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Archivio della categoria ‘Utilità comune’

Ricordati domenica scorsa quattro minatori morti nelle miniere d’oro a Pestarena di Macugnaga. Tre di loro erano sardi.

Scritto da carlo moretti

Si è celebrato domenica scorsa, il cinquantesimo anniversario dell’incidente accaduto il 13 febbraio del 1961, nelle miniere d’oro di Pestarena in Valle Anzasca, provincia del Verbano Cusio Ossola a quattro minatori che persero la vita in un’esplosione mentre preparavano nelle viscere del Monte Rosa le cariche che avrebbe consentito l’avvanzare dei cunicoli sotterranei. I minatori erano un Bergamasco, Giovanni Offredi nato a Taleggio (BG) il 31.12.1908 e tre sardi, Salvatore Puddu nato a Seui (NU) il 29.01.1940, Antonio Argiolas nato a Villanovatulo (CA) il 04.07.1937 e Vito Utzeri nato a Muravera (CA) il 13.12.1902.

Negli anni bellici della Seconda Guerra Mondiale, le miniere di Pestarena garantirono a molti uomini l’esonero della chiamata alle armi, in cambio del lavoro nelle viscere del Monte Rosa. Dopo la fine della Grande Guerra e prima del boom economico di quegli anni, il lavoro nelle miniere d’oro della Valle Anzasca attirava numerosi lavoratori da diverse regioni d’Italia. Sono lunghe le liste dei cavatori, Veneti, Siciliani, Piemontesi e Sardi. Tutti lasciavano terra natia e affetti, per cercare pane e lavoro, così anche molti minatori del Sulcis-Iglesiente, furono costretti ad emigrare perchè le miniere di carbone in Sardegna chiudevano.

Pestarena arrivò a contare molte centinaia di lavoratori, tanti si erano portati dietro anche la famiglia, altri se la sono fatta nel posto. Era un centro industriale di prim’ordine. Un paese dove oltre al pane si assaporava la polvere della miniera, altro flagello che ha quasi cancellato una generazione di uomini che non superavano i 40 anni per via della silicosi. Tutta gente umile e spesso povera. Onesti lavoratori arrivati lassu e catapultati nella pancia del Monte Rosa.

L’incidente del 13 febbraio 1961 fù il pretesto definitivo per l’Ammi, Azienda Statale che faceva capo al Ministero dell’Industria e al Ministero delle partecipazioni statali, per chiudere le miniere d’oro di Pestarena, decretando la disperazione di molte famiglie che di colpo si ritrovarono senza lavoro. Eppure, vecchi minatori e i carotaggi effettuati durante gli ultimi anni di apertura da parte di tecnici sudafricani, affermarono che l’oro c’è ancora ed è in quantità rilevante, ma è giù nelle profondità della terra dove il paese affonda le sue radici.

Cinquant’anni dopo l’incidente, per “non dimenticare Pestarena” l’Associazione “Figli della miniera” ha organizzato una giornata in memoria dei minatori deceduti nell’incidente al Ribasso Morghen di Campioli. Alle 14:30, il parroco don Maurizio Medali ha celebrato la Santa Messa animata dal “Coro de Tzaramonte“, poi dopo una breve preghiera nel “cimitero del ricordo“, nella piazza si è officiata la benedizione e lo scoprimento di una targa commemorativa, alla presenza di Giovanna Boldini, sindaco di Macugnaga, Livio Tabachi, sindaco di Ceppo Morelli e l’On. Valter Zanetta.

Al pomeriggio commemorativo hanno partecipato il Coro de Tzaramonte, eseguendo durante la funzione religiosa i canti tradizionali e successivamente nella piazza alcuni canti di repertorio tradizionale sardo, omaggio ai caduti in miniera voluto dal presidente del circolo sardo “Costantino Nivola” di Domodossola.  Ha presenziato alla cerimonia anche la Banda Musicale di Ceppo Morelli.

