Archivio della categoria ‘Arte e religioni della Sardegna Prenuragica’
Scritto da carlo moretti
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Altri idoletti
1. Statuina di stile subnaturalistico dall’ipogeo n. 12 del gruppo di Corea o Cannas di sotto – Carbonia (n. 125)
Fig. 88. Carbonia, necropoli ipogeica di Cannas di Sotto: Tomba XII. Statuina femminile in argilla (scheda 125).
L’idoletto si stacca nettamente dalle precedenti figurine di stile planare per il rendimento plastico e il movimento flessuoso del corpo rappresentato in forma quasi naturalistica, tranne che nella testa stilizzata a prominenza cilindrica priva di qualsiasi riferimento fisionomico nel volto. Nel leggero ripiegamento al ginocchio della tozza gamba sinistra (l’unica conservata col piede a disco) se non la posizione seduta si coglie quella genuflessa dell’idolo. La femminilità è indicata dalle mammelle coniche e ostentata dall’ampio rilievo del “monte di Venere” con la fessura vistosa della vulva, particolare di assoluta divaricazione dagli idoletti planari nei quali l’organo sessuale femminile non è mai rappresentato. La vulva rigonfia, quasi in fase di preparto, segue un modo di stilizzazione già presente in statuette del paleolitico superiore e in taluni idoli del neolitico e dell’età del rame[249].
È ripetuto nella figurina di Corea, il particolare, caratteristico in idoletti nei quali si evidenzia il triangolo pubico, dell’assenza di dettagli del viso[250].
Quanto al rapporto con statuine di aree esterne alla Sardegna, appare stringente quello con rappresentazioni di Dea madre, seduta, di Cipro. A mo’ di esempio, vale il confronto con la statuetta in calcare da Lemba-Paphos nel Museo di Cipro, del calcolitico I cipriota: 3900-2600 a.C.[251]. Sono simili la forma cilindrica della testa fusa con il corto e tozzo collo, il profilo “a violino” del corpo, ottenuto con l’ampia inflessione tra il busto e l’addome di schema ovale, l’atrofia degli arti inferiori. Nell’idolo cipriota non è figurata la vulva, però una prominenza sferica nella zona dell’addome indica la gravidanza della Dea.
La statuina di Corea faceva parte di un corredo funerario con oggetti litici e di abbigliamento personale (vaghi di collana in conchiglia e osso, e, in osso, anche uno spillone da crine) e di piccoli vasi in terracotta, lisci e ornati, di tipologia Abealzu-Filigosa. Vorrei dunque riferire la statuina a questa cultura, verso la metà del III millennio a.C., o poco dopo.
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Scritto da carlo moretti
Idoli antropomorfi a schema di busto traforato
A questa varietà tipologica appartengono 44 statuine (nn. 81, 124). 43 sono scolpite su pietra: venti in marmo (nn. 81-92, 95-98, 119-120, 122123), ventidue in calcite (nn. 93, 100-118, 121) e una in calcare (n. 94). Una soltanto è plasmata in argilla (n. 124). Provengono: trentotto dalla provincia di Sassari, per l’86,36% (nn. 81-118) e sei, per il 13,36% dalla provincia di Oristano (nn. 119, 124). Il territorio del Comune di Sassari ne vanta ventinove (nn. 81-85, 91-114) ossia il 65,90%, quattro vengono dal Comune di Ossi (nn. 115-118) il 9,09%, tre da Alghero (nn. 86-88) il 6,81%, due da Portotorres (nn. 89-90),il 4,54%, due da Nurachi (nn. 119-120: 4,54%), due da Cabras (nn. 123-124: 4,54%) e una per ciascun comune ne hanno restituito Simaxis e Nuraxinieddu (nn. 121-123: ciascuno il 2,27%). Si rileva la forte concentrazione del luogo sacro di Monte
Fig.66. Sassari, necropoli ipogeica di Monte d'Accodi:Tomba II. Statuina femminile a placca traforata in marmo (scheda 98).
d’Accoddi: tredici statuine, cioè il 29,54%, tra “altare” (sette: nn. 104-110) e prossima tomba II (sei: nn. 98-103). Trentun idoli (nn. 70, 45%) sono stati rinvenuto in ipogei funerari, tutti nel Sassarese (nn. 81-103, 111-118). Sei (13,63%) vengono da raccolte superficiali in insediamenti neolitici dell’Oristanese (nn. 119-124) e sette sono stati messi in luce presso lo ziggurath di Monte d’Accoddi175.
