Archivio della categoria ‘Scuola e educazione’
Scritto da carlo moretti
Capitolo 5
Un’antica epigrafe in gallurese
È invalsa, fra gli studiosi, l’opinione che la colonizzazione còrsa del Nord-Est della Sardegna e la conseguente introduzione del dialetto gallurese siano un fatto relativamente recente, da inquadrare fra il XVII e il XVIII secolo. 67 In realtà si tratta di una visione tradizionale mai sottoposta a verifica.
Una serie di dati consente infatti di retrodatare la presenza còrsa in Gallura almeno alla metà del ’500 e, relativamente alla contigua regione dell’Anglona, al pieno ’400. Sotto questo profilo ci occuperemo qui di un’epigrafe che si osserva all’esterno dell’abside della chiesa romanica di Santa Vittoria del Sassu (Perfugas, Sassari).
1. La chiesa di Santa Vittoria del Monte Sassu.
La chiesa campestre di Santa Vittoria è situata in uno spiazzo alle pendici settentrionali del Monte Sassu 68, nella regione storica dell’Anglona, antica curatoria del Regno di Torres. 69 Si tratta di piccolo edificio romanico risalente al XII secolo.
Il titolo di Santa Vittoria del Sassu si rileva in una tabella lignea affissa all’interno della chiesa, con la quale il vescovo Diego Capece nel 1836 concedeva quaranta giorni d’indulgenza a coloro che vi si fossero recati a pregare. Il fatto che la curia ampuriense, cui si deve la commissione della tabella, indicasse il toponimo Sassu sembra significare che quello citato sia l’originario titolo ufficiale del monumento.
In letteratura la sua prima citazione è riportata nel lavoro enciclopedico di Vittorio Angius 70, che la ricordava col titolo di Santa Vittoria di Campu d’Ulumu, il quale riflette la denominazione della più vicina località abitata. In seguito ne fece cenno il Pellizzaro col titolo di Santa Vittoria di Erula, datandola all’ultima fase del romanico sardo 71. La chiesa venne infine citata da P. Sella, che localizzò erroneamente nel suo sito il villaggio medievale di Gavazana 72. Egli, identificando il titolo di Santa Vittoria, antica parrocchiale di Gavazana, con la chiesa in questione stabiliva un’identità pur senza disporre di alcun elemento per sostenere tale tesi. In realtà il villaggio medievale di Gavazana sorgeva nella località detta attualmente Battána, a metà strada fra Perfugas e Laerru, dove si conserva ancora il toponimo Santa Vittoria 73. Purtroppo, come spesso accade, l’errata indicazione del Sella continua ad avere riflessi ogniqualvolta la chiesa in questione venga citata in lavori che hanno per tema i monumenti medievali dell’Anglona.
Di recente, infatti, seguendo l’opinione di quello studioso, sono incorsi nella medesima svista anche P. Marras 74 e R. Coroneo 75.
Il sito dove sorge la chiesetta dovette appartenere in origine al villaggio scomparso di Bangios, un tempo situato al piede settentrionale del Sassu, circa quattro chilometri in linea d’area Leggi tutto »
Scritto da carlo moretti
Capitolo 4
Interferenze corse in documenti dei secc. XIV-XV
Sotto il profilo storico la questione della colonizzazione còrsa della Sardegna settentrionale è rimasta a lungo inesplorata. Soltanto di recente una serie di studi sta mettendo in luce una realtà che era sottesa da una salda presenza linguistica 54. In realtà una forte presenza dei còrsi è attestata, per la città di Sassari, fin dai secoli XIV-XV 55.
L’epigrafe di Santa Vittoria del Sassu (v. cap. 5) in apparenza sembrerebbe rappresentare un documento avulso da un contesto linguistico che finora gli studiosi avevano ritenuto caratterizzato dalla presenza del solo logudorese.
