Archivio della categoria ‘Cultura e arte’
Scritto da carlo moretti
(a su giornalista e poeta Paulu Pillonca)
Cun arma a coddu e cartuccera in chintu
pius no m”idene in Su Sassu, [1] inue
antigamente fit famosu igue
su logu pro bandidos fentomados,
chi de sa Benemerita soldados
lis han bastante su “grillette” astrintu.
Cue Giuanne Fais bandidende
b’hat passizadu longos sessant’annos
cun treghentos bandidos cori mannos
de iras pro S’anglona e pro Caddura.
Tra sa crudelidade fea e dura
istaian disastros semenende.
Cue tra rundas de rios e nassas [2]
movian in sas puntas pius altas
mannos unturzos cun alas ispaltas
pri mortozos de omines barvudos
assoliende in terrinos ervudos, [3]
tra chentu e una isceras de carcassas …
Cussu logu de sambene e timidu,
in tottue connottu pro Su Sassu:
l’hap’ eo attraessadu a passu passu
cando fia ficchidu e fia forte.
Già chi como sa dura malasorte
m’ha a pèssimu puntu reduidu.
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Scritto da carlo moretti
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Gli idoli di stile planare
Così individuiamo gli idoli femminili della Dea madre, di forma spianata, appiattita, rigorosamente geometrica nell’insieme e nei particolari, i quali sono rappresentati in immagine antropomorfa. In questi idoli di stile planare la semplificazione è portata al massimo grado, a un astrattismo che trascende il sentimento del rapporto uomo-natura quale abbiamo visto espresso nelle statuine della Dea dalla carnosità accentuata, trasfigurazione artistica-simbolica della terra ubertosa. Gli idoli planari appaiono indifferenti alla realtà, toccano il livello più alto della trasgressione verso diversa (e più avanzata) metafisica, un ordine astratto che è da supporre alla base della cultura e della società dell’epoca nella quale le figurine vennero prodotte, quella del Neolitico recente della cui ricchezza materiale e spirituale dirò più avanti.
Alla dinamica di pensiero dell’epoca corrisponde la variabilità formale delle figurine, fatto salvo il comune e irrinunziabile plafond stilistico. Distinguiamo tre variabili nelle statuine litiche e in terracotta della Dea: 1 = idoli aniconici o criptoantropomorfi (nn. 23, 29-32), 2 = idoli antropomorfi a schema di busto compatto (nn. 33-80, 126-132), 3 = idoli antropomorfi a schema di busto traforato (nn. 81-124).
1. Idoli aniconici o criptoantropomorfi
Gli esemplari più astratti nel genero sono i nn. 29-30, l’intero in marmo, un abbozzo il secondo, nella stessa materia, portato a finimento in forma di “otto”, col restringere nel mezzo l’ovale del pezzo intero accuratamente tagliato e lavorato. I due segmenti di ellissi, divisi dalle intacche del contorno, vorrebbero rappresentare ultraschematicamente la parte superiore ed inferiore del corpo umano. È la stilizzazione della Dea accoccolata[102]. Idoli consimili si conoscono da Troia I-II[103], dalla Macedonia orientale[104], da Poliochni-Lemnos[105]e dalle Cicladi[106]. La presenza dell’abbozzo marmoreo a Monte d’Accoddi prova che anche la statuina completa n. 29 è stata scolpita in loco.
L’idoletto in basalto n. 31 da Cùccuru Arrìus, a cifra di placchetta ovale (il corpo) con appendice conica (la testa), trova stretto riscontro formale e tecnico in prefigure litiche a foggia di disco con lembo appuntito tipo Thermi, da Troia I e Thermo I-II, circa 3200-2800 a.C.[107]. Si può ritenere un’evoluzione in senso antropomorfo dell’idolino basaltico n. 31 quello in steatite n. 23 da Anghelu Ruju. Con il profilo ondulato fa intuire l’articolazione corporea in testa – un appuntimento cilindrico-conico -, busto con leggera sporgenza in convessità delle braccia e arti inferiori siglati in disegno a tre quarti di cerchio. Non molto distanti, come tipo, un idoletto “astratto-schematico” in marmo, anatolico, del Bronzo antico II-III[108]e altri delle Cicladi[109].
