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feb
2012
VI. Le prime indagini sull’archeologo morto ammazzato a Miramonti nel 1889 di Ange de Clermont
Appena il cielo iniziò a schiarire il pretore di Vulvu col brigadiere e con due militi lasciarono la caserma a cavallo diretti al rio Filighesos presso la domus sulla roccia rossastra per rimuovere il cadavere dell’archeologo miramontano Antonio Pedde, vegliato nella notte da un milite e dal pastore Mudulesu del Nuraghe Aspru. Ci vollero due ore di cammino per raggiungere la località, lanciando di tanto in tanto al trotto i cavalli. Passati davanti alla chiesa di Santa Maria Bambina, detta anche, de Aidos, raggiunto il rio Giunturas, che in altimetria degrada almeno duecento metri da quella del paese, posto a 450 metri sul livello del mare, giunsero a sa Punta de sas Tanchittas e via a spron battuto verso il rio Filighesos.
I due custodi del cadavere si erano svegliati presto e avevano preparato due fascine di cisto su cui legarlo. Il brigadiere, il pretore e il milite, appena raggiunta la domus, diedero l’ordine di calare dalla grotta il cadavere dell’archeologo. Due militi col pastore Mudulesu entrarono nella grotta, sollevarono il cadavere ormai freddo del morto, lo poggiarono sulla fascina di cisto e lo legarono con robuste corde. Farlo uscire da quella porticina non fu facile e poiché il morto era a braccia aperte, chiesero al pretore l’autorizzazione di spezzargli le braccia, per piegarle in forma rituale e trasportarlo fuori della grotta. Mudulesu, il più esperto uscì per primo dalla domus e si ancorò agli spuntoni esterni, così da supportare energicamente la fascina di cisto e orientarla correttamente, mentre i due militi la spingevano fuori, tenendo da un capo all’altro, con due corde, il cadavere e la fascina a mo’ di barella. Il cadavere scivolò così fino a toccare terra dove l’altro milite e il brigadiere la spostarono in modo tale che il pretore potesse osservare il poveretto. Il magistrato notò subito il marchio sulla fronte e al lato destro della tempia abrasioni medie, guardando per i fianchi osservò che l’abito era rotto da una larga fessura attraverso la quale si notava l’effetto d’una stilettata che aveva procurato al morto un’evidente emorragia. Capì subito che l’uomo era stato pugnalato di fianco dall’assassino, steso con un colpo contundente alla tempia e poi marchiato in fronte con il marchio di una protòme taurina arroventata. Volle vedere anche la bisaccia e notò subito i ferri del mestiere: una cazzuola, una piccozza, un martello, uno scalpello e poi una sacchetto con due boccette ripiene una certamente d’acqua e l’altra d’olio, più tre crocifissi; nell’altra tasca della bisaccia vi era del pane del formaggio e un pezzo di lardo. Il pretore divenne nervoso per lo spettacolo raccapricciante a cui pure era abituato e, sigillata con due corde le sacche della bisaccia, diede ordine di trasferire il cadavere oltre il fiume e condurlo in alto nei pressi de s’istrampu del rio, dove il porcaro Zulianu, servo di Mudulesu, aveva approntato un carro da buoi, per condurre il cadavere in paese. Il pretore impartì l’ordine di partire e si rassegnò a seguire quel rozzo carro funebre trainato da buoi. Passarono due ore e mezzo prima di raggiungere, nei pressi di Codinas, sa Punta de Bona Notte. Dopo una breve sosta il carro continuò verso Caminu de Litu e quindi in via Garibaldi, fino alla casa del morto, dove le donne cominciarono un tristissimo lamento senza ottenere la restituzione del caro estinto che per legge doveva essere condotto nella camera mortuaria del Camposanto, per essere esaminata dal medico legale di Vulvu dr. Donaru, che aveva sostituito il vecchio dr. Pische, dopo l’assassinio di Maria Giusta Molinas, Anna Maria Brinca e il sicario.
Il mesto corteo proseguì con lamenti inenarrabili finché, giunti al cimitero, il cadavere fu sottratto all’affetto delle donne e alla curiosità degli uomini e deposto su un tavolaccio di legno nella camera mortuaria. Il dr. Donaru, allontanatasi la gente, spogliò il cadavere con l’aiuto del becchino Birrocu, e vide chiaramente le cause di morte dell’archeologo: una profonda stilettata al fianco destro, mentre , seduto, si apprestava ad alzarsi per prendere qualche oggetto in direzione sinistra. L’assassino era seduto davanti al bivacco improvvisato, alla destra del morto che aveva potuto colpire agevolmente senza dargli opportunità di scampo. Gli aveva macciullato il fegato, sferrato un colpo con legna o pietra al lato sinistro della testa, la tempia destra, e una volta persi i sensi, scaldando sul fuoco il marchio dalla protome tuarina, lo aveva steso a pancia in su e colpito con precisione da macellaio, e di nuovo lo aveva stilettato al centro della fronte con il marchio rovente, quindi capovoltolo, lo aveva abbandonato con calma nella domus de janas e con altrettanta glacialità se l’era svignata, probabilmente non visto da nessuno.
Si erano fatte le undici e nel paese man mano si diffusero i risultati della perizia medico-legale, la gente restò inorridita, e cominciò a dire che trattavasi sicuramente di una vendetta tra gli stessi archeologi. Li passarono in rassegna ad uno ad uno e siccome più di una donna aveva visto nella mattinata a cui risaliva la morte, passare a s’istradone Andria Galanu, si fece in fretta a gettare i sospetti sul prediletto di Giuanne Ispanu.
