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Archivio della categoria ‘Cultura e arte’

Storia di Natale: Il Presepe.

Scritto da carlo moretti

Il primo vero presepe della storia fu creato nella chiesa di Santa Maria Maggiore, a Roma. Questa usanza divenne così popolare che presto tante altre chiese vi aderirono. Ognuna creava un presepio particolare ed unico. Le scene della natività erano spesso ornate con oro, argento, gioielli e pietre preziose.

Anche se molto popolare tra le classi più ricche, questa opulenza era quanto di più distante dal significato della nascita di Gesù.

Dobbiamo il “nostro” presepe attuale a San Francesco d’Assisi, che nel Natale 1223 San Francesco realizza in Greccio con l’aiuto della popolazione locale e di Giovanni Velìta, signore dei luoghi, un presepe vivente con l’intento di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme, per vedere con i propri occhi dove nacque Gesù. Tutto fu approntato e, con l’autorizzazione di Papa Onorio III, in quella notte si realizzò il primo presepio vivente nel mondo.

I personaggi che nella notte del 1223 animarono il “Presepio di San Francesco” sono quelli tramandati dalla tradizione e dalle fonti storiche, gli scritti di Tommaso da Celano e San Bonaventura:

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Il dono di Natale – brano di Grazia Deledda

Scritto da carlo moretti

I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell’anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco.

Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei.

E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.

Avevano mandato avanti il fratello più piccolo, Felle, un bel ragazzo di undici anni, dai grandi occhi dolci, vestito di pelli lanose come un piccolo San Giovanni Battista; portava sulle spalle una bisaccia, e dentro la bisaccia un maialetto appena ucciso che doveva servire per la cena.

Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addossate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa, sopra un terrapieno sostenuto da macigni, circondata d’alberi carichi di neve e di ghiacciuoli, appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole.

Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve.
Nella strada che conduceva a casa sua, Felle trovò solo, sulla neve, le impronte di un piede di donna, e si divertì a camminarci sopra. Le impronte cessavano appunto davanti al rozzo cancello di legno del cortile che la sua famiglia possedeva in comune con un’altra famiglia pure di pastori ancora più poveri di loro. Le due casupole, una per parte del cortile, si rassomigliavano come due sorelle; dai comignoli usciva il fumo, dalle porticine trasparivano fili di luce.
Felle fischiò, per annunziare il suo arrivo: e subito, alla porta del vicino si affacciò una ragazzina col viso rosso dal freddo e gli occhi scintillanti di gioia.

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Contos de foghile – Nostra Signora del Buon Consiglio [9]

Scritto da carlo moretti

“Leggende sarde” di Grazia Deledda, a cura di Dolores Turchi, Roma, Newton Compton Editori, 1999, collana Italia Tascabile, 8

Oggi, miei piccoli amici, voglio raccontarvi una storia che vi commuoverà moltissimo, e che, se non vi commuoverà, non sarà certamente per colpa mia o delle cose che vi narro, ma perché avete il cuore di pietra.

C’era dunque una volta, in un villaggio della Sardegna per il quale voi non siete passati e forse non passerete mai, un uomo cattivo, che non credeva in Dio e non dava mai elemosina ai poveri.

Quest’uomo si chiamava don Juanne Perrez, perché d’origine spagnola, ed era brutto come il demonio. Abitava una casa immensa, ma nera e misteriosa, composta di cento e una stanza, e aveva con sé, per servirlo, una nipotina di quindici anni, chiamata Mariedda.

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Amare Chiaramonti: rimediare agli sconci, curare il decoro, recuperare il verde.

Scritto da angelino tedde

Curare gli ingressi per il rispetto che si porta ai visitatori che siamo certi aumenteranno: si pensi soltanto alla piccola colonia inglese che sicuramente porterà altri gruppi di visitatori nel periodo estivo.

Io penso che se il Sindaco, magari in deltaplano, circumnavigasse il Monte di San Matteo, si renderebbe conto degli sconci. Non ci vuole molto: basterebbe incaricare il consorzio della raccolta dei rifiuti e la vista dal monte migliorerebbe anche a ovest, dove però c’è l’insidia di una talpa che di tempo in tempo scava sotto la rocca più debole. Vogliamo andare alla ricerca di qualche “siddadu” oppure si pensa che chiunque possa impunemente scavare ed accaparrarsi, per i propri usi e consumi, gli spazi pubblici non recintati? Costa molto al Comune recintare ciò che appartiene alla comunità e tenerlo con sana igiene e magari mettendo a dimora delle piante come egregiamente si sta facendo lungo su Jomperi col recupero dei castagni? Il verde oggi è più prezioso dell’oro.

Si prenda l’esempio dai recinti e degli avvisi che vengono messi nelle riserve di caccia. Dobbiamo perdere il patrimonio del Comune e lasciare che chiunque abusivamente costruisca rovinando l’incanto dei tre colli: San Matteo, Codinarasa-Monte del Carmelo, Monte Ozastru? Guardateli dall’abbeveratoio di Spurulò e ne noterete l’incanto. Educazione al bello, educazione al colore, educazione al verde e ossigeno per i nostri già inquinati polmoni.

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Banditesse di Sardegna: Donna Lucia Delitala Tedde.

