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In memoria ( a G.Asproni) – Versi di Sebastiano Satta

Scritto da carlo moretti

Tratto dalla raccolta “Canti Barbaricini” di Sebastiano Satta.

Breve nota biografica:

Sebastiano Satta nacque a Nuoro nel 1867 e vi morì nel1914. Compì i suoi studi a Sassari, prima al liceo, dove ebbe come insegnante il carducciano Giovanni Marradi, e poi all’Università, nel corso di laurea in legge. Nella Sassari repubblicana e radicale del tempo aderì a ideologie ed esperienze politiche progressiste, prendendo parte giovanissimo al risveglio della via culturale in Sardegna e contribuendo ad animare la vita della città, nella quale scorgeva affinità con la Bologna carducciana,che aveva conosciuto durante il servizio militare. Si dedicò precocemente all’attività poetica, componendo versi in cui è evidente l’ammirazione per Carducci, e svolse una vivace attività giornalistica: fondò con Luigi Falchi la rivista “La Terra dei Nuraghes” e collaborò ad altri periodici isolani, nonché a “La Nuova Antologia”, a “Il Giornale d’Italia”, e ad altri periodici del continente. Laureatosi a 27 anni, divenne presto il miglior avvocato del foro nuorese. Aderì alle idee socialiste, interpretando il suo socialismo umanitario in accordo con i bisogni e i caratteri della realtà locale. Sposatosi nel 1905, ebbe una figlia, Raimonda,che morì prematuramente nel 1907; a lei, chiamata affettuosamente Biblina, si ispirò per i Canti dell’ombra, una sezione della prima delle sue raccolte maggiori. Nel 1908 nacque il secondo figlio, provocatoriamente chiamato Vindice. Colpito da paralisi nello stesso anno, non cessò per questo di comporre versi, dettando le sue poesie più famose, confluite nelle raccolte Canti barbaricini (1910) e Canti del salto e della tanca(usciti postumi nel 1924).


IN MEMORIA

A G. Asproni


–Noi lo vedemmo e udimmo – i vecchi dicono

Seduti all’ombre verdi del sacrato,

E a lui pensando, i pii vecchi bisognano

Tutti i migliori sogni del passato –


Noi lo vedemmo e udimmo. In lui la ruvida

Possa della sua gente: e il dritto e sano

Oprare: in lui l’eloquio formidabile

Vivo di lampi come l’uragano.


In lui la gaia bonomìa: schiudevasi

Talor la sua pensosa fronte ai voli

D’arguti motti, e allor egli appariane

Come una quercia viva d’usignoli.


Ed egli fu del nostro dritto valido

Affermatore. Allor per questa terra

Volser giorni men rei. Deh! come all’anima

Il ricordo di Lui oggi si afferra! –


Così i vegliardi. E i rimembranti giovani,

Scendendo a sera dalle fosche vette

Ai villaggi, che in fiere solitudini

Maturan òdii e covano vendette,


Ripensano: Oh se ancor di sua grand’anima

Passasse un lampo, o Patria, ancor tu noi

Vedresti in folta schiera assurger vindici

Dell’onta nostra e de’ destini tuoi!

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