Archivio della categoria ‘Cultura e arte’
Scritto da carlo moretti
Capitolo 4
Interferenze corse in documenti dei secc. XIV-XV
Sotto il profilo storico la questione della colonizzazione còrsa della Sardegna settentrionale è rimasta a lungo inesplorata. Soltanto di recente una serie di studi sta mettendo in luce una realtà che era sottesa da una salda presenza linguistica 54. In realtà una forte presenza dei còrsi è attestata, per la città di Sassari, fin dai secoli XIV-XV 55.
L’epigrafe di Santa Vittoria del Sassu (v. cap. 5) in apparenza sembrerebbe rappresentare un documento avulso da un contesto linguistico che finora gli studiosi avevano ritenuto caratterizzato dalla presenza del solo logudorese.
In realtà è sufficiente gettare uno sguardo attento su alcuni documenti bassomedievali per rendersi conto che il còrso vigeva da tempo nel settentrione sardo e che forse in alcune zone stava già soppiantando la lingua originaria. Sotto il profilo fonetico non è difficile dimostrare che diversi prestiti del dialetto gallurese furono acquisiti prima del ’500. Basti pensare a risoluzioni come dècchitu “elegante” dove la velare sorda, al pari dell’identica forma del moderno logudorese, si è cristallizzata senza seguire la regolare evoluzione k > g. La forma gallur. suiɖɖátu “tesoro nascosto” risulta più arcaica rispetto allo stesso logud. siɖɖádu. Essa parrebbe derivare dal logud. ant. sigillu evolutosi fin dal Duecento in siillu col regolare dileguo della velare sonora intervocalica 56.
È da quest’ultima forma che potrebbe essersi svolto il gallur. suiɖɖátu con cacuminalizzazione della liquida intensa e dissimilazione i-i ~ u-i delle due vocali iniziali trovatesi in contatto per la caduta della precedente -g-. La relativa trafila sarebbe la seguente: logud. ant. siillu > *siillatu (> logud.mod. siɖɖádu) > gallur. suiɖɖátu. Tuttavia, gall. suiddatu può costituire, più probabilmente, una variante dileguata di crs. oltrm. suviɖɖátu (Sotta).
Un altro esempio può essere fornito dall’avverbio chizzu [’kits:u] “presto, di buonora” che non può derivare dal logud. moderno chitto. La base è rappresentata infatti dal logud. ant. kitho < CITIO per CITIUS 57. Ora, siccome la forma logudorese moderna si è sviluppata verosimilmente entro la metà del XV secolo 58, si deve ritenere che anche la variante gallurese sia insorta entro il medesimo periodo storico.
Allo stesso modo si possono portare ulteriori prove che il còrso era vitale in Sardegna durante il Trecento e forse anche nel secolo precedente. Questa ipotesi appare valida soprattutto per le colonie còrse che dovevano essersi stabilite nei maggiori centri della Sardegna settentrionale e nei capoluoghi delle curatorie (Sassari, Sorso, Castelsardo, Tempio, Terranova). Sia sufficiente citare il suffisso –ára che compare in toponimi importantissimi come Limbara, Tavolara, Molara, Asinara, alcuni dei quali sono documentati già nel basso medioevo. Si tratta di un caratteristico suffisso còrso attestato, appunto, anche nella Sardegna settentrionale 59.
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Scritto da ange de clermont
Appena il cielo iniziò a schiarire il pretore di Vulvu col brigadiere e con due militi lasciarono la caserma a cavallo diretti al rio Filighesos presso la domus sulla roccia rossastra per rimuovere il cadavere dell’archeologo miramontano Antonio Pedde, vegliato nella notte da un milite e dal pastore Mudulesu del Nuraghe Aspru. Ci vollero due ore di cammino per raggiungere la località, lanciando di tanto in tanto al trotto i cavalli. Passati davanti alla chiesa di Santa Maria Bambina, detta anche, de Aidos, raggiunto il rio Giunturas, che in altimetria degrada almeno duecento metri da quella del paese, posto a 450 metri sul livello del mare, giunsero a sa Punta de sas Tanchittas e via a spron battuto verso il rio Filighesos.