I dati ambientali e statistici delle figurine a schema di busto traforato, meglio se spiegati a confronto con le situazioni degli idoli a schema di busto compatto, inducono alla constatazione di un momento culturale in mutamento, se non proprio mutato, e più recente nel tempo. Dico ciò non nascondendo che i dati sono incompleti e provvisori, tanto da poter rendere inefficace lo sforzo di trovare la chiave di lettura di una scrittura segreta difficilmente decifrabile. Dal confronto dei dati risultano evidenti le diversità tra le due tipologie figurative in fatto di estetica e di tecnica nonché di creatività, il che va di pari passo con le differenze di distribuzione e di allogamento delle statuine.
Mentre gli idoli a busto compatto toccano luoghi di tutte quattro le province sarde sino nel profondo interno, quelle a busto traforato si contraggono fortemente nello spazio geografico isolano, riducendosi a siti soltanto delle Provincie di Sassari e Oristano e di aree delle stesse contenute circa tra duecento e mille chilometri quadrati. Quanto alla localizzazione, se la prima categoria di idoletti trova posto in caverne naturali, ipogei, luoghi sacri e soprattutto villaggi (54,9%), col minimo numero degli ipogei (15,61%), la seconda categoria privilegia gli ipogei (70,45%), ma declassa al 13,63% gli insediamenti abitativi. Per di più va notato che le grotticelle artificiali con statuine a busto traforato sono tutte nel Sassarese e soltanto nella cintura di Oristano dove, al tempo degli idoli a schema di busto compatto operava brillantemente nella fabbrica di figurine di terracotta il centro di Cùccuru Arrìus dal quale non proviene più alcun idolo a busto traforato. Il che fa supporre il venir meno dell’attività del laboratorio, per mancanza di richiesta dei committenti più umili cui si confaceva l’acquisto del corrivo prodotto in argilla.
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Scritto da carlo moretti
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Gli idoli di stile planare
Così individuiamo gli idoli femminili della Dea madre, di forma spianata, appiattita, rigorosamente geometrica nell’insieme e nei particolari, i quali sono rappresentati in immagine antropomorfa. In questi idoli di stile planare la semplificazione è portata al massimo grado, a un astrattismo che trascende il sentimento del rapporto uomo-natura quale abbiamo visto espresso nelle statuine della Dea dalla carnosità accentuata, trasfigurazione artistica-simbolica della terra ubertosa. Gli idoli planari appaiono indifferenti alla realtà, toccano il livello più alto della trasgressione verso diversa (e più avanzata) metafisica, un ordine astratto che è da supporre alla base della cultura e della società dell’epoca nella quale le figurine vennero prodotte, quella del Neolitico recente della cui ricchezza materiale e spirituale dirò più avanti.
Alla dinamica di pensiero dell’epoca corrisponde la variabilità formale delle figurine, fatto salvo il comune e irrinunziabile plafond stilistico. Distinguiamo tre variabili nelle statuine litiche e in terracotta della Dea: 1 = idoli aniconici o criptoantropomorfi (nn. 23, 29-32), 2 = idoli antropomorfi a schema di busto compatto (nn. 33-80, 126-132), 3 = idoli antropomorfi a schema di busto traforato (nn. 81-124).
