Archivio della categoria ‘Archeologia’
Scritto da carlo moretti
Idoli antropomorfi a schema di busto traforato
A questa varietà tipologica appartengono 44 statuine (nn. 81, 124). 43 sono scolpite su pietra: venti in marmo (nn. 81-92, 95-98, 119-120, 122123), ventidue in calcite (nn. 93, 100-118, 121) e una in calcare (n. 94). Una soltanto è plasmata in argilla (n. 124). Provengono: trentotto dalla provincia di Sassari, per l’86,36% (nn. 81-118) e sei, per il 13,36% dalla provincia di Oristano (nn. 119, 124). Il territorio del Comune di Sassari ne vanta ventinove (nn. 81-85, 91-114) ossia il 65,90%, quattro vengono dal Comune di Ossi (nn. 115-118) il 9,09%, tre da Alghero (nn. 86-88) il 6,81%, due da Portotorres (nn. 89-90),il 4,54%, due da Nurachi (nn. 119-120: 4,54%), due da Cabras (nn. 123-124: 4,54%) e una per ciascun comune ne hanno restituito Simaxis e Nuraxinieddu (nn. 121-123: ciascuno il 2,27%). Si rileva la forte concentrazione del luogo sacro di Monte
Fig.66. Sassari, necropoli ipogeica di Monte d'Accodi:Tomba II. Statuina femminile a placca traforata in marmo (scheda 98).
d’Accoddi: tredici statuine, cioè il 29,54%, tra “altare” (sette: nn. 104-110) e prossima tomba II (sei: nn. 98-103). Trentun idoli (nn. 70, 45%) sono stati rinvenuto in ipogei funerari, tutti nel Sassarese (nn. 81-103, 111-118). Sei (13,63%) vengono da raccolte superficiali in insediamenti neolitici dell’Oristanese (nn. 119-124) e sette sono stati messi in luce presso lo ziggurath di Monte d’Accoddi175.
I dati ambientali e statistici delle figurine a schema di busto traforato, meglio se spiegati a confronto con le situazioni degli idoli a schema di busto compatto, inducono alla constatazione di un momento culturale in mutamento, se non proprio mutato, e più recente nel tempo. Dico ciò non nascondendo che i dati sono incompleti e provvisori, tanto da poter rendere inefficace lo sforzo di trovare la chiave di lettura di una scrittura segreta difficilmente decifrabile. Dal confronto dei dati risultano evidenti le diversità tra le due tipologie figurative in fatto di estetica e di tecnica nonché di creatività, il che va di pari passo con le differenze di distribuzione e di allogamento delle statuine.
Mentre gli idoli a busto compatto toccano luoghi di tutte quattro le province sarde sino nel profondo interno, quelle a busto traforato si contraggono fortemente nello spazio geografico isolano, riducendosi a siti soltanto delle Provincie di Sassari e Oristano e di aree delle stesse contenute circa tra duecento e mille chilometri quadrati. Quanto alla localizzazione, se la prima categoria di idoletti trova posto in caverne naturali, ipogei, luoghi sacri e soprattutto villaggi (54,9%), col minimo numero degli ipogei (15,61%), la seconda categoria privilegia gli ipogei (70,45%), ma declassa al 13,63% gli insediamenti abitativi. Per di più va notato che le grotticelle artificiali con statuine a busto traforato sono tutte nel Sassarese e soltanto nella cintura di Oristano dove, al tempo degli idoli a schema di busto compatto operava brillantemente nella fabbrica di figurine di terracotta il centro di Cùccuru Arrìus dal quale non proviene più alcun idolo a busto traforato. Il che fa supporre il venir meno dell’attività del laboratorio, per mancanza di richiesta dei committenti più umili cui si confaceva l’acquisto del corrivo prodotto in argilla.