I due custodi del cadavere si erano svegliati presto e avevano preparato due fascine di cisto su cui legarlo. Il brigadiere, il pretore e il milite, appena raggiunta la domus, diedero l’ordine di calare dalla grotta il cadavere dell’archeologo. Due militi col pastore Mudulesu entrarono nella grotta, sollevarono il cadavere ormai freddo del morto, lo poggiarono sulla fascina di cisto e lo legarono con robuste corde. Farlo uscire da quella porticina non fu facile e poiché il morto era a braccia aperte, chiesero al pretore l’autorizzazione di spezzargli le braccia, per piegarle in forma rituale e trasportarlo fuori della grotta. Mudulesu, il più esperto uscì per primo dalla domus e si ancorò agli spuntoni esterni, così da supportare energicamente la fascina di cisto e orientarla correttamente, mentre i due militi la spingevano fuori, tenendo da un capo all’altro, con due corde, il cadavere e la fascina a mo’ di barella. Il cadavere scivolò così fino a toccare terra dove l’altro milite e il brigadiere la spostarono in modo tale che il pretore potesse osservare il poveretto. Il magistrato notò subito il marchio sulla fronte e al lato destro della tempia abrasioni medie, guardando per i fianchi osservò che l’abito era rotto da una larga fessura attraverso la quale si notava l’effetto d’una stilettata che aveva procurato al morto un’evidente emorragia. Capì subito che l’uomo era stato pugnalato di fianco dall’assassino, steso con un colpo contundente alla tempia e poi marchiato in fronte con il marchio di una protòme taurina arroventata. Volle vedere anche la bisaccia e notò subito i ferri del mestiere: una cazzuola, una piccozza, un martello, uno scalpello e poi una sacchetto con due boccette ripiene una certamente d’acqua e l’altra d’olio, più tre crocifissi; nell’altra tasca della bisaccia vi era del pane del formaggio e un pezzo di lardo. Il pretore divenne nervoso per lo spettacolo raccapricciante a cui pure era abituato e, sigillata con due corde le sacche della bisaccia, diede ordine di trasferire il cadavere oltre il fiume e condurlo in alto nei pressi de s’istrampu del rio, dove il porcaro Zulianu, servo di Mudulesu, aveva approntato un carro da buoi, per condurre il cadavere in paese. Il pretore impartì l’ordine di partire e si rassegnò a seguire quel rozzo carro funebre trainato da buoi. Passarono due ore e mezzo prima di raggiungere, nei pressi di Codinas, sa Punta de Bona Notte. Dopo una breve sosta il carro continuò verso Caminu de Litu e quindi in via Garibaldi, fino alla casa del morto, dove le donne cominciarono un tristissimo lamento senza ottenere la restituzione del caro estinto che per legge doveva essere condotto nella camera mortuaria del Camposanto, per essere esaminata dal medico legale di Vulvu dr. Donaru, che aveva sostituito il vecchio dr. Pische, dopo l’assassinio di Maria Giusta Molinas, Anna Maria Brinca e il sicario.
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Scritto da carlo moretti
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Il testo dell’articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»
La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.(vidia)
In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi, Chełmno, e Bełżec, ma questi campi detti più comunemente di “annientamento” erano vere e proprie fabbriche di morte dove i prigionieri e i deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo pochi “sonderkommando”, che in italiano vuol dire unità speciale.
Tuttavia l’apertura dei cancelli ad Auschwitz, dove 10-15 giorni prima i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con sé in una “marcia della morte” tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento del lager (anche se è doveroso riportare che due dei forni crematori situati in Birkenau I e II furono distrutti nell’autunno del 1944)[senza fonte].
In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell’alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l’Olocausto.
(Tratto da Wikipedia, L’enciclopedia libera)
Scritto da ange de clermont
Il pretore di Vulvu accolse il milite della stazione di Miramonti giunto a cavallo per la triste notizia dell’archeologo assassinato.
