Archivio della categoria ‘Cultura e arte’
Scritto da angelino tedde
Un poeta perfughese riscoperto: Gavino Cossiga (Chiaramonti,1879- Napoli,1957)
Gavino Cossiga (1879-1957)
Tra le numerose manifestazioni culturali che in estate si svolgono in Anglona, c’è da segnalare quella del 28 agosto a Perfugas nel cortile della Chiesa della Madonna degli Angeli, (luogo d’ incontri culturali e dibattiti del centro anglonese), su Gavino Cossiga (Chiaramonti 1879-Napoli 1957) . Dopo l’equivoco in cui siamo incorsi, riportiamo la rettifica di Mauro Maxia:
“La manifestazione del 28, appunto, si tiene per fare luce su questo poeta finora quasi sconosciuto che, dopo essere nato a Chiaramonti verso il 1870 ed essersi subito trasferito a Perfugas, si sposò in quest’ultimo centro nell’ultima decade dell’Ottocento. Agli inizi del Novecento pubblicò una raccolta di poesie, intitolata “Boghes de s’Anima”, di cui pare si trovi soltanto una copia nella Biblioteca Universitaria di Sassari. Ma egli è più noto per avere tradotto in sardo l’opera Villa Gloria di Pascarella, di cui parlerà proprio Sandro Ruju che di recente ha curato la ristampa. Verso il 1915 Gavinu si trasferì a Napoli dove morì negli anni cinquanta. Non so essere più preciso riguardo alle date di nascita e morte, ma proprio di questo parlerà la pronipote del poeta, Anna Cuomo, che viene da Napoli per intervenire alla manifestazione in onore del bisnonno. La mia relazione avrà un contenuto soprattutto letterario e sarà accompagnata da qualche immagine relativa ad alcuni documenti che sto via via trovando”.
Cesare Pascarella
Queste le cadenze della serata
19,30: Saluti di Germano Marras, assessore comunale alla cultura.
19,40: Sandro Ruju: L’ambiente sociale ai tempi di Gavino Cossiga”.
20,10: Mauro Maxia, “Gavino Cossiga, un poeta ritrovato”.
20,30: Anna Cuomo (pronipote del poeta, Napoli): “Testimonianze di una vita”.
20,45: Rita Sechi: Lettura di poesie del poeta.
Ci scusiamo ancora con i blog amici che abbiamo involontariamente fatto incorrere in errore e con i visitatori. In fondo tutto quest’equivoco servirà di certo a ravvivare la serata, ma soprattutto a scoprire che Chiaramonti ha dato i natali ad altro Gavino Cossiga oltre al poeta meglio noto Bainzu e che Perfugas ha dato moglie e figli a questo ignoto poeta che se ha tradotto Pascarella vuol dire che non gli mancavano i bollenti spiriti “claramontani” e perfughesi e che il cielo di Napoli gli ha ispirato.
Na predica de mamma
L’amichi? Te spalancheno le braccia / fin che nun hai bisogno e fin che ci hai; / ma si, Dio scampi, te ritrovi in guai, / tu sei giovene ancora, e ‘sta vitaccia / nu’ la conoschi; ma quanno sarai / più granne, allora te n’accorgerai / si a ‘sto monno c’è fonno o c’è mollaccia. / No, fio mio bello, no, nun so’ scemenze / quer che te dice mamma, ‘sti pensieri / tiètteli scritti qui, che so’ sentenze; /che ar monno, a ‘sta Fajola d’assassini, / lo voi sapé chi so’ l’amichi veri ? / Lo voi sapé chi so’? So li quatrini. //
Scritto da angelino tedde
Premessa:
Per dare l’opportunità ai lettori di riprendere il filo del discorso inseriamo la conclusione del pezzo pubblicato il 31 maggio 2011 e proseguiamo finalmente con l’ultima parte di questo interminabile inventario che, data la memoria ad alternanza della sorella, rischiava di non finire mai e, a quanto si dice nella conclusione, non sappiamo di quante altre cose si sia poi ricordata l’usufruttuaria dei beni del vicecurato che certo non ha praticato la povertà evangelica del curato Satta, fornito di beni più compatibili con la vocazione sacerdotale.
