12
feb
2010
12
feb
2010
5
feb
2010
Riparte domani l’ormai tradizionale carnevale chiaramontese, con la favata offerta dall’Associazione Pro Loco di Chiaramonti nei locali della ex scuola media a Cudinarasa. Seguiranno successivamente, come potrete consultare dall’immagine allegata all’articolo (per chi volesse potrà ingrandirla cliccandoci sopra), altre tre giornate di divertimento assicurato, come il ballo mascherato dei bambini sabato 13 febbraio e le sfilate dei carri allegorici domenica 14 e martedì 16 febbraio.
Buon divertimento a tutti!!
4
feb
2010
Non abbiamo sotto gli occhi tutti i testamenti rogati a Chiaramonti nell’Ottocento, perché da quanto sta emergendo dalla loro lettura, sicuramente il testamento poteva essere consegnato, non solo al notaio del luogo di residenza, ma anche ad altro notaio e così per gli atti di compravendita e di altro tipo. In caso di malattia di questo e di un supplente notaio, come abbiamo già visto, poteva accogliere il testamento, nel rispetto dello stesso schema misto religioso e civile ad un tempo, lo stesso vicario parrocchiale.
Tutti i sudditi di Sua Maestà non potevano essere se non credenti per cui non si facevano problemi. L’alleanza fra il Trono e l’Altare funzionava talmente in sintonia che all’ora della Messa Grande o Alta, la domenica venivano chiuse, per ordine del Re, le stesse bettole. Chi poi non si recava a compiere il precetto domenicale veniva segnalato nel Registro dello Stato delle anime come inadempiente.
Per i ragazzi delle scuole normali e per gli stessi precettori benché religiosi vigevano gli obblighi mensili della Confessione e il conseguente accostamento alla Comunione e negli stessi giorni di scuola c’era l’obbligo della presenza alla Santa Messa. In genere si facevano due ore e mezzo di lezione la mattina e altrettanto il pomeriggio. Alla fine delle lezioni il precettore aveva l’ordine di far recitare l’Ufficio della Beata Vergine Maria.
Per non parlare dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Per coloro che non frequentavano la scuola c’era il parroco o uno dei suoi coadiutori o come a Ploaghe le Maestre della Dottrina Cristiana per il catechismo ai fanciulli.
A Chiaramonti i preti non mancavano, oltre al vicario parrocchiale Satta e al suo vice Cabresu, in paese erano presenti i sacerdoti Matteo Caccioni, Pietro Vincenzo Tedde, Bachisio Usai, l’ex presbitero carmelitano, oriundo bosano, Salvatore Masala, i tre carmelitani del Convento del Carmine. Per i chiaramontesi i curatori delle loro anime erano numerosi. Del resto come abbiamo visto, solo nel centro abitato c’erano due oratori (Santa Croce e Rosario) senza contare le chiese campestri di Santa Maria de Aidos, di Santa Maria Maddalena presso Orria Pitzinna e di Santa Giusta.
26
gen
2010
Premessa
Nel 1827, nella Comune di Chiaramonti, come in tutti gli altri quasi 300 villaggi della Sardegna, la vita si svolgeva soprattutto intorno al campanile di San Matteo al Monte verso cui le strade principali del paese tendevano a convergere, quali i carruggi, chiamati con vario nome: carruzzu longu, carruzzu ‘e ballas, carrela longa, piatta, carrela de su putu. Qualche sentiero campestre convergeva verso il Cunventu de sos Padres de su Carmine, detto appunto Caminu de Cunventu; altro carruggio saliva al contrario verso s’Oratoriu de su Rosariu, mentre dalla Piatta si scendeva verso s’Oratoriu de Santa Rughe e quindi a s’istradone che pericolosamente, a forma di serpente, da sa Rughe costeggiava la vasta e profonda conca, o depressione, di Putugonzu fino agli spuntoni di roccia alla periferia dell’allora centro abitato e poi proseguiva pericolosamente come sterrata lungo il pendio del monte per confluire nella sterrata prediale per Martis, passando per Erva Nana.
A sa Niera si stagliava superba, rispetto alle poche case basse adiacenti, quella che era stata il palazzo della nobile e grande possidente, mezzo chiaramontese e mezzo nulvese, donna Lucia Delitala Tedde, passato nelle mani agli oriundi ozieresi nobili Grixoni. Più a valle, a non molti metri di distanza dal palazzo Grixoni, si stagliava il palazzo dei possidenti Migaleddu che più tardi, con l’alleanza matrimoniale con un maresciallo dei carabinieri toscano, costituiranno la fortuna dei Rottigni, promotori come si sa della modernizzazione del villaggio tra Otto e Novecento. I beni di donna Lucia, valutati in 10 mila scudi, nel 1760 (probabile anno della sua morte violenta) erano stati devoluti, secondo testamento, dalla nobildonna, grazie all’assistenza spirituale di un gesuita, dopo l’esilio a Villafranca di Piemonte, al collegio gesuitico di Ozieri. I resti del patrimonio, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, amministrati da una commissione apposita ozierese, che li dissiperà, giungeranno alla mensa vescovile di Sassari e successivamente, questi resti dei resti, verranno devoluti alla costruzione dell’attuale Chiesa di San Matteo e della Santa Croce nell’area di sedime dell’abbattuto omonimo oratorio.