-In quale domus l’hanno accoppato quest’ impiccione?-
-Presso il rio Filighesos, quella domus delle roccia che fa parete alla sponda opposta venendo da Miramonti.-
-Uh, ho capito, perbacco, sempre nel Sassu avvengono i delitti nel vostro territorio. Bella galoppata, mi tocca fare, ma per il Re e per l’Italia attenda che vengo subito, naturalmente non oggi, ma domattina ci si muove da Miramonti. Vengo a pernottare nella vostra caserma e domani mattina presto si va sul posto.-
Il pretore chiamò un inserviente, fece sellare il suo cavallo e seguì malinconicamente il milite, dicendosi che aveva scelto un bel mestiere, quello del becchino, ah, avesse potuto cambiare, lo avrebbe fatto volentieri. Accidenti agli archeologi e ai miramontani, gentaccia, abigeatari, omicidi, omertosi, incivili tutto sommato.
Il sole aveva oltrepassato il mezzogiorno da un bel pezzo e i due marciavano tra mulattiere e sterrate che portavano a Miramonti col sole in faccia, tanto che i due cavalli, a tratti s’infastidivano.
In paese tutti sapevano tutto o s’inventavano almeno una parte di tutto. Per alcune donne e i loro uomini fit lantadu a balla (ucciso a pallettoni), per altre si era sfraccellato cadendo dal costone roccioso di rio Filighesos, per altre sicuramente gli spiriti delle domus lo avevano ammazzato per soffoccamento., anima mia libera! I bambini dai quattro anni in su ascoltavano i genitori in casa e fuori ,per la strada le chiacchiere dei vicini e, purtroppo, si preparavano ad una notte d’incubi. A sa Niéra dove si piangeva il morto la maggior parte delle donne si erano recate ad abbracciare la moglie e le due figlie e di tanto in tanto una delle tre in lutto si lasciava andare ad un lamento.
Poi anche le voci si erano attenuate e la notte più nera del solito era scesa a coprire fortune e miserie dell’antico borgo medievale.
Il vicario, con la candela accesa sulla scrivania, vegliava in preghiera e si percuoteva il petto per l’incapacità di condurre il suo gregge a Dio. Prima di mettersi a letto cominciò a domandarsi chi poteva aver ammazzato l’archeologo Pedde. il più caro a Giuanne Ispanu e il più anziano di tutti quelli che Miramonti nutriva a pane e lardo. Poteva trattarsi di una vendetta, ma con quale scopo? Gli è che quando il demonio s’impossessa di un’anima non va tanto per il sottile e al momento di massimo dominio la induce al peggiore dei peccati: un fratello che uccide l’altro fratello.
Si addormentò con la corona del rosario sul petto, ma i suoi sogni furono turbati da visioni infernali: gli sembrava di trovarsi davani a San Pietro e un diavolo cornuto lo accusava di non aver fatto un bel niente per le anime di Miramonti, anzi, perdendo spesso la pazienza li aveva allontanati dalla frequenza in parrocchia, e lui a difendersi…Finché l’incubo non si dileguò e dormi in serenità.
In caserma, invece, il brigadiere, ormai tanti anni a Miramonti, con i militi si domandava chi poteva avere interesse ad uccidere Antonio Pedde che, a parte le arie per la passione di archeologo, era una brava persona e migliore sarebbe stata se non avesse assunto a tratti un atteggiamento di sufficienza nei confronti degli altri archeologi che, per questo motivo, lo detestavano. Mentre si scambiavano queste impressioni giunse il pretore con un altro milite. Gli diedero la camera predisposta per lui che non volle nemmeno ascoltarli e dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo se nera andato a dormire, già affaticato, per quanto lo attendeva il giorno seguente.