1. Idoli aniconici o criptoantropomorfi
Gli esemplari più astratti nel genero sono i nn. 29-30, l’intero in marmo, un abbozzo il secondo, nella stessa materia, portato a finimento in forma di “otto”, col restringere nel mezzo l’ovale del pezzo intero accuratamente tagliato e lavorato. I due segmenti di ellissi, divisi dalle intacche del contorno, vorrebbero rappresentare ultraschematicamente la parte superiore ed inferiore del corpo umano. È la stilizzazione della Dea accoccolata[102]. Idoli consimili si conoscono da Troia I-II[103], dalla Macedonia orientale[104], da Poliochni-Lemnos[105]e dalle Cicladi[106]. La presenza dell’abbozzo marmoreo a Monte d’Accoddi prova che anche la statuina completa n. 29 è stata scolpita in loco.
L’idoletto in basalto n. 31 da Cùccuru Arrìus, a cifra di placchetta ovale (il corpo) con appendice conica (la testa), trova stretto riscontro formale e tecnico in prefigure litiche a foggia di disco con lembo appuntito tipo Thermi, da Troia I e Thermo I-II, circa 3200-2800 a.C.[107]. Si può ritenere un’evoluzione in senso antropomorfo dell’idolino basaltico n. 31 quello in steatite n. 23 da Anghelu Ruju. Con il profilo ondulato fa intuire l’articolazione corporea in testa – un appuntimento cilindrico-conico -, busto con leggera sporgenza in convessità delle braccia e arti inferiori siglati in disegno a tre quarti di cerchio. Non molto distanti, come tipo, un idoletto “astratto-schematico” in marmo, anatolico, del Bronzo antico II-III[108]e altri delle Cicladi[109].
La figurina in marmo, schematizzata in forma di “violino”, n. 32 da ipogeo di Anghelu Ruju, costituisce un tipo di passaggio dai predetti idoli “astratti” a quelli antropomorfi a placca di busto compatta. Con la semplice ma elegante linea flessuosa di contorno evidenzia la testa cilindrica col viso rotondo, il tronco (petto-addome) e gli arti inferiori riassunti in disegno di trapezio geometricamente come l’intero corpo. È vicino alla figurina, per taglio e stile, un idoletto in conchiglia da Naxos-Cicladi, prossimo al tipo Apeiranthos di fase Keros-Syros: antico cicladico II, 2700-2400/2306 a.C.[110].
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Scritto da ztaramonte
Idoli di stile geometrico e volumetrico
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Le ventisette statuine descritte nelle schede nn. 2-28 attengono ad un diffuso stereotipo esteticamente completo e realizzato in stile geometrico-volumetrico.
Diciassette sono scolpite su pietra: quattro in tufo (nn. 2, 7, 9-11,13), tre in marmo (nn. 4, 5, 14), le restanti sei in alabastro (n. 16), marmo (n. 24), caolinite (n. 8), arenaria (n. 15), granito (n. 22), gesso (n. 3) e steatite (n. 23). Cinque sono plasmate in argilla (nn. 12, 18-21) e cinque ritagliate in osso (nn. 17, 25-28).
Provengono, nove dalla provincia di Sassari: 1 da Olbia, località Santa Mariedda (n. 2), 1 da Muros-Su Monte (n. 3), 1 da Sassari-Monte d’Accoddi (n. 21), 2 da Alghero-Anghelu Ruju (nn. 23-24), 1 da Pérfugas-Sos Badulesos (n. 14) una da Torralba (12) e 1 da Ozieri (17) . La provincia di Nuoro ne ha restituito tre in località Polu-Meanasardo (nn. 4-5, 18) e quella di Oristano nove: 1 da Narbolia-Su Anzu (n. 6), 1 da Santa Giusta (n. 11), e 7 da Cabras, di cui 1 in località Conca Illonis (n. 20) e 6 in località Cuccuru Arrìus (nn. 7-10, 15, 19). Infine, nella provincia di Cagliari, una in ciascuna località, di Samassi-Sa Màndara (n. 22), Decimoputzu-Su Cungiau de Marcu (n. 16), di Villamassargia-Su Concali de Coròngiu Acca (n. 13) e le quattro di Santadi, località Monte Meana (nn. 25-27) e Tatinu (28).