La figurina in marmo, schematizzata in forma di “violino”, n. 32 da ipogeo di Anghelu Ruju, costituisce un tipo di passaggio dai predetti idoli “astratti” a quelli antropomorfi a placca di busto compatta. Con la semplice ma elegante linea flessuosa di contorno evidenzia la testa cilindrica col viso rotondo, il tronco (petto-addome) e gli arti inferiori riassunti in disegno di trapezio geometricamente come l’intero corpo. È vicino alla figurina, per taglio e stile, un idoletto in conchiglia da Naxos-Cicladi, prossimo al tipo Apeiranthos di fase Keros-Syros: antico cicladico II, 2700-2400/2306 a.C.[110].
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Scritto da carlo moretti
Ecco un’altro scorcio della nostra storia poetica chiaramontese, un duello in versi fra prestigiosi poeti come il nostro Juanne Seu, Antonio Piredda e Peppe Sotgiu. Vi auguro buona lettura.
Bortigali 1959 PEPPE SOZU – ANTONI PIREDDA – JUANNE SEU
DUINAS
1. Sozu
. . . . . torradu su tenore
de duina faghimos unu giru
2. Piredda
Su tenore ja paret un’ammiru
chi presentat un’òrganu mazore.
3. Seu
Ma s’est purgadu totu su laore
como che frundiamus su chiliru.
4. Sozu
Tue già paris, Seu, in cust’isetu
ma ancora su trigu no est netu.
5. Piredda
E s’esserat su trigu inetziadu,
mi’, su chiliru non deves frundire.
6. Seu
Si nd’est fina su pópulu istracadu,
in su letu disizat a drommire. Leggi tutto »
Scritto da carlo moretti
La cerimonia della premiazioni, avvenuta per gentile concessione del parroco Don Virgilio Businco nella parrocchia di San Matteo, è stata aperta con il saluto del sindaco Giancarlo Cossu e con la lettera di augurio inviata da Francesco Cossiga, ex Presidente delle Repubblica, senatore a vita e avo del poeta commerato con questo concorso a 200 anni dalla sua nascita. Ricordiamo infatti che Bainzu Cossiga, nacque a Chiaramonti nel 1809 e morì nel 1855 a soli 46 anni.
Francesco Cossiga nella sua lettera, ringrazia il sindaco per aver dedicato il concorso di poesia al suo bisnonno e per l’invito riservatogli, ma purtroppo per motivi di salute legati all’inizio della stagione autunnale deve rinunciare a presenziare alla premiazione.
La poetessa Maria Sale nelle vesti inedite di presentatrice, presenta la giuria, composta in buona parte da numerosi componenti del Premio Ozieri per la letteratura sarda, ringraziando quanti hanno aderito al concorso, al quale la giuria oltre la premiazione dei primi tre, ha riservato e consegnato a tutti una menzione, composta da una pergamena e da un cesto contenente prodotti locali e una “berritta”.
Maria Sale ha anche spiegato che l’idea del concorso, è maturata pian piano dopo la rassegna di poesia svolta l’anno precedente, proprio in occasione della festa di San Matteo, quando con Stefano Demelas hanno intrattenuto la piazza ,leggendo alcune poesie dei principali poeti chiaramontesi, e che Chiaramonti non è solo un paese di poeti, ma anche di “cantadores a chiterra”di elevato prestigio. Quindi il prof. Nicola Tanda, presidente della giuria del Premio Ozieri, ha intrattenuto i presenti con un breve discorso, avente per tema la letteratura italiana dei nostri giorni e l’importanza della poesia e dei concorsi come quello appena concluso.
Per ricordare alcuni versi del poeta cristiano, Marina Manghina e Stefano Demelas, hanno cantato “Su Babbu Nostru”, così come ricordato dai più anziani.
E’ seguita la premiazione, con la consegna delle menzioni e la premiazione delle due sezioni di poesia dedicate alla poesia sarda e alla poesia cantata, quest’ultima, è stato materiale per i cantadores a chiterra, Gianni Denanni e Cesare Dennani, accompagnati alla chitarra da Salvatore Cossu, che alla fine delle premiazioni hanno cantato alcuni versi dei poemi premiati.
Incisivo anche l’intervento a cavallo delle premiazioni delle due sezioni del prof. paolo Pillonca, ringraziando per il graditissimo invito e augurando agli organizzatori di andare avanti migliorando l’evento, non dimenticando di citare altri due grandi poeti chiaramontesi, che sono Juanne Seu e Bainzu Truddaju.