In Funtanedda qualcuna parlando sottovoce mormorava: – Coma’, io non ci metto la mano nel fuoco, ma quell’uomo, anarchico com’è, sicuramente in peccato mortale, tentato dal diavolo, non ci ha messo molto ad eliminare Antonio Pedde, confratello di Santa Croce e prediletto dal vicario. L’uomo è troppo azzardato. Certe volete ti fa certe occhiate di desiderio, da indurti quasi a compiere il peccato, anima mia libera, coma’!- Rispondeva l’altra:- Coma’ lo volete sapere che io la penso allo stesso modo. Quello è bello come Lucifero, con quegli occhi azzurri cangianti, ma dallo sguardo peccaminoso coma’, anima mia libera!-
Una scambiava le impressioni con l’altra e in men che non si dica, al rientro da Funtanedda, una comare la contava all’altra, una sorella all’altra e fu come dare il bando da parte di Stocchini che Andria Galanu aveva accoppato Antonio Pedde.
Il sospettato, manco a farlo a posta, alle undici si era recato in caserma dov’era stato convocato, aveva atteso per un’ora e stava quasi per andarsene, quando giunse in caserma il pretore col brigadiere, mentre due militi stavano a custodia del morto.
-Buongiorno dottore e buongiorno brigadiere- fece Andria- rivolto al pretore e al brigadiere.
-Buongiorno sig. Galanu! Ha udito del collega morto?-
-Si, ne sta parlando tutto il paese! Ma altro non saprei dirle.-
-Certo tra voi archeologos sardos le amicizie non abbondano. Non sa dirmi proprio nulla: un indizio, qualche episodio increscioso, qualche nome.-
-Per quanto io ne sappia le nostre antipatie non erano tali da spingere all’omicidio!-
-Brigadiere, disse il pretore, stiliamo il verbale della rimozione del corpo, attenda la perizia del dr. Donaru e mi faccia avere tutto a Vulvu. Io parto perché si fa tardi ed ho altri impegni da sbrigare in sede. Rinvii l’interrogatorio del Galanu ad altro momento, ora c’interessano le formalità di base.-
-Ai suoi ordini, dottore. Sig. Galanu, verrà convocato in altro momento. Buongiorno.-
Andria salutò e raggiunse, a passi svelti, la sua casa,dopo aver attraversato Piatta, sentendosi addosso il sospetto da parte dell’Arma e forse non solo di quella: tiu Micheli aveva smesso di battere sull’incudine, tiu Mudadu di piallare, tiu Pileri di fumare, e Antoni Luisi Corsu l’aveva osservato con quella faccia di massone.
La moglie lo accolse alla porta preoccupata e cominciò a fargli il quarto grado come se le fosse stato infedele.
La sera avanzava e ormai nel paese si mormorava non solo nelle conventicole femminili, ma anche nei botteghini, a bassa voce, in crocchio, in quelle maschili.
Andria con calma rassicurò la moglie dicendole che egli sapeva il fatto suo, che ad un innocente non si poteva fare del male e, in quanto alla gente, come apriva bocca per dare le colpe a qualcuno, allo stesso modo l’apriva per riconoscerne l’innocenza. E per consolare la moglie ricordava il triplice assassionio dell’82 e come, alla fine, la triste verità del pretore lombardo era venuta a galla, grazie alla calma e alla prudenza del maresciallo maggiore Zavattaro, alla saggezza del vicario e alla collaborazione delle giovani santicche del paese. La donna si calmò, ma non rivolse per tutta la sera la parola al marito che, ben sapendo che forse per secondo, dopo l’assassino, aveva fatto visita all’assassinato, ed era stato omertoso, per evitare sospetti, ed ora finiva per suscitarne molti di più che se avesse detto tutto a tutti. Mantenne, tuttavia, la calma. cenò e al suono dell’Ave Maria, accusando un lieve malore, andò a dormire. La moglie lo raggiunse quando lui, in preda ad un incubo, cominciò ad agitarsi nel letto sussurrando un nome che la moglie non riuscì a capire. Tutto ciò non fece che impressionare la donna che si addormentò tardi e sognò il marito tra due carabinieri, mentre lo portavano via di casa.
A Miramonti, mentre scendeva la sera, il chiacchiericcio delle case aveva un solo argomento con domanda: chi ha ucciso Antonio Pidde?-
La risposta prevalente era una sola, ma qualche altra si faceva strada nella testa dei miramontani.
L’Arma, dopo una giornata così faticosa, non voleva sforzare il cervello inutilmente: il morto era morto e non c’era da fare niente. Chi fosse stato avrebbe potuto venire a galla prima o poi oppure come spesso avveniva tutto sarebbe sprofondato nell’oblio e nel mistero come se niente fosse stato. Era inutile rompersi il capo.
Il vicario si macerava perché, dopo anni di calma, il diavolo era ricomparso nel paese e da omicida aveva compiuto il misfatto. Bisognava pregare per il defunto e sia pure nella chiesa del Carmine preparagli un funerale degno di un confratello della Santa Croce, contitolare parrocchiale con San Matteo Apostolo. Prima di mettersi a letto l’anziano vicario recitò un rosario di requiem per il defunto e, andato a letto, dormi sereno.
Nel paese, invece, i diavoli si permisero di comparire nelle strade e nei vicoli e un vento fastidioso si levò avvolto dalla notte e andò a bussare scomposto nelle case e nelle finestrelle.
A Sassu Altu qualcuno che aveva venduto l’anima al diavolo, quasi si rallegrava dell’assassinio che certamente sarebbe rimasto impunito come tanti altri delitti.
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