Nel link seguente è possibile vedere un documentario che riporta come veniva eseguita l’estrazione delle piriti aurifere e dell’oro di Pestarena:

http://www.vcoazzurranews.tv/index.php?option=com_hwdvideoshare&task=viewvideo&Itemid=669&video_id=341

Per dovere di cronaca voglio anche trascrivere la bella poesia scritta dal poeta Valerio B. Cantamessi eclusivamente per i “figli della miniera” per Pestarena e la sua gente:

Il canto della Madre Terra (Pestarena)

Madre,
quel triste tuo canto
sorvola gli immobili abeti
avvolge e ghermisce ogni cosa
rimbomba oltre i picchi del Rosa
quassù, tra i compagni quieti
sui visi trafitti dal pianto

scolora le lacrime asciutte
condanna la vita stroncata
trafigge la persa fortuna.
Appesi alle falci di luna
guardiamo la valle dorata,
noi vite che furon distrutte

noi visi anneriti, la schiena
piegata, contorra alla terrra
violata da mani spezzate
non pace, non voli di fate
coi picchi e le pale la guerra
facemmo alla tua Pestanera.

Ma Madre,
nel buio silente
se mai tu potrai perdonare
l’averti in profondo trafitta
se infine alla nostra sconfitta
vorrai con dolcezza ridare
l’orgoglio dell’umile gente

allora le note contorte
del canto che avvolge ogni cosa
saranno armonia della vita
chèmai noi ti abbiamo tradita
ma ancor tra le braccia del Rosa
cantiamo il tuo canto di morte.

Valerio B. Cantamessi

Presupposti allo studio del carnevale sardo (1956) di Francesco Alziator

Scritto da carlo moretti

Dal punto di vista del nome del carnevale l’isola ci appare divisa – la divisione è naturalmente assai approssimativa – in cinque zone:

1) quella vastissima del Carnovali, che comprende tutta la parte meridionale, s’arresta intorno ai confini dell’Ogliastra, del Sarcidano ed agli estremi limiti dell’Arborea nella zona delle grandi lagune oristanesi;

2) la piccola zona orientale del Maimone accentrata nell’Ogliastra;

3) quella centrale, di non maggiore estensione, del Coli-coli della Barbagia;

4) quella occidentale, più vasta, del Carrasegare che dal Mandrolisai sale alla Campeda;

5) quella di grandissima estensione di Giorgio che dalle prime propaggini del Meilogu sale per tutto il resto dell’Isola, tutto abbracciando dal mare di Bosa alla Gallura, dalla Nurra al Logudoro e diffondendosi per pianori, valli, montagne e lidi.

Sono estremamente palesi le origini dei nomi Carnevale e Carrasegare, né alcun dubbio che il sostantivo Maimone significhi un essere demoniaco. Oscura, almeno per ora, appare l’etimologia di Coli-coli, né son del tutto chiare le ragioni del nome Giorgio. E’ assai probabile tuttavia che esso abbia origini bizantine e si ricolleghi al culto del santo guerriero la cui tomba, sulla via di Gerusalemme, era particolarmente venerata sin dal periodo nel quale l’Isola era sotto l’impero d’Oriente.

Ricorderemo che anche in Corinzia compare, tra gli Slavi di quella regione, un «verde Giorgio», un ragazzo rivestito di fronde che, in occasione della festività del Santo (23 Aprile), vien buttato in acqua per propiziare le piogge. Particolare della massima importanza e che, assai spesso, il «verde Giorgio» è un fantoccio che al momento del lancio in acqua sostituisce il giovane.

Aggiungerò che a Villanova-Monteleone ed altrove, in provincia di Sassari, Giolgi muore annegato.

Vi sono poi alcuni paesi che non si allineano con gli altri nella denominazione del fantoccio. Barumini lo chiama Papi Pata; Isili usava s’urdi de s’antrecoru; a Desulo è detto Zidicosu; a Mamoiada Mardis Sero, espressione assai chiara in quanto vale sera del martedì, cioè del martedì di Carnevale, e Dorgali ha Radjolu, parente stretto del Lardajolu cagliaritano e campidanese (giobia de Lardajolu = giovedì grasso).