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Scritto da Gianluigi Marras
Il 12 dicembre 2009 si è tenuto a Martis l’incontro “Anglona Medievale. Villaggi Medievali Abbandonati. Storia Documenti Archeologia”, organizzato dall’unione delle ProLoco dell’Anglona in collaborazione con il Comune di Martis e il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari.
La conferenza è il coronamento della manifestazione “Ajò in Anglona” che si è svolta durante la primavera e l’estate in buona parte dei paesi dell’Anglona, con lo scopo di mettere in evidenza i valori e le ricchezze locali, di tipo culturale, naturale e turistico. Con tale appuntamento, che le ProLoco hanno intenzione di ripetere a scadenza annuale, si vuole allargare questa manifestazione all’ambito scientifico-divulgativo, allungandone inoltre l’arco di tempo coperto.
Per dare un breve inquadramento storico sul tema dei villaggi medievali abbandonati bisogna ricordare che fra il XIV e il XV secolo si verificò in Europa un momento di riassetto demografico ed economico dovuto ad una serie di eventi negativi quali la peste nera del 1348, varie guerre e continue carestie. Tale riorganizzazione portò alla scomparsa di migliaia di insediamenti rurali in tutto il continente, pur con varie differenze fra le diverse aree, e allo spostamento della popolazione superstite nei centri maggiori, in certi casi, oppure all’insediamento sparso in altri. In Sardegna nella prima metà del Trecento inizia la conquista aragonese cui si aggiunse anche la deleteria epidemia del 1348-49 e lo stato di guerra fra gli Aragonesi, il Giudicato di Arborea e i Doria. Tutti questi fattori causarono l’abbandono di circa 800 centri, specialmente nei territori costieri e ad economia agricola.
Tale tematica è stata dapprima affrontata da storici e geografi, con la compilazione degli atlanti redatti da J. Day e da A. Terrosu-Asole, ma dal 1995, data d’inizio degli scavi archeologici a Geridu (Sorso-SS), diretti dal prof. Marco Milanese, si è avuto però un approccio archeologico al problema.
Oltre gli scavi stratigrafici sono molte importanti le ricognizioni, che oltre a fornire informazioni di tipo cronologico e storico, permettono di perimetrare i siti occupati da insediamenti medievali scomparsi, sempre più spesso minacciati da lavori agricoli e di espansione periferica dei centri abitati.
Il convegno, moderato e preparato da Domenico Sanna di Sedini, ha dunque posto all’attenzione dei numerosi intervenuti lo stato della ricerca nei comuni dell’Anglona, regione che negli ultimi 15 anni è stata interessata da un gran numero di studi storici, toponomastici e archeologici sul tema in esame, grazie all’opera di Mauro Maxia, Giancarlo Pes, Giuseppe Meloni, Alessandro Soddu, Enrico Basso e di Marco Milanese e la su equipe di archeologi.
Dopo i saluti del sindaco di Martis, Piero Solinas, che ha voluto ricordare i numerosi convegni svoltisi negli ultimi 10 anni a Martis e la pubblicazione del volume delle Cronache di Archeologia dedicato al suo comune, e dell’assessore provinciale all’Ambiente, Pino Ortu, che ha affrontato il tema della valorizzazione e del turismo, Domenico Sanna (laureando in Archeologia Medievale con una tesi sul villaggio abbandonato di Speluncas in comune di Sedini) ha introdotto la serata sottolineando l’importanza dell’Anglona per la tematica dei villaggi medievali abbandonati e la presenza di studiosi originari della stessa regione.
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Scritto da carlo moretti
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Gli idoli di stile planare
Così individuiamo gli idoli femminili della Dea madre, di forma spianata, appiattita, rigorosamente geometrica nell’insieme e nei particolari, i quali sono rappresentati in immagine antropomorfa. In questi idoli di stile planare la semplificazione è portata al massimo grado, a un astrattismo che trascende il sentimento del rapporto uomo-natura quale abbiamo visto espresso nelle statuine della Dea dalla carnosità accentuata, trasfigurazione artistica-simbolica della terra ubertosa. Gli idoli planari appaiono indifferenti alla realtà, toccano il livello più alto della trasgressione verso diversa (e più avanzata) metafisica, un ordine astratto che è da supporre alla base della cultura e della società dell’epoca nella quale le figurine vennero prodotte, quella del Neolitico recente della cui ricchezza materiale e spirituale dirò più avanti.
