Archivio della categoria ‘Cultura e arte’
Scritto da carlo moretti
Con soli posti in piedi, le sedie erano tutte impegnate, la sala fontana una volta adibita a cinema poi trasformato dai proprietari in sala da ballo, ha ospitato un’idea culturo-musicale degna degli ideali di questo sito e portata avanti dal Gruppo XXL.
Sabato sera, Claudio Lolli e Paolo Capodacqua come degli incantatori, hanno ipnotizzato la platea dei presenti, composta maggiormente da numerosi forestieri, con i versi poetici e con il dolce suono della chitarra.
Cantando testi come “Ho visto anche degli zingari felici” e “Borghesia“, il professore cantautore ha riproposto tematiche sociali degli anni 70 che rimangono inevitabilmente attuali.
Non è mancato neanche un momento di forte emozione quando è stato dedicato un brano a Giuliano Fenelli originario di Chiaramonti, vittima di morte bianca il 21 gennaio scorso a La Spezia. Era un grande fan di Claudio Lolli.
Qualcuno si è lamentato dell’acustica che forse non ha permesso un’ineccepibile concerto, ma luoghi come la sala fontana e la chiesa, unici posti al coperto dove è possibile organizzare eventi di questo tipo a Chiaramonti, concedono un riverbero naturale alle frequenze medio-basse che devono essere necessariamente tagliate. In questo i ragazzi dell’Ass. Sard Rock Café sono stati bravi riuscendo a rendere i suoni più che accettabili e ricevendo i complimenti pubblici dello stesso Lolli.
Questi sono elementi che non devono però scoraggiare il Gruppo XXL, le idee di portare a Chiaramonti musiche e interpreti di ottimo spessore culturale e sociale, sopratutto senza dover spendere cifre esorbitanti che a volte lasciano alcuni anche scontenti, sono ottime, continuate così ragazzi e speriamo che qualcuno si renda conto che a Chiaramonti servono spazi al coperto adatti anche per questo tipo di spettacoli.
Buon lavoro!
Scritto da carlo moretti
In questi giorni antecedenti al concerto acustico che il Gruppo XXL ha organizzato, invitando il cantautore Claudio Lolli e il M° Paolo Capodacqua a riscaldare una serata di questo nostro paese così monotono, sonnacchioso e in letargo tra un carnevale e l’altro, ho avuto modo di osservare quanto risultasse conosciuto a pochi e sconosciuto ai più.
E devo dire che il fumetto seguente, è proprio la reale condizione con la quale il nostro ospite verrà accolto.
Ho raccolto queste immagini disegnate da Enzo De Giorgi, sperando possano essere utili per capire meglio chi è Claudio Lolli e chi lo accompagna, la sua biografia l’avevamo già proposta nel precedente articolo:
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Scritto da angelino tedde
Il senso del sacro e della sua bellezza, da fanciullo, lo colsi nelle processioni del mio paese, che si effettuavano nella Settimana Santa, a Pasqua, alla festa della Vergine Dormiente.
Nella Settimana Santa anche noi, ragazzetti di strada, restii a frequentare la scuola e la chiesa, insieme a coloro che svolgevano con compiacimento il dignitoso ruolo di chierichetti, eravamo fortemente coinvolti: i primi rivestiti decorosamente nelle processioni, noi armati di matraccas precedevamo le processioni del Venerdì Santo preannunciandone l’arrivo nelle strade. Inoltre, dal giorno della velatura viola delle statue dei santi e dal giorno del legamento delle campane, noi diventavamo protagonisti annunciando le ore principali della giornata alla popolazione con lo sbatacchiamento frenetico delle mattracche.
Con i fabbri e i falegnami che tenevano bottega in paese non era difficile farsi predisporre una tavoletta rettangolare di noce o di altro legno duro, della misura di venti per venticinque centimetri, con apposito manico, e con delle maniglie di ferro da una parte e dall’altra. Lo strumento musicale a percussione lo si afferrava per il manico e scuotendolo con una certa maestria si riusciva a produrre un fracasso di notevole risonanza.