Il processo e la condanna a morte sono variamente eseguiti, anzi, per essere esatti, diremo che il processo resiste sempre meno al volgere degli anni e così avviene del testamento del moribondo, mentre diffusissima e tenace è l’esecuzione della sentenza di morte del Carnevale che tuttora sopravvive nella stessa capitale sarda. Al rogo che è l’esecuzione più comune s’aggiungono talvolta i petardi, celati dentro il fantoccio. Inutile ricordare che i petardi sono sempre gli eredi di più antiche forme di allontanamento degli spiriti.

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Il castello di Chiaramonti: la Topografia – di Gianluigi Marras

Scritto da Gianluigi Marras

(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale e sulle notazioni per accedere subito alle note)

Analisi topografica

L’area da me analizzata mediante ricognizione archeologica è nota nella cartografia catastale come San Matteo[1], ma viene chiamato popolarmente Monte e’cheja, ovvero “monte della chiesa”. La toponomastica riporta dunque memoria dell’antica parrocchiale di San Matteo, traslata poi nell’attuale sede nel 1888[2], e non serba traccia dell’antico castrum.

Effettivamente la prima ubicazione del castello nel sito è quella dell’Angius, seguito poi dal La Marmora e quindi dagli altri studiosi di storia sarda, nella prima metà dell’800. Ancora il Mamely de Olmedilla, nella sua Relazione del 1769[3] (scritta l’anno prima), descrive la parrocchiale[4], “…grande e non brutta né in cattivo stato…[5]; ci dice inoltreche la pianura dove è situata in passato doveva essere popolata, “…secondo quanto indicano le fondamenta di abitazioni[6]” senza però far menzione di eventuali torri o apprestamenti militari.

L’Angius[7] è invece il primo che identifica il sito della chiesa parrocchiale con l’ubicazione dell’antico castello. Al momento in cui scrive “…sta ancora tutta intera una torre, perché fattasi servire a campanile; sono di un’altra visibili alcune parti, ed è qualche vestigio delle mura, tra le quali la cisterna scavata nella roccia…”[8]. Il generale Della Marmora, che visitò il paese nel 1834[9],  riteneva invece che della costruzione militare non restasse traccia e che sul suo perimetro fosse sorta la chiesa[10].

Descrizione geografica

La collina di Monte e’cheja è una delle tre alture su cui insiste il centro urbano di Chiaramonti, più precisamente quella posta a nord-est, di fronte alla collina denominata Cunventu a nord-ovest e a quella di Codina Rasa, sud-est. Tutto il massiccio è posto a strapiombo verso la fertile vallata interna dell’Anglona ad est (dove sorgono gli attuali centri di Martis, Laerru e Perfugas) e la vallata del Rio Iscanneddu a nord e nord-ovest (nella zona è vitale attualmente solo il villaggio di Nulvi, ma nel Medioevo vi si contavano molti insediamenti civili e monastici), mentre degrada più dolcemente verso sud. Storicamente il centro di Chiaramonti rimase isolato dalle vie di comunicazione fino agli anni settanta dell’ottocento, quando venne costruita la strada statale da Ozieri e Castelsardo[11], che ancora lo attraversa.

L’area sottoposta all’analisi è costituita dal tavolato calcareo in cima a Monte e’cheja, posta alla quota di 467 m s.l.m.. I versanti si presentano piuttosto ripidi in tutte le direzioni: solo a sud-ovest c’è la possibilità di un’ascesa, mentre ad ovest, sud, nord e nord-est si nota la presenza di pareti rocciose verticali di varia estensione. Specialmente il versante ovest è costituito da un fronte roccioso alto circa 10 m, di quasi impossibile percorrenza, soprattutto nei mesi invernali.

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Chiaramontesi avanzano negli studi accademici e nelle carriere di Angelino Tedde

Scritto da angelino tedde

Lidia Schintu, dopo aver conseguito due anni fa la Laurea breve triennale in Archeologia fenicio-punica, ha conseguito oggi, dopo due anni di studio intenso, la Laurea Magistrale, discutendo brillantemente davanti alla commissione di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia  dell’Università degli Studi di Sassari, presieduta dal prof. Bartoloni,  la tesi su “La ceramica fenicio-punica in Sardegna”.