Alla dinamica di pensiero dell’epoca corrisponde la variabilità formale delle figurine, fatto salvo il comune e irrinunziabile plafond stilistico. Distinguiamo tre variabili nelle statuine litiche e in terracotta della Dea: 1 = idoli aniconici o criptoantropomorfi (nn. 23, 29-32), 2 = idoli antropomorfi a schema di busto compatto (nn. 33-80, 126-132), 3 = idoli antropomorfi a schema di busto traforato (nn. 81-124).
1. Idoli aniconici o criptoantropomorfi
Gli esemplari più astratti nel genero sono i nn. 29-30, l’intero in marmo, un abbozzo il secondo, nella stessa materia, portato a finimento in forma di “otto”, col restringere nel mezzo l’ovale del pezzo intero accuratamente tagliato e lavorato. I due segmenti di ellissi, divisi dalle intacche del contorno, vorrebbero rappresentare ultraschematicamente la parte superiore ed inferiore del corpo umano. È la stilizzazione della Dea accoccolata[102]. Idoli consimili si conoscono da Troia I-II[103], dalla Macedonia orientale[104], da Poliochni-Lemnos[105]e dalle Cicladi[106]. La presenza dell’abbozzo marmoreo a Monte d’Accoddi prova che anche la statuina completa n. 29 è stata scolpita in loco.
L’idoletto in basalto n. 31 da Cùccuru Arrìus, a cifra di placchetta ovale (il corpo) con appendice conica (la testa), trova stretto riscontro formale e tecnico in prefigure litiche a foggia di disco con lembo appuntito tipo Thermi, da Troia I e Thermo I-II, circa 3200-2800 a.C.[107]. Si può ritenere un’evoluzione in senso antropomorfo dell’idolino basaltico n. 31 quello in steatite n. 23 da Anghelu Ruju. Con il profilo ondulato fa intuire l’articolazione corporea in testa – un appuntimento cilindrico-conico -, busto con leggera sporgenza in convessità delle braccia e arti inferiori siglati in disegno a tre quarti di cerchio. Non molto distanti, come tipo, un idoletto “astratto-schematico” in marmo, anatolico, del Bronzo antico II-III[108]e altri delle Cicladi[109].
La figurina in marmo, schematizzata in forma di “violino”, n. 32 da ipogeo di Anghelu Ruju, costituisce un tipo di passaggio dai predetti idoli “astratti” a quelli antropomorfi a placca di busto compatta. Con la semplice ma elegante linea flessuosa di contorno evidenzia la testa cilindrica col viso rotondo, il tronco (petto-addome) e gli arti inferiori riassunti in disegno di trapezio geometricamente come l’intero corpo. È vicino alla figurina, per taglio e stile, un idoletto in conchiglia da Naxos-Cicladi, prossimo al tipo Apeiranthos di fase Keros-Syros: antico cicladico II, 2700-2400/2306 a.C.[110].
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Scritto da Maria Antonietta Solinas
“AL TEMPO DEI MAMMUT” è il titolo di una bellissima ed interessantissima mostra allestita presso il museo del territorio di SA CORONA ARRÙBIA che si trova nella provincia del Medio Campidano (vicino a Villanovaforru).
Questa mostra, visitabile fino al 10 Giugno 2009, arriva per la prima volta in Italia dopo essere stata presente nei più importanti musei internazionali e si incentra sugli esemplari di mammut rinvenuti in Siberia tra il 1988 e il 1991, unici esemplari al mondo completamente integri. La mostra racconta il mondo e la vita che si svolgeva durante i periodi geologici del Paleozoico, Mesozoico e Cenozoico.