Schiere di ragazzini, attraversando le strade del paese e scuotendo all’unisono sas matraccas, attiravamo l’attenzione di tutti i compaesani.
La processione più suggestiva era quella de “S’Incontru” della Vergine Addolorata col Cristo morto in Croce.
La processione della Vergine Addolorata scendeva da Caminu de Cunventu, partendo dalla chiesa e colle del Carmelo, con una lunga teoria di confratelli e di consorelle delle diverse confraternite; quella del Cristo in Croce partiva dalla chiesa parrocchiale con altrettante consorelle e confratelli, rivestiti di camici bianchi con cintura viola.
La Vergine Addolorata s’incontrava con il Cristo morto nei pressi dell’Acquedotto e insieme le due processioni si fondevano per attraversare le vie del paese. Noi precedevamo col fracasso della matracche, mentre la processione dietro di noi avanzava.
Poteva succedere allora di risalire per Carruzzu Longu, e di incontrare tiu Giuseppone, “a bonette in manu”, inginocchiato davanti alla porta di casa sua e subito dopo tiu Cicciu Labbrosu, calzolaio, che smetteva di lavorare, e accanto alla sua porta quella de tiu Cucciullu; di fronte a loro il dirimpettaio calzolaio, tiu Angheleddu Migaleddu, con la cantina, soprannominata sas conzas, dove in genere s’intratteneva a bere qualche bicchierino con gli amici.
La processione proseguiva per Carruzzu de Ballas, dove giaju Pira, con la pipa in mano, accennava ad un inchino devozionale, mentre le sorelle Chica e Sebustiana, attendevano rosariando il passaggio del Cristo e della Vergine. Non mancava talvolta il vociante tiu Tebachéra, tiu Costantinu Porcheddu con tia Paolina Accorrà, tia Mettea Canu con il Grande Invalido di guerra, tiu Antoni Pira. Socchiudeva la porta di casa il miscredente Paulinu, mormorando “roba de prideros”; più religioso invece tiu Dominugu Sale con la moglie e tiu Matteu Villa.
La processione, attraversata Carrela Longa, dove tiu Bottiglia, tutto compunto, cominciava a distribuire inchini ai confratelli. Il corteo svoltava davanti alla casa de tia Pedruzza Birchiddesa e allargandosi percorreva Piatta, dove tiu Micheli Brundu, smetteva di battere sull’incudine e il maresciallo Pirinu, vestito di nuovo, osservava se le consorelle fossero agghindate a dovere. Le tre sorelle Ferralis, piamente chine mormoravano le litanie della Passione.
La processione proseguiva in Carrela de s’Avvocadu, dove tiu Antoninu, con la sua barba da padreterno invece di chiudere bottega, con gli occhi puntati sui processionanti e sul clero sembrava sfidare la devozione di tutti, compatito da tutti.
Tra litanie e invocazioni il corteo percorreva tutta via Cavour dove tiu Giuanne Mureddu socchiudeva il negozietto e le donne Rottigni guardavano dalle finestre, quasi di fronte alle donne dei Grixoni che osservavano dal palazzo dirimpettaio.
Prima che la processione, raggiunta la caserma svoltasse verso la discesa, si manifestava la religiosità dei tia Lughìa Tedde, di tia Ziziglia e de tiu Peppe Tedde.
Raggiunto lo stradone il corteo svoltava ancora a sinistra per raggiungere la chiesa. I ragazzetti delle mattracche però facevano continuamente da battistrada con un fracasso che , a tratti, dava fastidio agli anziani. Quella d’altronde era la loro funzione. Della povera Madonna Addolorata e del Cristo Morto in Croce per tutti gli uomini, che cosa potevano capire se qualcuno in famiglia non si preoccupava di parlarne. Il loro matraccare era un modo di essere in mezzo alla comunità anche se, spesso, dei sentimenti religiosi della comunità poco potevano percepire. Sapevano però che al rientro a casa qualcuno avrebbe detto loro d’essere stato un buon suonatore di matracche e tanto bastava per questi monelli di strada.