La commissione, visto il curriculum di studio e la novità della sua ricerca,  le ha conferito 110 e lode su 110 dichiarando il suo lavoro degno di pubblicazione.

Il nostro paese, sempre ricco di graduati e al terzo posto, fra tutti i paesi dell’Anglona  per numero di graduati dal 1767 al 1873, pur non avendo una collegiata come Nulvi e Castelsardo, oggi può vantarsi di aver acquisito anche un archeologo esperto in Archeologia Fenicio-Punica, che segue a ruota l’archeologo Gianluigi Marras, esperto in Archeologia Medioevale.

Ci auguriamo di avere l’opportunità, in altro momento, di intrattenerci sul prezioso lavoro di Lidia Schintu.

Ora, a parte Mario Unali, cultore enciclopedico di storia e antichità varie, ci manca  un archeologo sia del periodo delle domus de janas sia dell’epoca nuragica e se vogliamo essere al completo delle antichità romane.

A detta del Taramelli, il nostro territorio è una miniera in proposito.

Apertura iscrizioni Scuola Civica di Musica “Sonos”

Scritto da carlo moretti

COMUNE DI CHIARAMONTI

Provincia di Sassari

Via F.lli Cervi n. 1 C.A.P.07030
-Tel 079/569595-569630 Fax 079/569631
E.mail ssociali@tiscalinet.it

Assessorato ai Servizi Sociali

Avviso apertura iscrizioni

SCUOLA CIVICA DI MUSICA “SONOS”

Il Sindaco rende noto che anche per l’anno scolastico 2010/2011 saranno attivati i corsi della Scuola Civica di Musica “Sonos”.

Nel particolare saranno attivate le seguenti classi di insegnamento:

Arpa , Basso Moderno , Batteria , Canto , Canto Moderno , Canto Corale , Chitarra , Chitarra Moderna , Musica Tradizionale della Sardegna , Musica di Insieme tradizionale della Sardegna , Pianoforte , Piano Moderno , Propedeutica , Sax , Teoria e Solfeggio , Tastiere , Violino.

Al fine di poter istituire ogni singola classe di insegnamento è necessario che vi sia un numero minimo di 3 allievi interessato alla frequenza della medesima disciplina.

La quota di iscrizione ad ogni singola classe di insegnamento è fissata in € 100,00 per alunno , tale somma dovrà essere versata al momento d’iscrizione sul :

CPP Postale N°11065075 – intestato a: Comune di Chiaramonti – Servizio Tesoreria
Causale – Iscrizione Scuola Civica di Musica Sonos A.S. 2010/2011, con la precisa indicazione della classe di insegnamento che si intende frequentare ;

Le lezioni avranno inizio il giorno 3 dicembre 2010 alle ore 18:00 presso i locali del Centro Sociale di via Brigata Sassari;

I Moduli di iscrizione potranno essere ritirati presso la bacheca situata all’esterno dell’Ufficio Servizi Sociali del Comune di Chiaramonti, e dovranno essere riconsegnati entro il 30 NOVEMBRE 2010 all’Ufficio Servizi Sociali dello stesso comune, completi della ricevuta di versamento relativa all’iscrizione, che altrimenti non potrà essere presa in considerazione.

IL SINDACO

Giancarlo Cossu

I moduli del Bando e la relativa domanda per la partecipazione possono essere scaricati dalla seguente pagina : http://www.comune.chiaramonti.ss.it/?modulo=contenuti&id=78

Gavino Loche in concerto al Birdland Jazz Club di Sassari per presentare il nuovo disco: Where was I?

Scritto da carlo moretti

Abbiamo parlato altre volte di Gavino Loche, strepitoso chitarrista di origini chiaramontesi, ma oggi lo facciamo con una vena artistica e musicale, trepidanti per il nuovo disco “Where was I?”, che sarà presentato per la prima volta sabato prossimo presso i locali di una delle scuole di musica più prestigiose di Sassari, la Birdland Music Club.