Chi di noi almeno una volta nella vita non ha sentito parlare di era glaciale, mammut, dinosauri e altri animali oramai estinti? E chi di noi non è curioso di sapere che forme, che colori presentava l’ambiente nel quale vivevano? Certo le pellicole cinematografiche (ricordiamo tutti Jurassic Park o il cartone animato “L’era glaciale”) hanno cercato di ricostruire in modo più o meno fantastico questi animali e i loro ambienti, ma chi davvero volesse farsi un’idea di come realmente fosse la vita milioni di anni fa non deve assolutamente perdere l’occasione di visitare la mostra.
Il percorso inizia nel paleozoico (da 4.600 milioni a 245 milioni di anni fa) e subito sembra si essere stati catapultati indietro nel tempo, veniamo così avvolti da immagini e scenografie di grande effetto e ci immedesimiamo in quel grandioso mondo; è questa l’era in cui gli animali escono dall’ambiente marino (dove per tanto tempo avevano vissuto) e, grazie all’ossigeno prodotto dalle alghe l’atmosfera se ne arricchisce, quindi gli animali sviluppano oltre alle branchie, i polmoni, necessari a respirare sulla terra ferma.
Gli animali si evolvono quindi da anfibi a rettili ed al posto delle pinne sviluppano le zampe e quant’altro utile a sopravvivere. In questa sala sono esposti tanti reperti custoditi in teche trasparenti ed inoltre lo scheletro del rettile più antico della mostra. Il viaggio continua nell’era mesozoica (da 245 a 65 milioni di anni fa) quando la Pangea frantumandosi dà origine agli attuali continenti. Qui si entra nel vero e proprio mondo incantato dei dinosauri, gli animali più grandi mai apparsi sulla terra .Guardandosi attorno si assapora un’atmosfera magica e allo stesso tempo inquietante, ci si trova davanti ad autentici scheletri di dinosauri carnivori ed erbivori di dimensioni notevoli, come il gigantesco esemplare, alto ben 4,5 metri e lungo 6,5 metri, di TARBOSAURUS BAATAR, il cugino asiatico del famoso Thyrannoraurus rex (protagonista di Jurassic Park) che sembra quasi che cammini verso di te.
Il viaggio nel mondo antico ci porta quindi a visitare il vero cuore della mostra, l’era Cenozoica (circa 65 milioni di anni fa). Qui cambia tutta l’ambientazione, ci ritroviamo infatti circondati dai ghiacci e finalmente incontriamo i veri protagonisti della mostra: i Mammut. Ed ecco 8 splendidi esemplari di scheletri completamente integri di mammut di età diverse rinvenuti in Siberia; questa è l’unica località al mondo che ha restituito un gruppo di mammut seppellito simultaneamente a causa di un disastro naturale. I mammut risalgono a 14.000 anni fa e sono la testimonianza degli ultimi esemplari di Mammuthus primigenius; nella mostra è presente anche il famoso baby mammut Dima, rinvenuto sempre in siberia nel 1977 e conservatosi integro per 40.000 anni. Vivere circondati dal ghiaccio non doveva essere facile, i mammut si difendevano dalle rigide temperature grazie al folto e lungo pelo e le zanne servivano per difendersi dagli altri animali ed anche per rompere il ghiaccio. Il nostro viaggio sta lentamente giungendo alla fine, ma non prima di aver “visitato” anche gli esemplari di mammut sardi; inutile dire che questa è una specie nana, la loro altezza si aggirava intorno a 1,40 metri. Purtroppo non esistono esemplari integri ,tra i reperti presenti molto interessante è un molare di circa 140.000 anni rinvenuto a San Giovanni Sinis (Oristano).Ed eccoci qua, il nostro viaggio nelle ere geologiche è giunto al termine, siamo entrati quasi in punta di piedi in mondo tanto affascinante e tanto lontano dai giorni nostri, abbiamo conosciuto le specie estinte di piante e animali, abbiamo udito i suoni del loro ambiente e abbiamo condiviso con loro un percorso sicuramente interessante ed istruttivo.