Scritto da ztaramonte
Idoli di stile geometrico e volumetrico
(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale)
Le ventisette statuine descritte nelle schede nn. 2-28 attengono ad un diffuso stereotipo esteticamente completo e realizzato in stile geometrico-volumetrico.
Diciassette sono scolpite su pietra: quattro in tufo (nn. 2, 7, 9-11,13), tre in marmo (nn. 4, 5, 14), le restanti sei in alabastro (n. 16), marmo (n. 24), caolinite (n. 8), arenaria (n. 15), granito (n. 22), gesso (n. 3) e steatite (n. 23). Cinque sono plasmate in argilla (nn. 12, 18-21) e cinque ritagliate in osso (nn. 17, 25-28).
Provengono, nove dalla provincia di Sassari: 1 da Olbia, località Santa Mariedda (n. 2), 1 da Muros-Su Monte (n. 3), 1 da Sassari-Monte d’Accoddi (n. 21), 2 da Alghero-Anghelu Ruju (nn. 23-24), 1 da Pérfugas-Sos Badulesos (n. 14) una da Torralba (12) e 1 da Ozieri (17) . La provincia di Nuoro ne ha restituito tre in località Polu-Meanasardo (nn. 4-5, 18) e quella di Oristano nove: 1 da Narbolia-Su Anzu (n. 6), 1 da Santa Giusta (n. 11), e 7 da Cabras, di cui 1 in località Conca Illonis (n. 20) e 6 in località Cuccuru Arrìus (nn. 7-10, 15, 19). Infine, nella provincia di Cagliari, una in ciascuna località, di Samassi-Sa Màndara (n. 22), Decimoputzu-Su Cungiau de Marcu (n. 16), di Villamassargia-Su Concali de Coròngiu Acca (n. 13) e le quattro di Santadi, località Monte Meana (nn. 25-27) e Tatinu (28).
Da luoghi sul mare o prossimi al mare derivano le figurine nn. 2-3, 6-11, 15, 19-21, 23-24 (quattordici in tutto). Nelle zone interne, più o meno distanti dalla costa, si sono avute le restanti tredici (nn. 12-14, 16-18, 22, 25-28), quelle di Meana-Su Polu (nn. 4-5, 18) nella remota regione montana. Aree di maggiore concentrazione, nel conosciuto, appaiono il Sassarese-Algherese (nn. 3, 21, 23-24), l’Oristanese (nn. 6-11, 15, 19¬20), il Sulcis-Iglesiente (nn. 13, 16, 25-28).
Nelle statuine è rappresentato un archetipo di divinità femminile, di forme “opulente”, ma non erotiche come nella Veneretta di Macomér, nelle quali l’attrazione sessuale è quasi rimossa per far luogo a una “carnalità” pura, astratta, risolta per masse e volumi plastici, rotondi ed elastici. Si coglie una sorta di concezione “circolare” del corpo femminile, aperta a pluralità di atteggiamenti e di movimenti delle membra, realizzati ingenuamente, senza però tradire il canone formale l’idea estetica di fondo indirizzata a rappresentare e a promuovere magicamente, attraverso la sacralità del turgore delle forme dell’idolo, l’abbondanza della natura e del mondo, una mitica età dell’oro all’alba della storia umana.
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Scritto da ztaramonte
La “Venere” di Macomer
La statuetta di Macomér esprime, a livello locale, la Dea Madre, che stimola differenti esperienze creative, durante il Neolitico antico, nelle aree elladica, balcanica ed europea centro-orientale, nonché nel Mediterraneo e nel vicino Oriente. Costituisce problema l’individuazione del centro genetico che taluno ha supposto nell’Oriente egizio-elamo-mesopotamico[1]. È certo soltanto che, pur riproducendo la sostanza ideale dell’archetipo “feminino” come prescritto dalla religione del tempo, il tutto è risolto con grande molteplicità di interpretazioni specifiche a seconda dei luoghi, delle personalità artistiche,dei modi tecnici di ciascuna bottega artigiana. Non esistette una grammatica estetica comune.
Tale diversificazione appare anche nell’area sarda e la “Venere” di Macomér ne costituisce significativo esempio.