Inutile parlare della fatica di capire il manoscritto giacente tra i libri del Notaio Satta nell’archivio di Stato di Sassari e degl’innumerevoli lotti presenti nelle stanze della casa del vicecurato, degli atti, e dell’archivio mnemonico debitorio della sorella Francesca. Siamo arrivati, grazie a Dio, alla conclusione anche se, nell’inverno scorso le condizioni di salute sono state precarie al punto che rischiavamo di abbandonare per sempre l’inventario, ritenuto “maledetto” perché con la trascrizione di esso, con nostro grande dolore di cristiano, ma con la verità legata ai documenti, abbiamo messo in luce l’affarismo smodato di questo ecclesiastico che sia pure con incredibile confusione tra compravendite, debiti e cause legali deve aver passato la vita ad accumulare beni, forse, più che a darsi all’apostolato tra i chiaramontesi. Che Iddio, nella sua grande misericordia, lo abbia perdonato e che perdoni anche noi che gli “abbiamo letto la vita” e resa pubblica la sua ricchezza (i suoi debiti e le sue liti) a 178 anni dalla sua morte (1833-2011). Noi non l’abbiamo fatto con l’intento di gettargli fango addosso, come si usa fare oggi dai quotidiani e periodici, da piccoli e grandi blog e dagli altri mass media, ma piuttosto per la passione storica che più invecchiamo e più ci divora.
Vita quotidiana a Chiaramonti:
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Scritto da carlo moretti
Chi cercava una guida dettagliata agli antichi monumenti dell’isola l’ha appena trovata nella collana «La Sardegna. I tesori dell’archeologia» che «La Nuova» sta finendo di pubblicare in questi giorni. Nei dieci volumi che le danno corpo sono descritti infatti non solo i «pezzi» più noti di questa grande collezione a cielo aperto, ma anche altri meno celebrati, o messi in luce di recente.
Come le domus de janas di Su Murrone. Sono in territorio di Chiaramonti, ma per vederle non è necessario arrivare al paese. Al chilometro 19 della Sassari-Tempio si apre la deviazione per Su Bullone. Si percorre un chilometro e mezzo di una stradella sino a quando, in una leggera discesa, si divide in due per poi ricongiungersi a fondo valle: nell’area al centro si trova la necropoli, che è stata scavata alla fine degli anni Novanta. In origine c’era un banco di trachite in leggero pendio, cosa che gli scalpellini hanno dovuto scavare dei corridoi per poter disporre di una parete frontale nella quale aprire l’ingresso, e procedere poi allo scavo dei vani interni. L’esame dei reperti ha dimostrato che le sepolture sono state inaugurate nel corso del Neolitico recente, che va dal 3300 al 2500 avanti Cristo, e riutilizzate poi a più riprese, nelle Età del Rame e del Bronzo antico, sino all’epoca romana.
Le tombe messe in luce sono tre, tutte del tipo «centripeto», ossia con una camera principale sulla quale si aprono gli accessi alle sepolture singole. La più grande è quella detta «Tomba I». Si riconosce perchè a fianco del portello d’ingresso è scavata una nicchia, come per custodire una piccola statua. L’entrata è ristretta, ma vale la pena di compiere le manovre necessarie per vedere il soffitto del vano maggiore: riproduce infatti il tetto di un’abitazione dei vivi, con la trave centrale e tutte le travi minori laterali.
Scritto da angelino tedde
L’anima di Chiaramonti l’abbiamo lasciata sulla meticcia torre parrocchiale di San Matteo al Monte, a ricordare la sua nascita, la sua infanzia e la sua adolescenza. La madre, prima di scomparire, l’aveva abbandonata lì, tra i costruttori del castello e lei aveva trascorso la sua adolescenza in mezzo a quel via vai di soldati, carpentieri, ferraioli, carriaggi, sassi piatti, conci rossastri e marroncini di trachite. Di tanto in tanto si presentavano i padroni genovesi dai vestiti sgargianti ad impartire ordini fino al termine della costruzione. Lei si rallegrava e cresceva man mano che i lavori venivano ultimati.
La vista, dalla torre, era superba, il paesaggio incantevole. I boschi si succedevano ai boschi e gli animali selvatici scorrazzavano per tutto il territorio. A sud ovest si snodava in forma ellittica una vasta collina le cui pendici degradanti erano boscosissime, a ovest, dove in lontananza spiccava orgoglioso il castello degli Spinola. Vicino dirimpettaio, quasi tondeggiante, stava un altro colle, separato da un immenso vallone, dal castello dove lei dimorava. Più in là un lungo costone, detto dell’Anglona, e poi altre valli e monti. Ad est nell’azzurro sfumava la cima del Limbara da cui pareva nascere la Gallura che comprendeva solo in parte le proprietà dei signori del castello, i Doria, così aveva sentito dire e così ricordava. Quanto si era divertita a curiosare negli alloggiamenti, nelle armerie, specie nelle stanze delle corazze. Tanti abitatori dei villaggi a valle man mano andavano accostandosi alla Rocca quasi ad averne protezione e a trovarvi attività artigianale o ad arruolarsi per la custodia e la manutenzione delle abitazioni dei castellani. Devotamente aveva visitato la cappella di San Matteo, protettore dei Doria a Genova e qui nel castello, a cui era stato dato il nome dei Claramonte, quasi un omaggio per l’apparentamento tra le due famiglie. Questi ricordi tuttavia la spingevano al pianto e alla nostalgia.
