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Contro un Natale all’insegna del consumismo e materialismo.

Scritto da carlo moretti

Il Direttore del settimanale “OGGI”, Andrea Monti, nella sua rubrica “Lettere al figlio”, ha pubblicato questa settimana la riflessione di un padre orgoglioso del suo figliolo per l’aver scoperto, come che quasi fosse una trasmissione genetica, l’amore per artisti che hanno segnato con i loro versi cantati, la poesia del secolo scorso.

Un ragazzo avvilito, per aver perduto in modo così inutile due oggetti il quale, sia per lui, sia per il padre, erano fonte di una marea di ricordi ed emozioni. Il padre però facendo il punto della situazione, capisce che nonostante tutto, il possesso materiale sulla chitarra ormai perduta, non potranno mai cancellare le riflessioni sulle poesie accompagnate con quello strumento che, anche se caro potrà essere sempre rimpiazzato.

Leggiamo nella lettera come le canzoni di Fabbrizio De Andrè siano così attuali, in un mondo diviso da guerre, religioni e sopratutto poco caritatevole verso il prossimo.

Noi per l’ennesima volta ci stiamo avvicinando al Natale, ma vogliamo che tutti i problemi, specie quelli che non ci riguardano, rimangano fuori dalla nostra sfera familiare, dimenticandoci di popoli che muoiono di fame, popoli devastati dalle guerre e dai soprusi, popoli, e perché no, con la pelle di diverso colore e credo religioso. Non vorrei sembrare ipocrita, ma da alcuni anni il mio Natale non è più troppo felice, posso sorridere far festa, ma la mia impressione è che le persone pensino solo alle cene, pranzi e regali natalizi e dentro di me regna un po la malinconia.

D’altronde anche i media in questo periodo fanno solo il punto sui  consumi, statistiche del prezzo medio del cenone e dei giocattoli da mettere sotto l’albero. Le guerre, i conflitti, persone in preda a carestie e che muoiono di fame non fanno parte del Natale mediatico e del nostro Bambinello.

La chitarra di Fabbrizio.

Caro A……

ti ho sentito giù di corda stasera. Ti hanno rubato, d’un botto, chitarra e introvabile giacca Nike di pelle sdrucita molto alternativa. Capita in una città come Milano. Ma Roma o Bari è lo stesso. Ciò che ti brucia veramente è la chitarra, e questo mi commuove un po. Giusto per la cronaca, figliolo, quella era la mia chitarra.

Una gran chitarra.

Su quei capotasti le tue dita hanno percorso, guidate dalle mie, i primi arpeggi della nostra relazione musicale. Ora hai, e di gran lunga, superato il maestro. Il mio non era talento, il tuo lo è. E l’emulazione, che è normale tra padre e figlio, proprio non c’entra.

Su quella chitarra, ora in mano di uno stolto sconosciuto, ti ho visto riscoprire senza saperlo, di pura intuizione, via web e iPod, i miei miti. I grandi poeti del secondo Novecento italiano ed europeo.

De Andrè, Gaber, Conte, Poi persino Dalla e De Gregori. Tu, rockettaro impenitente a cui avevo insegnato solo i Led Zeppelin ,  mi hai persino suonato l’Avvelenata, acida ballata in cui Guccini, idolo delle sinistre, mandava al diavolo i compagni innamorati delle rivoluzioni impossibili. Dove l’hai scovata, mi domando? Scorre nei geni? Mistero.

Ma sopratutto mi preme De Andrè, probabilmente un gigante, sopratutto uno di noi. Il prossimo 11 gennaio sono dieci anni che se n’è andato. Lì mi hai reso orgoglioso: Bocca di rosa, La guerra di Piero, versi immortali che fotografano con enorme rigore la ferocia della morte e della guerra: “Dentro la bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole”, “Ninetta mia, crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio …”.

Con tutti gli arpeggi originali, me le hai suonate, magari inciampando un pò, tanto per non scordare che De Andrè fu un grande menestrello, e quindi un virtuoso.

Sempre su quella chitarra, abbiamo suonato Il Pescatore, una bizzarra nenia che contiene un’ipotesi sublime. Il pescatore incontra l’assassino, ascolta la sua storia, gli dà il pane e lo nasconde ai gendarmi che inutilmente tentano di interrogarlo: “All’ombra dell’ultimo sole, s’era assopito il pescatore, e aveva un solco lungo il viso come l’ombra di un sorriso”… Chi era il pescatore? Gesù dicono alcuni. Altri il Budda.

Forse, era davvero solo un pescatore.

Come che sia, in un mondo incendiato da conflitti religiosi e odi razziali, l’idea della carità assoluta, dell’ascolto e della tolleranza fa del Pescatore un inno più che una poesia. Una parabola su cui ognuno di noi al di là del proprio credo, persino un assassino di Al Qaeda (a proposito tu gli daresti il pane?), potrebbe trovarsi d’accordo.

Si avvicina il Natale, e non è solo una festa per i cattolici credenti, ma un occasione per tutti: occuparsi di ciò che abbiamo dentro e non di ciò che possediamo fuori. Offrire dimensione e spazio al nostro spirito significa poter dare finalmente un valore realistico agli oggetti, uscire dalla nevrosi dei consumi.

Si vabbè, ma la chitarra?, dirai tu…. Sabato pomeriggio, inshallah, romperemo il salvadanaio e  ci compreremo una chitarra nuova. Più armonica e lucente che pria. Ma la storia insegna che non dovremo affezionarci troppo neppure a questa: gli strumenti musicali vengono e vanno. Le note, i versi e i ricordi rimangono come gemme, saranno nostri per sempre.

In fondo, non ti hanno rubato nulla, caro A. .

Nulla che un sereno Natale non possa restituirti.

Un pensiero lieve dal tuo papà.

Dada

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