E probabile che sempre da Ozieri, all’epoca, fossero già insediati in paese, i Madau, quella che dalla seconda metà dell’Ottocento diverrà la più locupleta famiglia del villaggio, grazie all’apparentamento con i doviziosi Ruiu come documenterà il più ricco testamento dell’intero Ottocento tra gli atti rogati a Chiaramonti.
Nell’anno di cui esaminiamo gli atti vediamo agitarsi negli affari i Falchi e un certo Pietro Canu, benché in prima fila siano sempre membri del clero, seconda classe sociale privilegiata dopo in nobili, ma prima per dignità e per influenza carismatica sulle singole famiglie il cui ciclo della vita girava e sostava nella parrocchiale. D’altra parte il vicario e i suoi preti e i religiosi carmelitani coadiutori venivano utilizzati dal governo regio a molteplici funzioni civili che la pletorica assemblea comunicativa e i tre consiglieri col sindaco non erano in grado di svolgere.
10
gen
2010
Come promesso nel nostro articolo di circa 2 mesi fa:
http://www.ztaramonte.it/word/2009/11/ringraziamo-gli-amici-di-domodossola-per-lospitalita-ricevuta/
ai nostri amici di Domodossola, dove siamo stati ospiti il 7 e l’8 novembre scorso, abbiamo finalmente pubblicato una slide-show della due giornate, per accedervi cliccate sul link o sulla foto qui sotto.
Buona visione!
7
gen
2010
Dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo (1814), i sovrani europei avevano imposto, con fini strategie, la restaurazione del potere assoluto e l’alleanza fra il Trono e l’Altare.
Un’altra Europa sotterranea però covava come il fuoco sotto la cenere: massoni, carbonari e altre società segrete oltre che giovani pensatori del livello di Giuseppe Mazzini (Genova 1805-Pisa 1872) e giovani combattenti per la libertà come Giuseppe Garibaldi ( Nizza,1807- Isola di Caprera 1882) allo scopo di rovesciare i sovrani dai troni e imporre la democrazia sperimentata durante la rivoluzione francese.
L’Italia era divisa in 7 Stati: Regno di Sardegna (gli Stati dei Savoia), Regno lombardo Veneto (Austria), Ducato di Parma e Piacenza (Maria Luisa d’Austria, moglie di Napoleone) Ducato di Modena e Reggio(Asburgo d’Este), Granducato di Toscana (Asburgo Lorena), Stato della Chiesa (Pio VII), Regno delle Due Sicilie (Ferdinando I di Borbone). Da questa divisione dell’Italia erano passati 11 anni.
I Savoia, che già possedevano il Ducato di Savoia, il Principato del Piemonte, la Contea di Nizza, il Genovesato, dal momento in cui erano diventati re di Sardegna (1720), continuavano a governarla per mezzo di vicerè che si avvicendavano di triennio in triennio con residenza Cagliari. Tra i più noti e attivi viceré, dal 1735 al 1738, si era contraddistinto, per la sua determinazione repressiva Carlo Amedeo Battista Marchese di San Martino, d’Aglié e di Rivarolo, già severo comandante delle sabaude galere. Non se ne stette a dare ordini da Cagliari, ma a capo di un discreto contingente militare, visitò i villaggi più turbolenti dell’Isola, gettò nelle carceri ben 3000 pregiudicati, ne fece impiccare con rituali efferati 400 ed esiliò anche gl’intoccabili nobili divisi tra fautori della Spagna, dell’Austria e nuovi fautori del Piemonte. Le visite ai paesi dell’Anglona e della Gallura lo videro severo nei confronti dei capifazione di Nulvi e di Chiaramonti (i Tedde e Delitala) che mandò al confino per un biennio. Più tardi ci volle l’opera missionaria del gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo dei Conti di Castiglione che abbandonato l’insegnamento universitario a Cagliari si diede a predicare la parola di Dio tutti i villaggi della Sardegna e a promuovere le paci tra famiglie rivali, tra le quali i Tedde e i Delitala di Chiaramonti e Nulvi, e altre della Gallura. Tra l’altro compose un catechismo e dei gosos ai santi patroni in sardo logudorese. Chiudiamo, per ora, questa finestra sul Settecento e torniamo all’Ottocento a cui si riferiscono gli atti notarili
Il primo secolo del dominio sabaudo