Ora finalmente abbiamo le risposte alle domande che ci siamo posti per tanto tempo, ed anche noi ora siamo un po’ più esperti di mammut e dinosauri, ma finalmente li abbiamo visti nella realtà. Questo è un viaggio che dovrebbero fare tutti, grandi e piccoli, perché la voglia di imparare e conoscere le realtà di mondi lontani deve sempre alimentare il fuoco del nostro sapere, quindi auguro buon viaggio a tutti.
Scritto da ztaramonte
Idoli di stile geometrico e volumetrico
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Le ventisette statuine descritte nelle schede nn. 2-28 attengono ad un diffuso stereotipo esteticamente completo e realizzato in stile geometrico-volumetrico.
Diciassette sono scolpite su pietra: quattro in tufo (nn. 2, 7, 9-11,13), tre in marmo (nn. 4, 5, 14), le restanti sei in alabastro (n. 16), marmo (n. 24), caolinite (n. 8), arenaria (n. 15), granito (n. 22), gesso (n. 3) e steatite (n. 23). Cinque sono plasmate in argilla (nn. 12, 18-21) e cinque ritagliate in osso (nn. 17, 25-28).
Provengono, nove dalla provincia di Sassari: 1 da Olbia, località Santa Mariedda (n. 2), 1 da Muros-Su Monte (n. 3), 1 da Sassari-Monte d’Accoddi (n. 21), 2 da Alghero-Anghelu Ruju (nn. 23-24), 1 da Pérfugas-Sos Badulesos (n. 14) una da Torralba (12) e 1 da Ozieri (17) . La provincia di Nuoro ne ha restituito tre in località Polu-Meanasardo (nn. 4-5, 18) e quella di Oristano nove: 1 da Narbolia-Su Anzu (n. 6), 1 da Santa Giusta (n. 11), e 7 da Cabras, di cui 1 in località Conca Illonis (n. 20) e 6 in località Cuccuru Arrìus (nn. 7-10, 15, 19). Infine, nella provincia di Cagliari, una in ciascuna località, di Samassi-Sa Màndara (n. 22), Decimoputzu-Su Cungiau de Marcu (n. 16), di Villamassargia-Su Concali de Coròngiu Acca (n. 13) e le quattro di Santadi, località Monte Meana (nn. 25-27) e Tatinu (28).
Da luoghi sul mare o prossimi al mare derivano le figurine nn. 2-3, 6-11, 15, 19-21, 23-24 (quattordici in tutto). Nelle zone interne, più o meno distanti dalla costa, si sono avute le restanti tredici (nn. 12-14, 16-18, 22, 25-28), quelle di Meana-Su Polu (nn. 4-5, 18) nella remota regione montana. Aree di maggiore concentrazione, nel conosciuto, appaiono il Sassarese-Algherese (nn. 3, 21, 23-24), l’Oristanese (nn. 6-11, 15, 19¬20), il Sulcis-Iglesiente (nn. 13, 16, 25-28).
Nelle statuine è rappresentato un archetipo di divinità femminile, di forme “opulente”, ma non erotiche come nella Veneretta di Macomér, nelle quali l’attrazione sessuale è quasi rimossa per far luogo a una “carnalità” pura, astratta, risolta per masse e volumi plastici, rotondi ed elastici. Si coglie una sorta di concezione “circolare” del corpo femminile, aperta a pluralità di atteggiamenti e di movimenti delle membra, realizzati ingenuamente, senza però tradire il canone formale l’idea estetica di fondo indirizzata a rappresentare e a promuovere magicamente, attraverso la sacralità del turgore delle forme dell’idolo, l’abbondanza della natura e del mondo, una mitica età dell’oro all’alba della storia umana.