I vincitori del premio “Santu Matteu” sono stati proclamati infine, per la sezione “Poesia sarda”, Ignazio Sanna con la poesia “Mèngu di mari” e per la sezione “Poesia pro su cantigu”, Giovanni Sotgiu con la poesia “Solu a tie”.
I “Cantadores a chiterra” hanno alla fine cantato i versi delle poesie premiate nella sezione “Poesia pro su cantigu”.
Al termine della manifestazione l’assessore alla cultura Marina Manghina, ha rivolto a tutti quanti hanno collaborato, Ufitziu de sa limba sarda, Associazione Pro Loco, Comitadu Santu Mateu, Associazione Sard Rock Café e Fondazione del Banco di Sardegna, un sentito ringraziamento, con l’augurio di continuare con altre edizioni del concorso di poesia “Santu Mateu”.
Scritto da carlo moretti
Scritto da carlo moretti
Riprendiamo la pubblicazione di alcuni versi, trascritti dalle registrazioni eseguite a opera di amatori durante le gare. Purtroppo stavolta è stato possibile recuperare la trascrizione ma non la registrazione, tant’è vero che anche le “batorinas” non sono complete, mi scuso con i lettori appassionati ma mi sembrava giusto riportare lo stesso, un pezzo storico della poesia estemporanea sarda.
Buona lettura.
BATORINAS
1. Sozu
A la cantamos una batorina,
ma, Bortigale, non sias ostile:
a frusciare si frusciat in cuile
ue b’at crabas e robba elveghina.
Como cantamos una batorina.
2. Piredda
Tando cantamos una batorina,
sonende sa poética campana
a chie de frusciare tenet gana
su frusciu che li ‘essat in s’ischina.
Ja chi cherides una batorina.
3. Seu
Como cantamus una batorina,
ca no cheren a fagher sa finale:
pro fagher una gara in Bortigale
est mezu a bogare cotighina.
Como cantamus una batorina.
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Scritto da carlo moretti
È una mattina d’agosto. Sull’ampio cielo, chiuso dalle linee sottili e frastagliate delle montagne, rese turchine dalla lontananza, passano grandi nuvole cenerine, come mandre di nebbia, che svaniscono sui lembi ancora limpidi d’azzurro.
Siamo sul sentiero che mena alla montagna, prima di arrivare ai boschi. Nella notte ha piovuto: il terreno umido, ma senza fango, ha preso dei toni oscuri color tabacco; è attraversato da solchi serpeggianti lasciati dai rigagnoli, e da linee di pietruzze che sembrano di lavagna. Grandi massi di granito, nudi, bruciati dal sole, chiudono il sentiero. Nessun albero ancora: solo grandi macchie di lentischio, e campi di felci dalle foglie dentellate, ingiallite dal sole ardente.
La gente sale lentamente il sentiero, a gruppi, o sparpagliata. V’è di tutto: uomini e donne, signore e paesane dal costume a colori fiammeggianti, con canestri ed involti: e bambini, quanti bambini! Tutti allegri, chiassosi, perché non sono ancora stanchi.
Tutti su, su, a poco a poco, badando di non inciampare, di non lacerarsi le vesti, di non rompersi le scarpette, volgendosi ogni tanto ad ammirare il vasto paesaggio, ripigliando fiato. La brezza fresca, pregna di profumi di boschi umidi, scende dall’alto, viene a scompigliarci i capelli e le vesti.
E si sale, si sale sempre: sotto quel cielo cinereo, nella luce opaca che vi scende, nessuna cosa, nessun colore ha una sfumatura, un luccichio; tutte le gradazioni sono distinte, tutti i profili sono nettamente disegnati: solo una piccola chiesa bianca, alle falde del monte, pare che mandi delle ombre chiare intorno intorno.
Entriamo nel bosco: è un bosco di elci secolari, grandissimi, che ergono al cielo le loro chiome maestose, lussureggianti di verzura, con un sussurro che pare mormori una sfida a tutti gli elementi, dalla procella furiosa dell’inverno al sole di fuoco dell’estate.
Ciò che ci colpisce vivamente all’entrata del bosco è l’inebriante profumo che prima ci veniva leggero con la brezza: è un profumo forte, quasi acre, come di fieno o di polvere bagnata. Certi sbuffi paiono di sigaro, di caffè versato sul fuoco, di vernice umida: certi altri sono invece dolcissimi, come d’incenso e di mirra bruciati.
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