Come risaputo dai titoli dei giornali locali Gavino è stato eletto miglior chitarrista emergente dell’anno (2010) alla “Convention Annuale dell’ A.D.G.P.A. (Atkins-Dadi Guitar Players Association Italy)” , tenutasi nel giugno scorso da una giuria di esperti del calibro di John Doan (USA), Raynner Falk (Austria), François Sciortino (Francia).
E’ stato selezionato inoltre a partecipare come unico rappresentante italiano alla “Rassegna Mondiale della Chitarra” di Issoudun, in Francia (Ottobre 2010) dalla quale è rientrato proprio in questi giorni.
Vincitore del “Concorso Italiano Chitarre 2010”.
Ha inciso nel passato altri quattro dischi: “Music&Colors Lounge Compilation vol. 1-2-3” per la “Volare airlines”, “L’ombra dell’albero” per la “Federighi editori”. Ha composto altresì la colonna sonora dello spot televisivo “Pubblicità progresso (2008)” trasmessa sulle reti Mediaset.

Siamo tutti invitati, naturalmente chi volesse, sabato 6 novembre alla presentazione del nuovo disco “Where was I?” presso i locali del “Birland Jazz Club” a Sassari località Predda Niedda Strada 22 nei pressi  di “La Piazzetta”, prenotazioni al 320/8111019.

Il Castello di Chiaramonti di Gianluigi Marras

Scritto da ztaramonte

(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale e sulle notazioni per accedere subito alle note)

Gianluigi Marras è il primo archeologo medievista, nativo  di Chiaramonti, del quale abbiamo avuto modo di parlare in altra occasione. Con questo contributo e con gli altri che seguiranno ci svelerà la storia del Castello. Lo ringraziamo calorosamente per la sua collaborazione.

Introduzione

Il castello di Chiaramonti è da sempre noto agli storici sardi, che tuttavia hanno generalmente fornito solo laconiche informazioni sulla sua storia ed evoluzione nello scorrere del tempo, sulla sua ubicazione e sulle eventuali strutture materiale superstiti. La vulgata ha in particolare tramandato le notizie di un castello appartenuto dapprima ai Malaspina, poi ai Doria (Matteo, Brancaleone e Niccolò), la cui torre è stata poi riutilizzata come campanile della parrocchiale del centro di Chiaramonti.

La mia ricerca[1] parte da queste basi per cercare di fare il punto sulla storia, le strutture materiali e l’evoluzione del castello di Chiaramonti, partendo dall’analisi delle fonti archeologiche, e prima di tutto dagli imponenti ruderi della chiesa di San Matteo, e dalla raccolta delle fonti documentarie edite. Naturalmente non si ci si è posti limiti documentando ogni tipo di emergenza presente nel sito e ogni reperto, a prescindere dalla loro cronologia e funzione. Riteniamo infatti che solo procedendo con un approccio scevro di pregiudiziali si possano raccogliere tutti i dati concernenti un sito, per poterne poi ricucire la storia.

Lo studio dei castelli medievali della Sardegna, e in particolare riferimento alla situazione del Regno di Torres[2], è stato spesso condotto con criteri e metodi non troppo scientifici e risente inoltre della mancata ricaduta del dibattito nazionale e internazionale, avviato dalle tesi del Toubert negli anni 70′ e i cui frutti, a livello archeologico, sono giunti dalla fine degli anni 80′, con un alto grado di raffinatezza specialmente per i contesti liguri, laziali e toscani.

Poco interesse ha infatti finora suscitato il tema dell’incastellamento, ovvero delle ricadute della fondazione dei castelli sull’insediamento preesistente, e pochi i contesti studiati, sia dal punto di vista storico che archeologico; da ricordare comunque le analisi storiche e archeologiche effettuate nei castelli di Bosa, Monteleone Roccadoria, Ardara e Castelsardo da parte dell’èquipe del prof. Milanese e gli approfondimenti della documentazione specialmente aragonese effettuata negli ultimi anni da Angelo Castellaccio, Giuseppe Meloni, Giuseppe Spiga, Alessandro Soddu e Franco Campus, che hanno mostrato come possa essere ancora fruttuosa la ricerca negli archivi iberici.

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