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Scritto da ztaramonte
La “Venere” di Macomer
La statuetta di Macomér esprime, a livello locale, la Dea Madre, che stimola differenti esperienze creative, durante il Neolitico antico, nelle aree elladica, balcanica ed europea centro-orientale, nonché nel Mediterraneo e nel vicino Oriente. Costituisce problema l’individuazione del centro genetico che taluno ha supposto nell’Oriente egizio-elamo-mesopotamico[1]. È certo soltanto che, pur riproducendo la sostanza ideale dell’archetipo “feminino” come prescritto dalla religione del tempo, il tutto è risolto con grande molteplicità di interpretazioni specifiche a seconda dei luoghi, delle personalità artistiche,dei modi tecnici di ciascuna bottega artigiana. Non esistette una grammatica estetica comune.
Tale diversificazione appare anche nell’area sarda e la “Venere” di Macomér ne costituisce significativo esempio.
Peculiarità è quella del “non finito”, ciò che distingue la figurina di S’Adde da quella “cura del finito” distintiva della ricca serie di belle statuine presenti soprattutto nell’area tessalica nel periodo Sesklo[2]. Altra singolarità è costituita dalla persistenza di stilismi “paleolitici”, di “evocazioni ancestrali” nell’idolo di Macomér.Ciò si rileva non tanto dal travestimento “animalesco”della testa con autonegazione del viso “umano”,impianto di una animalità perduta, la “primaverità” nella libera comunicazione dell’essere e del monte interno che è dell’animale, mascheramento visibile nelle statuine più o meno coeve romene, morave e macedoni[3]. Invero, non si può rimuovere il richiamo, per la struttura delle regioni pelvica e ventrale, a quella affusolata e appuntita alle due estremità delle statuine muliebri di stile paleolitico, pur mancando la “voluminosità” di queste. Si tratta di arcaismi stilistici e concettuali delle “Veneri” paleolitiche che si riaffacciano nel Neolitico antico sardo come in quello continentale italiano. Non pare casuale, al riguardo, il particolare dell’idolo di Macomér della mancanza di rappresentazione degli arti inferiori, come nella statuina su ciottolo di arenaria da Chiozza-Scandiano, anch’essa con gambe a punta e glutei sviluppati, riferibile forse al V millennio a.C.[4].
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Scritto da ztaramonte
Mauro Maxia (Perfugas, 1953).
Studioso di linguistica e onomastica, è professore a contratto di Lingua Sarda nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Collabora con la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Cagliari come docente di onomastica nei master di II livello. Autore di volumi e saggi sul sardo e sulle varietà sardo-corse, nei suoi studi privilegia l’aspetto storico con riguardo alla fonetica, dialettologia ed etimologia. Coordina un progetto triennale finanziato dalla Regione Sardegna relativo a un’indagine sull’uso delle lingue locali e all’insegnamento del sardo e del gallurese nelle scuole di alcuni comuni del Nord Sardegna. Ha ideato e organizza il concorso letterario per alunni “Iscola Sarda”. Collabora con riviste nazionali ed estere.
Chiaramonti, il sito e il nome[1]
di Mauro Maxia
L’abitato di Chiaramonti[2] occupa un elevato terrazzo calcareo che domina tutta la valle interna dell’Anglona. Ai margini dell’altura emergono tracce di insediamenti che risalgono al Neolitico e all’età nuragica. Sepolture ipogee sono conosciute sia sul versante settentrionale sia su quello meridionale[3]. Un nuraghe, vicino ai resti dell’antica chiesa di S. Caterina, occupa il ciglio della scarpata che precipita verso la fonte detta Su Tùlchis[4]. La strada che dalla distesa di Paùles risale verso il pianoro di S. Caterina e S. Giuliano presenta dei caratteri che consentono di assegnarne la realizzazione all’età romana[5].
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