lo parlino e considerino come loro lingua una varietà molto simile al còrso…”.
La situazione descritta da quei religiosi per il 1561 non è molto dissimile da quella che caratterizzava Sassari ancora una cinquantina di anni fa, quando la quasi totalità degli abitanti, pur comprendendo il sardo, parlava quello stesso dialetto di origine còrsa che oggi sembra avviato verso un definitivo disuso.
Naturalmente il dialetto di Sassari non sarà insorto all’improvviso nel 1561, se allora tutti i bambini parlavano soltanto il còrso e se i sassaresi consideravano come loro lingua il còrso e non il sardo. Anche da questa angolazione, appare conseguente che fin dal secolo precedente, ma forse fin dal Trecento, a Sassari si parlasse il còrso. Notevole risulta il passo in cui il padre Francisco Antonio definisce la lingua di Sassari “…quasi como corcesca…”. Non conosciamo però gli elementi sui quali egli poteva osservare delle differenze fra il sassarese e il còrso.
Di fronte a queste testimonianze risulta difficile credere a quanto diceva il Tola sulla vitalità del sardo a Sassari ancora nel Settecento. Sembra più verosimile ritenere che i sardofoni di cui parlava il Tola corrispondessero a benestanti inurbati dai villaggi vicini per avvantaggiarsi dei servizi – primi fra i quali l’istruzione e il commercio – che la città poteva offrire.
Il padre Francesco Antonio nella sua lettera affermava che il còrso era parlato non solo a Sassari ma anche en algunas villas. Ciò significa che la situazione linguistica dell’area di Sassari doveva essere fin da allora simile a quella attuale. Il quadro risulterà completo se negli altri villaggi cui accennava il gesuita si riconosceranno gli abitati di Sorso, Castelsardo e Sedini, gli unici in cui ancora oggi, oltre alla Gallura, si parlino delle varietà di origine còrsa. Né suonerebbe strano se nella locuzione algunas villas egli intendesse comprendere i pochi villaggi della Gallura cinquecentesca che usano ancora una varietà di corso ovvero i centri di Tempio, Calangianus, Aggius e Nughes (Nuchis) 53.
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Note:
32 LLS, p. 302.
33 LLS, p. 343.
34 LLS, p.
35 LLS, p. 234.
36 MELONI G. – DESSÌ FULGHERI A., Mondo rurale e Sardegna nel XII secolo, Napoli, 1994, parte I.
37 In altra sede si ipotizza che dal priorato di S. Maria di Orrea Pichinna dipendesse la chiesa di S. Vittoria del Sassu; cfr. MAXIA M., Villaggi e monasteri dell’Anglona medioevale (in corso di edizione presso Delfino Editore).
38 CDS, II, doc. XXXVIII, pp. 74-76, nota 11; il dato è confermato da TURTAS R., “Cronotassi dei vescovi sardi”, in MARRAS P., L’organizzazione della chiesa in Sardegna 1995, p. 72.
39 Negli interrogatori cui venne sottoposto durante la prigionia, il vescovo Mancosu dichiarava di essere parente dei Gambella, nota famiglia sassarese (cfr. CDS, II, sec. XV, doc. LXXXIV, p. 124).
40 Cfr. CASTELLANI A., I piú antichi testi italiani, Bologna 1973, pp. 174- 175.
41 Il termine convegni sembrerebbe indicare, secondo il suo valore etimologico, degli accordi connessi con la valutazione delle derrate derivanti dal raccolto al fine di quantificare gli importi delle relative decime ecclesiastiche. Questo senso appare confermato dall’azione del “raccogliere” alla quale sembra improntata la visita del vescovo nella diocesi.
42 Cf. NESI A., “La Corsica – Antologia di testi commentati”, in La Sardegna e la Corsica, cit., pp. 243-252.
43 La Cinarca era un’antica regione della Banda di Fuori, corrispondente a una valle posta nell’entroterra del Golfo di Sagona; oggi l’area è compresa nel dipartimento di Ajaccio.
44 TURTAS R., La questione linguistica, cit., pp. 62-63.
45 Cfr. l’osservazione della Nesi, cit., a p. 245, n. 19
46 Cfr. GARZIA R., Gerolamo Araolla, Bologna, 1914; WAGNER M. L., Die Rimas Spiritualen von Gerolamo Araolla, “Gesellschaft für Romanische Literatur”, XXXVII, Dresda, 1915; ALZIATOR F., Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari, 1982 (rist. anast. ediz. 1954); Il meglio della grande poesia in lingua sarda, a cura di Michelangelo Pira, Cagliari, 1975, pp. 23-32. Nulla di tutto ciò si apprezza ancora nel poema in sardo Sa vitta et sa morte, et passione de Sanctu Gavinu, Prothu et Januariu di Antonio Cano che, sebbene pubblicato nel 1557, fu composto certamente nella seconda metà del Quattrocento. Va detto, tuttavia, che il lavoro del Cano fu composto con esclusive finalità encomiastiche in un sardo talmente infarcito di latinismi che sarebbe inutile andare a cercarvi interferenze che pure non sembrano mancare (cfr. WAGNER M. L., Il Martirio dei SS. Gavino, Proto e Januario di Antonio Cano, “Archivio Storico Sardo”, VIII, 1912, pp. 145-189; ALZIATOR F., Storia della letteratura di Sardegna, cit., pp. 66-68).
47 FALCUCCI F. D., cit., p. 252.
48 Nel suo esilio sassarese gli facevano compagnia la moglie, il figlio minore Rusteruccio, la nuora Lucrezia e il nipotino Altobello. Il Falcucci ricorda il castello di Leca nell’appendice del suo Vocabolario (p. 443). Egli fissa al 1457 la fine della rivolta antigenovese, ma l’esilio dell’autore della nostra missiva fa ritenere che le agitazioni in Corsica, come si desume dalle esortazioni alla prudenza rivolte ai figli, non fossero affatto sopite.
49 L’esito megio rappresenta, rispetto al sass. mégliu e al gall. mèddu, unaterza variante che va col sicil. mègghiu. e col logud. ant. megius (oggi: médzus); cfr. anche pigiano alla r. 24.
50 TURTAS R., La questione linguistica nei collegi gesuitici sardi nella seconda metá del Cinquecento, “Quaderni sardi di storia”, n. 2 (1981), pp. 58-59; ID., Scuola e Universitá in Sardegna tra ’500 e ’600, Sassari, 1995, pp. 116-117.
51 TURTAS R., La questione linguistica, cit, pp. 60-61; ID., Scuola e Universitá in Sardegna, pp. 117-118.
52 TURTAS R., La questione linguistica, cit, pp. 62-63; ID., Scuola e Universitá in Sardegna, pp. 118-119.
53 Degli altri centri, Terranova (Olbia) e Luras sono ancora sardofoni mentre a Bortigiadas il sardo si è estinto verso la metà del ’900. L’antichità dell’insediamento còrso nell’Alta Gallura può desumersi, fra l’altro, dal topn. Núchis, nel quale l’occlusiva velare sorda testimonia la precedente forma logud. *Nuches. Se il corso si fosse radicato soltanto nel ’600 e nel ’700, oggi l’esito gall. di questo toponimo sarebbe *Nughis perché corrisponderebbe alla forma logud. Nugues attestata per quei secoli. Poiché la velare in logudorese si è sonorizzata definitivamente entro la prima metà del Quattrocento, l’insediamento còrso in Alta Gallura andrebbe retrodatato quanto meno a tale periodo.
STUDIUM ADF
Sassari – 1999
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© Mauro Maxia
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