In realtà è sufficiente gettare uno sguardo attento su alcuni documenti bassomedievali per rendersi conto che il còrso vigeva da tempo nel settentrione sardo e che forse in alcune zone stava già soppiantando la lingua originaria. Sotto il profilo fonetico non è difficile dimostrare che diversi prestiti del dialetto gallurese furono acquisiti prima del ’500. Basti pensare a risoluzioni come dècchitu “elegante” dove la velare sorda, al pari dell’identica forma del moderno logudorese, si è cristallizzata senza seguire la regolare evoluzione k > g. La forma gallur. suiɖɖátu “tesoro nascosto” risulta più arcaica rispetto allo stesso logud. siɖɖádu. Essa parrebbe derivare dal logud. ant. sigillu evolutosi fin dal Duecento in siillu col regolare dileguo della velare sonora intervocalica 56.
È da quest’ultima forma che potrebbe essersi svolto il gallur. suiɖɖátu con cacuminalizzazione della liquida intensa e dissimilazione i-i ~ u-i delle due vocali iniziali trovatesi in contatto per la caduta della precedente -g-. La relativa trafila sarebbe la seguente: logud. ant. siillu > *siillatu (> logud.mod. siɖɖádu) > gallur. suiɖɖátu. Tuttavia, gall. suiddatu può costituire, più probabilmente, una variante dileguata di crs. oltrm. suviɖɖátu (Sotta).
Un altro esempio può essere fornito dall’avverbio chizzu [’kits:u] “presto, di buonora” che non può derivare dal logud. moderno chitto. La base è rappresentata infatti dal logud. ant. kitho < CITIO per CITIUS 57. Ora, siccome la forma logudorese moderna si è sviluppata verosimilmente entro la metà del XV secolo 58, si deve ritenere che anche la variante gallurese sia insorta entro il medesimo periodo storico.
Allo stesso modo si possono portare ulteriori prove che il còrso era vitale in Sardegna durante il Trecento e forse anche nel secolo precedente. Questa ipotesi appare valida soprattutto per le colonie còrse che dovevano essersi stabilite nei maggiori centri della Sardegna settentrionale e nei capoluoghi delle curatorie (Sassari, Sorso, Castelsardo, Tempio, Terranova). Sia sufficiente citare il suffisso –ára che compare in toponimi importantissimi come Limbara, Tavolara, Molara, Asinara, alcuni dei quali sono documentati già nel basso medioevo. Si tratta di un caratteristico suffisso còrso attestato, appunto, anche nella Sardegna settentrionale 59.
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Scritto da carlo moretti
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Il testo dell’articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»
La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.(vidia)
In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi, Chełmno, e Bełżec, ma questi campi detti più comunemente di “annientamento” erano vere e proprie fabbriche di morte dove i prigionieri e i deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo pochi “sonderkommando”, che in italiano vuol dire unità speciale.
Tuttavia l’apertura dei cancelli ad Auschwitz, dove 10-15 giorni prima i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con sé in una “marcia della morte” tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento del lager (anche se è doveroso riportare che due dei forni crematori situati in Birkenau I e II furono distrutti nell’autunno del 1944)[senza fonte].
In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell’alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l’Olocausto.
(Tratto da Wikipedia, L’enciclopedia libera)
Scritto da carlo moretti
Capitolo 3
Sardo e còrso dallo scorcio del Medioevo agli inizi dell’Etá Moderna
Che il settentrione della Sardegna, almeno dalla seconda metà del Quattrocento, fosse interessato da un forte presenza còrsa si può desumere da diversi punti di osservazione. Il Wagner, a proposito delle desinenze del perfetto, osservava che le antiche forme logudoresi “…nei testi dei secc. XVI e XVII occorrono ancora, ma accanto alle nuove formazioni in -ési”, precisando che le forme del perfetto debole della 3^ coniugazione “…sono state soppiantate, a partire dal sec. XVI, da nuove forme di perfetto, nelle quali la desinenza -esi, -isi, presa dai perfetti in -s-, si affigge ora al tema del presente, ora a quello del perfetto; accanto a presi sorge prendesi; accanto a fegi si dice fegisi, ecc.
Oggi tutti i verbi formano un perfetto in – ési nel logud. sett., unica regione in cui attecchí tale formazione, e accanto a questa ve n’è un’altra in -éi senza differenza di funzione e di significato”32.
Non vi è chi non veda la correttezza delle osservazioni del grande tedesco, ma donde proviene la desinenza in -ési del perfetto nel logudorese settentrionale? E come mai essa si radicò, accanto alle genuine forme in -ai ed -ei, soltanto nell’area settentrionale del Logudoro?