Da luoghi sul mare o prossimi al mare derivano le figurine nn. 2-3, 6-11, 15, 19-21, 23-24 (quattordici in tutto). Nelle zone interne, più o meno distanti dalla costa, si sono avute le restanti tredici (nn. 12-14, 16-18, 22, 25-28), quelle di Meana-Su Polu (nn. 4-5, 18) nella remota regione montana. Aree di maggiore concentrazione, nel conosciuto, appaiono il Sassarese-Algherese (nn. 3, 21, 23-24), l’Oristanese (nn. 6-11, 15, 19¬20), il Sulcis-Iglesiente (nn. 13, 16, 25-28).
Nelle statuine è rappresentato un archetipo di divinità femminile, di forme “opulente”, ma non erotiche come nella Veneretta di Macomér, nelle quali l’attrazione sessuale è quasi rimossa per far luogo a una “carnalità” pura, astratta, risolta per masse e volumi plastici, rotondi ed elastici. Si coglie una sorta di concezione “circolare” del corpo femminile, aperta a pluralità di atteggiamenti e di movimenti delle membra, realizzati ingenuamente, senza però tradire il canone formale l’idea estetica di fondo indirizzata a rappresentare e a promuovere magicamente, attraverso la sacralità del turgore delle forme dell’idolo, l’abbondanza della natura e del mondo, una mitica età dell’oro all’alba della storia umana.
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Scritto da ztaramonte
La “Venere” di Macomer
La statuetta di Macomér esprime, a livello locale, la Dea Madre, che stimola differenti esperienze creative, durante il Neolitico antico, nelle aree elladica, balcanica ed europea centro-orientale, nonché nel Mediterraneo e nel vicino Oriente. Costituisce problema l’individuazione del centro genetico che taluno ha supposto nell’Oriente egizio-elamo-mesopotamico[1]. È certo soltanto che, pur riproducendo la sostanza ideale dell’archetipo “feminino” come prescritto dalla religione del tempo, il tutto è risolto con grande molteplicità di interpretazioni specifiche a seconda dei luoghi, delle personalità artistiche,dei modi tecnici di ciascuna bottega artigiana. Non esistette una grammatica estetica comune.
Tale diversificazione appare anche nell’area sarda e la “Venere” di Macomér ne costituisce significativo esempio.
Peculiarità è quella del “non finito”, ciò che distingue la figurina di S’Adde da quella “cura del finito” distintiva della ricca serie di belle statuine presenti soprattutto nell’area tessalica nel periodo Sesklo[2]. Altra singolarità è costituita dalla persistenza di stilismi “paleolitici”, di “evocazioni ancestrali” nell’idolo di Macomér.Ciò si rileva non tanto dal travestimento “animalesco”della testa con autonegazione del viso “umano”,impianto di una animalità perduta, la “primaverità” nella libera comunicazione dell’essere e del monte interno che è dell’animale, mascheramento visibile nelle statuine più o meno coeve romene, morave e macedoni[3]. Invero, non si può rimuovere il richiamo, per la struttura delle regioni pelvica e ventrale, a quella affusolata e appuntita alle due estremità delle statuine muliebri di stile paleolitico, pur mancando la “voluminosità” di queste. Si tratta di arcaismi stilistici e concettuali delle “Veneri” paleolitiche che si riaffacciano nel Neolitico antico sardo come in quello continentale italiano. Non pare casuale, al riguardo, il particolare dell’idolo di Macomér della mancanza di rappresentazione degli arti inferiori, come nella statuina su ciottolo di arenaria da Chiozza-Scandiano, anch’essa con gambe a punta e glutei sviluppati, riferibile forse al V millennio a.C.[4].
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