La moglie di Mudulesu, saputo che il marito con un milite avrebbe pernottato nei pressi della domus ormai tomba del morto ammazzato, portò loro un pò di minestrone di verdure per riscaldarsi, due stuoie e una coperta di lana da lei lavorata al telaio, e si congedò da loro tornando a casa con l’animo gravato dal peccato che aveva compiuto nella mattinata con l’amore mancato. Prese il rosario e cominciò a dirselo, chiedendo perdono a Dio per quella mancanza e promettendo che un peccato del genere non l’avrebbe più commesso.
Nella radura rane e grilli, cani e volpi facevano sentire i loro strani guaiti, mentre le pecore e i maiali, raccolti negli ovili venivano guardati nella notte da occhi rivolti al buoio, solo le stelle parevano ignorare il trambusto delle cose che avveniva a Sassu Altu. Il mondo era andato sempre così e diversamente non poteva andare finché pastori e animali si aggiravano in quell’immenso tavolato miocenico che offriva la sua vista a Miramonti e poi precipitava rovinosamente nel costone in su campu de Utieri dove il grano andava assumento colorito giallo e i fiumi e i ruscelli tendevano al magro.
Scritto da carlo moretti
Capitolo 3
Sardo e còrso dallo scorcio del Medioevo agli inizi dell’Etá Moderna
Che il settentrione della Sardegna, almeno dalla seconda metà del Quattrocento, fosse interessato da un forte presenza còrsa si può desumere da diversi punti di osservazione. Il Wagner, a proposito delle desinenze del perfetto, osservava che le antiche forme logudoresi “…nei testi dei secc. XVI e XVII occorrono ancora, ma accanto alle nuove formazioni in -ési”, precisando che le forme del perfetto debole della 3^ coniugazione “…sono state soppiantate, a partire dal sec. XVI, da nuove forme di perfetto, nelle quali la desinenza -esi, -isi, presa dai perfetti in -s-, si affigge ora al tema del presente, ora a quello del perfetto; accanto a presi sorge prendesi; accanto a fegi si dice fegisi, ecc.
Oggi tutti i verbi formano un perfetto in – ési nel logud. sett., unica regione in cui attecchí tale formazione, e accanto a questa ve n’è un’altra in -éi senza differenza di funzione e di significato”32.
Non vi è chi non veda la correttezza delle osservazioni del grande tedesco, ma donde proviene la desinenza in -ési del perfetto nel logudorese settentrionale? E come mai essa si radicò, accanto alle genuine forme in -ai ed -ei, soltanto nell’area settentrionale del Logudoro?
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Scritto da ange de clermont
Giommaria Mudulesu, di solito tranquillo, mentre scendeva da Sassu Altu verso Chirralza e il rio Filighesos, non riusciva a capire perché si era tanto agitato, ma il presagio di qualche disgrazia gli attanagliava l’animo. Affrettò il passo e raggiunse il rio Filighesos, lo attraversò nel tratto più magro e raggiunse la domus de janas sulla parete della roccia rossastra, si arrampicò sugli spuntoni, non prima d’aver colto un pò d’erba secca per illuminare la domus, raggiunse l’imboccatura quadrata di quella che era detta casa delle fate e non tomba delle genti prenuragiche, e ci si buttò dentro. Con le pietre focaie che non abbandonavano mai le sue tasche e con quel pò d’erba secca, accese un minuscolo falò, e orrore, gli uscì dalla gola un grido strozzato e lamentoso: compare meu Antoni, bos ant mortu, compare Antonio vi hanno ammazzato. Gli toccò la fronte e, vedendo il marchio, con sangue rappreso, continuò ad urlare: compare Antoni bos ant mortu!
Abbandonò subito la grotta, oltrepassò il fiume, e correndo come mai aveva corso in vita sua, raggiunse il casolare a duecento passi dal nuraghe Aspru, entrò in casa e alla moglie che lo vide stravolto, urlò: -Ant mortu a compar’Antoni!