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Scritto da angelino tedde
Tante volte mi sono chiesto se per caso anche i paesi e le città abbiano un’anima, magari di altra natura rispetto a quella degli uomini e delle donne, (un tempo considerate senz’anima, adesso invece pare che esse abbiano un’anima più vasta e più complessa di quella degli uomini che a quanto sembra pare abbiano un’anima bambina). Che, almeno il mio paese, Chiaramonti, abbia un’anima me ne sono accorto fin da bambino, da quando ho cominciato a scorrazzare in via Garibaldi prima, poi in Caminu ‘e Litu, successivamente nelle inerpicate strade de sa Niera, in Codinarasa e, infine, discesa Codinarasa, in Matta ‘e Suelzu, a Prammas, e più in là in Pianu ‘e Cabras. Quest’anima, impalpabile,estesa e luminosa, ma presente, l’avvertivo come una venticello caldo tutte le volte che scendevo a Bidda Noa, nella vigna ereditata da mia bisnonna Filomena Malta e da mio padre e da mio zio, ceduta, la parte nostra, a tiu Chicu Cossiga, imparentato anche lui con la mia trisavola Domenica Cossiga.
L’anima di Chiaramonti ha il profumo del lentisco e del cisto, ma nelle tanche d’asfodelo si avverte anche un non troppo gradevole profumo, veicolato da un venticello che porta dalle valli il pianto degli agnellini e il petulante abbaiare dei cani a cui danno risposta le rane de sos pojos sparsi nel territorio.
Qualche volta l’anima l’avvertivo negli aspri speroni de sas Coas come un vento che mi schiaffeggiava senza misericordia, quando mio padre mi portava con se: mentre lui sarchiava il grano tenero, io mi avventuravo in quei costoni alla ricerca di nidi e l’anima, penso davvero che fosse lei, non finiva di tormentarmi con fendenti freddi e pungenti. Dove l’anima di Chiaramonti si placava era presso il bosco dei frassini, vicino al paese, quando andavo da ragazzo a cogliere i ciclamini. Allora l’anima più antica quasi mi accarezzava, inondandomi di profumi delicati. Quell’antico bosco, relitto dei vasti boschi che coprivano tutto il territorio di Chiaramonti, secondo me, conserva la parte più antica dell’anima del paese che, nella zona abitata, estende la parte moderna, anzi contemporanea. L’anima, infatti e vasta e complessa, mica possiamo immaginarla come una nuvola estesa, tra quelle che a volte coprono l’alta volta di cielo dell’intera Anglona. A me pare che a tratti, quest’anima assuma le pose di una ragazza poco seria, specie, quando si sdraia nella torre del Mulino a Vento e si affaccia sonnacchiosa osservando quei piccoli uomini che si agitano invano nell’intrico viario. Un giorno mi sono accorto che fa anche le boccacce, quando vede due o tre donne spettegolare a sa Niera. S’imbroncia non appena si lascia andare come una gonna variopinta sul campanile e sul tetto di San Matteo. Io credo che si rattristi, a tratti si adiri, a sentir le mega-frottole che contano i chiaramontesi a s’Istradone sia che si accomodino presso i due bar di quell’emiciclo sia che si gettino come sacchi attorno al circolare gradone del fu, un tempo, fronzuto parco delle rimebranze e ora chiassoso e colorito giardino d’infanzia.
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Scritto da carlo moretti
Scritto da angelino tedde
Dopo un lungo periodo d’interruzione, forse preso dalla stanchezza di trascrivere per i visitatori di Tzaramonte un inventario assai sostanzioso di un ecclesiastico che si è dato da fare, facendo anche da procuratore ad una doviziosa Signora di Chiaramonti, e che si suppone seppellito in Monte ‘e Cheja in una delle quattro tombe della prima cappella a destra, entrando nell’aula della chiesa diroccata, riprendo la lettura su cui gli storici della tradizione e gli antropologi culturali e gli stessi storici dell’economia potrebbero trovare tanto da dire e da commentare.
Io, trascinato per amore del mio paese, un po’ fuori del mio settore, che è quello della storia dell’istruzione e delle istituzioni educative, ora non vedo l’ora di concludere per continuare a pubblicare i regesti degli altri atti dell’Ottocento (1827-1866).
E’ indubbio che sia dai beni mobili che dai beni immobili possiamo dedurre l’agiatezza di questo vice vicario che lascia usufruttuaria di tutto la sorella Francesca ed eredi le nipoti figli di un fratello.
Negli articoli precedenti abbiamo rilevato i lotti esistenti nelle altre camere dell’abitazione del vice vicario, ora ci soffermiamo sui lotti esistenti nella cucina comprendenti utensili e provviste, inoltre sulla consistenza del bestiame e sui beni immobili. Per facilitare la lettura abbiamo inserito tra parentesi il numero dei lotti a volte costituiti da un solo oggetto a volte da più oggetti.
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