Scritto da carlo moretti

Tratto da: Banditi di Sardegna di Franco Fresi

Lo stemma dei Delitala-Pes nella chiesa parrocchiale di Nulvi (Foto di Gianfranco Serafino, Tempio)

«C’è in questo regno di Sardegna una famiglia divisa, chiamata Delitala. paragonabile agli antichi Guelfi e Ghibellini. Due di loro sono in prigione, due condannati a morte in contumacia. Altri due, con molti parenti, sono a capo dei banditi. Si può dire che sono i piccoli sovrani della Gallura: e non c’è possibilità di arrestarli, perché ci sono montagne. boschi e luoghi dove non ci si può servire di guide. Anche le donne e le ragazze di questa casata fanno la guerra, e donna Lucia Delitala è stata due anni in prigione. E’ una giovane di circa quarant’anni che non si è voluta sposare per non dipendere da un uomo, secondo quanto lei stessa afferma. Ha due mustacchi da granatiere e usa le armi e il cavallo come un gendarme. Ora che è stata graziata, vive abbastanza tranquilla».

Questo curioso ritratto di una nobildonna sarda del Settecento è in una lettera che il viceré di Sardegna, il marchese Carlo Amedeo Battista di San Martino d’Agliè di Rivarolo, scriveva verso il 1735 al re Carlo Emanuele III, intenzionato a sradicare dall’isola la piaga del banditismo e della delinquenza.

Il grande storico sardo Giuseppe Manno descrive con grande efficacia questa situazione di emergenza nella sua Storia di Sardegna.

«Frattanto», dice, «sceglievasi a viceré il marchese San Martino di Rivarolo: uomo di severo sopracciglio, di spedito giudizio nel deliberare le cose di Stato, e traente diritto al suo scopo nell’operare; dotato inoltre di tale franchezza di carattere e cosi composto per natura alla costanza, che molti de’ creduti flessibili, paragonati con lui ne perderebbero: e sopra ciò resolutissimo di lasciar viva fra noi la memoria del suo comando per l’ardenza con cui disponeasi a romper acerba guerra ai malfattori, moltiplicatisi oltre misura in quel correr d’anni. La Sardegna era in quel tempo tribolata da varie bande di malviventi, che, formicando per ogni dove, non solo turbavano la quiete comune, ma faceano anche vista di voler sopraffare lo stesso governo, andato il più delle volte molto a rilento nel combatterli».

La sede principale dei ribelli era Nulvi, che oggi è un ricco centro agricolo-pastorale dell’Anglona, vasta regione collinare tra la Gallura e il Sassarese.

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Contos de foghile – San Michele Arcangelo [8]

Scritto da ztaramonte

“Leggende sarde” di Grazia Deledda, a cura di Dolores Turchi, Roma, Newton Compton Editori, 1999, collana Italia Tascabile, 8

La mercantessa d’uova, zia Biròra Portale, viaggiava recando un cesto d’uova da Orotelli a Nuoro. Era una notte d’agosto, pura e luminosa come una perla. Sulla grande distesa della pianura di stoppia, la luna gettava una luce viva ed eguale; il cielo era azzurro quasi come di giorno, e solo ad oriente l’orizzonte appariva vaporoso, velando le montagne che sembravano nuvole sorgenti dal mare.

Zia Biròra viaggiava di notte perché viaggiava a piedi, e viaggiava a piedi perché i guadagni del suo commercio erano tanto esigui da non permetterle di viaggiare a cavallo. Figuratevi che tutti i capitali del suo commercio, assai fragili invero, stavano dentro quel cestino intessuto di canne che ella recava sul capo: duecento uova. Ogni tre giorni zia Biròra, comprava duecento uova, le disponeva nel cestino, fra la paglia, e si metteva in viaggio per Nuoro. Col guadagno viveva tre giorni.

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Chiaramonti, il sito e il nome. A cura di Mauro Maxia.

Scritto da ztaramonte

Mauro Maxia (Perfugas, 1953).

Studioso di linguistica e onomastica, è professore a contratto di Lingua Sarda nella Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Collabora con la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Cagliari come docente di onomastica nei master di II livello. Autore di volumi e saggi sul sardo e sulle varietà sardo-corse, nei suoi studi privilegia l’aspetto storico con riguardo alla  fonetica, dialettologia ed etimologia. Coordina un progetto triennale finanziato dalla Regione Sardegna relativo a un’indagine  sull’uso delle lingue locali e all’insegnamento del sardo e del gallurese nelle scuole di alcuni comuni del Nord Sardegna. Ha ideato e organizza il concorso letterario per alunni “Iscola Sarda”. Collabora con riviste nazionali ed estere.

Chiaramonti, il sito e il nome[1]

di Mauro Maxia

L’abitato di Chiaramonti[2] occupa un elevato terrazzo calcareo che domina tutta la valle interna dell’Anglona. Ai margini dell’altura emergono tracce di insediamenti che risalgono al Neolitico e all’età nuragica. Sepolture ipogee sono conosciute sia sul versante settentrionale sia su quello meridionale[3]. Un nuraghe, vicino ai resti dell’antica chiesa di S. Caterina, occupa il ciglio della scarpata che precipita verso la fonte detta Su Tùlchis[4]. La strada che dalla distesa di Paùles risale verso il pianoro di S. Caterina e S. Giuliano presenta dei caratteri che consentono di assegnarne la realizzazione all’età romana[5].

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