-Hanno ucciso compare Antonio? Oih che disgrazia! E come fai a dire che l’hanno ucciso?-
-Come Gesù Cristo sulla croce l’hanno ucciso! L’assassino l’ha trafitto alla fronte con uno strano disegno! Sellami il cavallo che corro in paese a dirlo ai carabinieri e avvertimi Andria!-
Maria corse a sellare il cavallo del marito, un baio abbastanza snello, e il marito, indossata una giacca di orbace, montò sulla sella e a spron battuto si diresse a Miramonti, mentre il cuore gli sussultava nel petto. Raggiunse velocemente sa punta de sas tanchittas, ma non rallentò la corsa e poi scese a tutto sprone verso la parte bassa e magra del rio Giunturas, passò davanti a sas Coas e via su su fino a Santa Maria de Aidos. Nostra Segnora mia!- sussurrò passando davanti alla chiesetta e percorrendo il sentiero irto che lo portava a Santu Miale, passò a Punta de Bona Notte, attraversò sferragliando Codinas, un vasto pianoro di roccia miocenica, costeggiò il bosco dei Frassini, spronò il cavallo verso Caminu de Litu e bloccato il cavallo davanti alla Caserma, salì i gradoni che lo condussero al portone e bussò. Il piantone aprì e visto l’uomo stravolto, esclamò: -Che c’è, che cosa e successo, sig. Mudulesu?-
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Scritto da carlo moretti
Capitolo 2
Il trattamento del nesso –rt- a Castelsardo fra il 1321 e il 1337
Gli studi condotti finora dai linguisti non si sono fondati su una prospettiva storica che considerasse nella giusta luce i documenti, editi e inediti, che dimostrano la vigenza del còrso in Anglona già nel basso medioevo.
In effetti, già attraverso il lessico logudorese degli Statuti di Castelgenovese è possibile cogliere, seppure mascherate dalla terminologia tecnica di impronta toscaneggiante, diverse interferenze di origine còrsa.
È il caso di fare pochi ma illuminanti esempi (fra parentesi si riportano le corrispondenti forme della parlata di Castelsardo):
cap. LVI: “stragnu” (cast. strágnu)
CLIII e passim: “gictare, gittare” (cast. gittá)
CCVI: “marthesis” (cast. maltési)
CCVI: “nurachi” (cast. nurághi)
CCXIII: “lavare” (cast. lavá)
CCXV: “lauare et sciaquare” (cast. lavá e sciuccá)
Questo aspetto si può cogliere attraverso i prodromi di quello che diverrà uno dei tratti più caratteristici della fonetica sia dei dialetti gallurese e sassarese sia delle parlate intermedie di Castelsardo e Sedini sia, infine, della stessa varietà settentrionale del logudorese: l’esito l- + consonante dei nessi latini L-, R-, S- + consonante. Un’efficace marca della vigenza del trattamento -RT > -lt già nei primi decenni del XIV secolo è rappresentato dal toponimo Murtetu, che il notaio Francesco Da Silva riportava nella forma latinizzante Multedo. 15
A torto il giurista castellanese Zirolia lo attribuiva a una fondazione genovese rievocativa dell’omonimo centro dell’odierna periferia genovese16. La presenza nella medesima area ligure di una borgata denominata Murta (< MYRTA) lascerebbe ritenere che la forma continentale Multedo possa avere tratto origine non dal medesimo fitonimo ma da un altro etimo. D’altra parte l’esito R > l in nesso con occlusiva è conosciuto persino nell’area più conservativa della stessa Sardegna. Si confrontino, ad esempio, i vocaboli orgolesi melʔa “latte inacidito” anziché mèrka 17, ʔélʔu “quercia” anziché kérku18 e trèlʔa anziché trèkka “luogo scosceso” 19.
L’origine dei particolari esiti del sassarese e del logudorese settentrionale, però, va vista preferibilmente nell’influsso genovese, come suggerisce l’occorrenza nel sassarese di -l- > – r- (ára “ala”, méra “mela” 20) allo stesso modo che nel dialetto genovese. Ma non va escluso che tutta la complessiva questione dei nessi consonantici della Sardegna settentrionale sia da ricomprendere nel contesto del fenomeno più generale, di origine galloromanza e comunque continentale, che va sotto il nome di vocalizzazione di [l] 21.
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