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Scritto da carlo moretti
Capitolo 2
Il trattamento del nesso –rt- a Castelsardo fra il 1321 e il 1337
Gli studi condotti finora dai linguisti non si sono fondati su una prospettiva storica che considerasse nella giusta luce i documenti, editi e inediti, che dimostrano la vigenza del còrso in Anglona già nel basso medioevo.
In effetti, già attraverso il lessico logudorese degli Statuti di Castelgenovese è possibile cogliere, seppure mascherate dalla terminologia tecnica di impronta toscaneggiante, diverse interferenze di origine còrsa.
È il caso di fare pochi ma illuminanti esempi (fra parentesi si riportano le corrispondenti forme della parlata di Castelsardo):
cap. LVI: “stragnu” (cast. strágnu)
CLIII e passim: “gictare, gittare” (cast. gittá)
CCVI: “marthesis” (cast. maltési)
CCVI: “nurachi” (cast. nurághi)
CCXIII: “lavare” (cast. lavá)
CCXV: “lauare et sciaquare” (cast. lavá e sciuccá)
Questo aspetto si può cogliere attraverso i prodromi di quello che diverrà uno dei tratti più caratteristici della fonetica sia dei dialetti gallurese e sassarese sia delle parlate intermedie di Castelsardo e Sedini sia, infine, della stessa varietà settentrionale del logudorese: l’esito l- + consonante dei nessi latini L-, R-, S- + consonante. Un’efficace marca della vigenza del trattamento -RT > -lt già nei primi decenni del XIV secolo è rappresentato dal toponimo Murtetu, che il notaio Francesco Da Silva riportava nella forma latinizzante Multedo. 15
A torto il giurista castellanese Zirolia lo attribuiva a una fondazione genovese rievocativa dell’omonimo centro dell’odierna periferia genovese16. La presenza nella medesima area ligure di una borgata denominata Murta (< MYRTA) lascerebbe ritenere che la forma continentale Multedo possa avere tratto origine non dal medesimo fitonimo ma da un altro etimo. D’altra parte l’esito R > l in nesso con occlusiva è conosciuto persino nell’area più conservativa della stessa Sardegna. Si confrontino, ad esempio, i vocaboli orgolesi melʔa “latte inacidito” anziché mèrka 17, ʔélʔu “quercia” anziché kérku18 e trèlʔa anziché trèkka “luogo scosceso” 19.
L’origine dei particolari esiti del sassarese e del logudorese settentrionale, però, va vista preferibilmente nell’influsso genovese, come suggerisce l’occorrenza nel sassarese di -l- > – r- (ára “ala”, méra “mela” 20) allo stesso modo che nel dialetto genovese. Ma non va escluso che tutta la complessiva questione dei nessi consonantici della Sardegna settentrionale sia da ricomprendere nel contesto del fenomeno più generale, di origine galloromanza e comunque continentale, che va sotto il nome di vocalizzazione di [l] 21.
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Scritto da carlo moretti
Premessa
Gli studi sulle varietà dialettali della Sardegna settentrionale non hanno, fino ad oggi, attratto in modo particolare l’interesse degli studiosi. Dopo il primo trentennio del Novecento, durante il quale un’accesa discussione impegnò gli specialisti sulla loro collocazione, i linguisti sembrano essersi disinteressati di questo ambito disciplinare.
Ai dialetti che passano sotto i nomi di «gallurese» e «sassarese» e alle loro sottovarietà finora si sono accostati sporadicamente cultori e appassionati che, in varia misura, hanno cercato di colmare questa evidente lacuna della linguistica italiana e sarda.
La causa principale di tale stato di cose va individuata in un duplice ordine di motivazioni. La prima è rappresentata dal fatto che questi dialetti non rientrano a pieno titolo nel sistema sardo e, d’altro canto, anche volendoli attribuire tout-court al sistema italiano, essi costituiscono, rispetto allo stesso toscano, una remota appendice poco conosciuta.