Nel corso di oltre cento anni (1720 -1826). i sovrani sabaudi avevano provveduto ad imporre un maggior ordine nel bilancio del regno; a vigilare sugli arbitri di oltre 300 feudatari sardi e spagnoli (assenti questi ultimi, ma rappresentati da appositi podatari); a restaurare le università di Cagliari e di Sassari, (1760-65), chiamandovi ad insegnare illustri studiosi di Terrafema; a restaurare le scuole inferiori (Umanità e Retorica), istituendo 7 classi che andavano dalla VII alla I , definibili classi boginiane); ad imporre l’uso dell’italiano sia nelle scuole accessibili dei collegi religiosi sia negli atti pubblici ed ecclesiastici; ad emanare l’editto delle chiudende per lo sviluppo dell’agricoltura, che appariva ai sovrani illuminati un modello economico più adatto alla “felicità dei sudditi” rispetto al modello scarsamente produttivo del pascolo brado; ad istituire, per la prima volta, nel 1823, le scuole normali triennali (elementari ante litteram) per insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, la dottrina cristiana e il catechismo agrario ai ragazzi, allo scopo di dare a tutti i giovani sudditi un minimo di istruzione, e offrire ai talentuosi meritevoli, l’opportunità di proseguire gli studi medi e l’eventuale conseguimento di uno, di due, di tre o dei quattro gradi universitari (il triennale magisteriato, il biennale baccellierato, l’anno di licenza e, da ultimo, il curriculum massimo della laurea). In pratica le università sarde sfornarono maestri d’arte, bacellieri, licenziati, laureati nei tre corsi universitari esistenti: il più ambito Teologia, al secondo posto Leggi e al terzo Medicina, la cenerentola fra le tre lauree perché di scarse occasioni di carriera e di rimunerazione. Dopo quest’altra finestrella, torniamo alle neonate scuole normali, dette in piemonte comunali, nel Genovesato elementari, nome che poi, nel 1841, Carlo Alberto imporrà nei citati suoi 5 Stati, amministrati secondo le leggi proprie di ognuno, contrariamanete a quel che in genere si pensa, e purtroppo, alcuni storici distratti e improvvisati si scrivono.
Queste prime vere scuole popolari pubbliche, (anticipate dalle informali scolette parrocchiali con pochi privilegiati alunni), (catechismo e grammatica), furono messe a carico della Comunità, sotto la provvidenza del sindaco per i locali e le attrezzature e la sovrintendenza didattica e morale del parroco, per la vigilanza sui precettori che in genere erano i viceparroci o, se c’erano dei religiosi, questi ultimi. Solo in mancanza di sacerdoti, in poche piccole comunità, si ricorreva a scrivani, a segretari comunitativi, a chirurghi e altri graduati all’università. Le spese del funzionamento erano a carico della Comune o Comunità, costituite da assemblee comunitative e da tre consiglieri che coadiuvavano il sindaco (1791) nella propria casa, un abbozzo ancora grezzo e informe di quello che più tardi diventerà il Comune autentico (1848), l’unica istituzione paragonabile a quella attuale.
Per le spese delle scuole, se non c’erano lasciti, si affittava un terreno comunitativo e dal ricavato si pagavano le spese per i locali, per il precettore e per le attrezzature.
Torniamo però al 1826. Le campagne del territorio chiaramontese continuavano ad essere chiuse con i muri a secco e naturalmente chi più si poteva allargare si allargava, anche se non più di tanto, perché c’erano ancora i latifondi del feudatario spagnolo. Con la chiusure si rendeva più difficoltoso per la Comunità il diritto di legnatico, di acqua, di raccolta delle ghiande e altri prodotti per continuare a praticare “l’economia del maiale” come la chiamano gli studiosi. Per le semine c’erano ancora gli ademprivi, vale a dire sos padros, che gli abitanti utilizzavano con semine a rotazione e con disaffezione, per il frumento necessario per la sussistenza degli abitanti del borgo ai quali veniva dato in uso un appezzamento di terreno.
22
ott
2009
Ha riaperto stamattina la scuola dei piccoli cittadini, futuro del nostro paese.
Dopo una breve trasferta presso il plesso di Martis, che ha ospitato per circa un mese i nostri bambini, i locali della Scuola Materna di Chiaramonti, dopo gli urgenti lavori di ristrutturazione e di adeguamenti per la sicurezza in ambienti pubblici, tornano a funzionare regolarmente grazie anche alla tempestività dei lavori svolti nei tempi previsti. Arriveranno a regime lunedì 26, quando riaprirà il servizio di mensa scolastica.
I bambini erano felici di tornare nel loro ambiente, per loro naturale ritrovo giornaliero che gli aiuta ad imparare attraverso il gioco i primi rudimenti scolastici prima del grande salto verso la Scuola Primaria.
Ad attenderli oltre le maestre anche il sindaco Giancarlo Cossu con alcuni assessori comunali e il dirigente scolastico dell’Istit. Comprensivo di Nulvi, Dott.ssa M.P. Teresa Useri.
Auguriamo ai nostri bambini un buon proseguimento per l’anno scolastico in corso.
Cliccando qui è possibile vedere una piccola slide-show dei momenti più significativi.