Peculiarità è quella del “non finito”, ciò che distingue la figurina di S’Adde da quella “cura del finito” distintiva della ricca serie di belle statuine presenti soprattutto nell’area tessalica nel periodo Sesklo[2]. Altra singolarità è costituita dalla persistenza di stilismi “paleolitici”, di “evocazioni ancestrali” nell’idolo di Macomér.Ciò si rileva non tanto dal travestimento “animalesco”della testa con autonegazione del viso “umano”,impianto di una animalità perduta, la “primaverità” nella libera comunicazione dell’essere e del monte interno che è dell’animale, mascheramento visibile nelle statuine più o meno coeve romene, morave e macedoni[3]. Invero, non si può rimuovere il richiamo, per la struttura delle regioni pelvica e ventrale, a quella affusolata e appuntita alle due estremità delle statuine muliebri di stile paleolitico, pur mancando la “voluminosità” di queste. Si tratta di arcaismi stilistici e concettuali delle “Veneri” paleolitiche che si riaffacciano nel Neolitico antico sardo come in quello continentale italiano. Non pare casuale, al riguardo, il particolare dell’idolo di Macomér della mancanza di rappresentazione degli arti inferiori, come nella statuina su ciottolo di arenaria da Chiozza-Scandiano, anch’essa con gambe a punta e glutei sviluppati, riferibile forse al V millennio a.C.[4].
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Scritto da carlo moretti
Il Gruppo XXL organizza nell’ambito della manifestazione NOT(t)E D’AUTORE 2009, un concerto-recital del cantautore Claudio Lolli accompagnato dal Maestro Paolo Capodacqua. Il service audio sarà a cura dell’Associazione Culturale SARD ROCK CAFE’ di Chiaramonti.
L’evento si terrà presso la Sala Fontana di Chiaramonti Sabato 4 aprile alle ore 21:30 con ingresso a libera offerta con il quale il Gruppo XXL conta di coprire le spese.
Una buona iniziativa per smuovere il letargo e la monotonia invernale chiaramontese, quindi non mancate e partecipate numerosi!
Di seguito vi invito a leggere le brevi note biografiche e recensioni degli artisti protagonisti di questo evento:
Claudio Lolli
Claudio Lolli (Bologna, 28 marzo 1950) è un cantautore, poeta, scrittore e professore liceale italiano. Considerato dagli addetti ai lavori e dalla critica come uno dei maestri del cantautorato italiano. Riservato, complesso, innamorato spesso di atmosfere affliggenti, malinconiche e tristi ha inserito nella musica le motivazioni e le delusioni di un’epoca e di una generazione che si era illusa, forse con cognizione, di poter cambiare le sorti dell’umanità. Alterne vicende discografiche hanno contribuito a minarne la fama tra il grande pubblico e la conoscenza tra le nuove generazioni.
Scritto da carlo moretti
Fuori, ad una estremità e all’altra della strada dritta, animata in quell’ora da torme di ragazzi, si vedevano due cime di monti, nera quella a destra sullo sfondo rosso del crepuscolo, azzurra quella a sinistra, sul cielo pallido, con una grande luna d’oro sopra. Ma come nelle altre sere Bainzeddu, con le sue brachine sporche e il corpettino di velluto lacerato, non si staccava dal gruppo degli altri ragazzini per avvicinarsi al nonno e cercare di strappargli il bastone con ambe le manine aspre, facendo forza indietro, coi bei dentini stretti e i grandi occhi azzurrognoli scintillanti sotto la frangia dei capelli selvaggi.
Il nonno però non s’inquietava; pareva sapesse che il ragazzo era già nascosto e aspettasse la fine dell’avventura. In tutto il pomeriggio non aveva aperto più bocca; neppure quando venne la nuora, sul tardi, per prendere il ragazzo, disse una parola.
Il ragazzo non c’era.
La madre, piccola e affaticata come una servetta, si affacciò alla porta per chiamarlo.
- Baì? Bainzé? -
L’asinello, dentro, si fermò ascoltando. Il ragazzo non rispose. La madre tornò nella cucina, andò nel cortile, salì nelle camere di sopra.
- Bainzé? Bainzeddu? -
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