L’altra è rappresentata dalla notevole importanza che la lingua sarda riveste nel contesto degli studi romanzi. Gli studi relativi al sardo, infatti, hanno catalizzato l’interesse di gran parte dei maggiori linguisti del Novecento. La convergenza delle due concause ha finito, appunto, col mortificare gli studi e le conoscenze sui dialetti sardocòrsi, definizione che, forse meglio di altre, può compendiare il sottosistema linguistico rappresentato dal sassarese e dal gallurese.
I saggi qui riuniti costituiscono dei lavori preparatori in funzione di uno studio più vasto che ambisce a tracciare le linee storiche e a definire il quadro culturale entro cui i due dialetti si radicarono in Sardegna. La lettura dei singoli articoli può rivelarsi utile per un primo inquadramento di tematiche che, nonostante la loro importanza, erano passate inosservate o quasi. È il caso, per esempio, della documentazione del còrso in Sardegna.
Eppure la sua vigenza nel settentrione sardo era apprezzabile in vari documenti che vanno dal Trecento al Cinquecento. Numerose interferenze di carattere fonetico, morfo-sintattico e lessicale emergono perfino in alcuni importanti documenti logudoresi trecenteschi come gli Statuti di Sassari e Castelsardo. Questo stato di cose risalta, poi, in modo vistoso nel Codice di San Pietro di Sorres.
Al ristagno degli studi occorrerà porre rimedio, iniziando a restituire alle due macrovarietà sardo-còrse l’ambiente sociale entro il quale presero le mosse. Si potrà osservare, fra l’altro, quanto siano discutibili le teorie che danno per scontato un diretto influsso toscano-genovese.
La compenetrazione fra l’elemento sardo e quello còrso fu talmente profonda da dare vita non soltanto al sassarese e al gallurese ma a quelle particolari sottovarietà del logudorese che in modo riduttivo vengono solitamente unificate sotto l’unica denominazione di «logudorese settentrionale».
I saggi che vengono qui presentati forse potrebbero dare l’impressione di una raccolta non sempre coesa. In realtà tutti gli articoli – compresi quelli che prendono in esame aspetti di antroponimia e toponomastica – hanno una stretta attinenza col tema di fondo, che è rappresentato dal quadro storico all’interno del quale si collocano i singoli argomenti trattati. La medesima linea caratterizzerà un volume di prossima edizione in cui saranno trattate alcune tematiche fra le quali, in particolare, quella relativa ai cognomi sardi di origine corsa. Attenzione sarà riservata anche all’influsso esercitato sul corso da parte del sardo e delle lingue iberiche (catalano e castigliano) durante i quattro secoli della dominazione spagnola.
La sintesi in cui verranno convogliati i singoli contributi terrà conto di tutte queste problematiche nel contesto di un quadro coerente ed esaustivo, naturalmente nei limiti consentiti dalla documentazione finora disponibile.
La scelta di divulgare questi studi non su riviste specialistiche ma attraverso un volume va nella direzione di rendere possibile la consultazione a un numero più elevato di lettori, oltre che al segmento rappresentato dagli studiosi e dai cultori. Tutto ciò può contribuire, come si auspica, a stimolare l’interesse e la discussione sulle tematiche che vengono proposte.
Ringrazio la Studium A.d.f. e l’amico prof. Angelino Tedde per avermi offerto questa opportunità.
L’occasione è propizia per rivolgere un ringraziamento ai proff. Massimo Pittau e Giulio Paulis per gli ambiti suggerimenti di cui mi hanno gratificato.
Sassari, dicembre 1999
L’Autore
Capitolo 1
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Scritto da carlo moretti
Il prossimo martedì 20 settembre alle 19.00, presso l’aula consiliare, è in calendario a Chiaramonti la presentazione del libro dal titolo: “RACCONTANDO RITI“; in questa pubblicazione sono raccolte circa seicento testimonianze orali apprese dagli anziani di oltre venti paesi della provincia di Sassari.
Un dono della “Biblioteca di Sardegna” e la provincia di Sassari, con la collaborazione del Comune di Chiaramonti, al quale interverrà Azzurra Solinas curatrice della sezione dedicata a Chiaramonti.
Per non perdere un patrimonio che è la memoria dei nostri padri, siamo invitati a partecipare numerosi alla presentazione di questo memoriale, molto importante non solo per noi, ma anche per i posteri che avranno modo di consultarlo nelle nostre biblioteche casalinghe.