Scritto da ztaramonte
È documentato che dall’alto al tardo medioevo l’isola era popolata da numerosissime ville (chi sostiene 745 e chi oltre mille) che tra il secolo XIII e XIV furono abbandonate o quantomeno persero le caratteristiche abitative precedenti per diventare veri e propri villaggi di epoca moderna con un maggior numero di abitanti, ma assai ridotte rispetto alle ville medievali (circa 290/300).
Le ville in genere potevano avere da dieci a cento fuochi fiscali e da 40 a 400 abitanti che pagavano le tasse.
La nostra Orria Pithinna era una di queste ville identificata dall’équipe di Marco Milanese nelle tanche che guardano il fianco ovest di Santa Maria Maddalena e che degradano da Monte Columba. Presso la villa scorreva il rio Iscanneddu secondo gli storici, probabilmente dotato di un mulino ad acqua.
Il villaggio era situato in un crocevia di strade che conducevano a Tatari e a Piaghe a Oesteana de monte (Osilo) a Nugulbi e poi verso Ampurias e Coghinas. Diciamo pure che la villa aveva buone a proficue localizzazioni stradali agricole, aziendali, con abbondanza di terreni seminativi, pascolativi e animali e boschi.
A questo si aggiungano uomini e donne liberi e servi di nobili imparentati, con i giudici di Torres.
La villa di Orria Pithinna
Nell’anno del Signore 1135 quasi sicuramente la nostra villa esisteva come ricordava il toponimo, i documenti storici, e confermano oggi le ricerche archeologiche. All’epoca, dall’altra parte della strada, vale a dire sullo spiazzo che contiguo a sos Renalzos, sito della chiesa e non solo, esistevano fattorie, terreni, boschi, animali e uomini liberi e servi della famiglia dei giudici di Torres. Non sappiamo in che rapporti fossero gli abitanti della villa con la famiglia De Thori, ma di certo nel villaggio abitavano servi legati ad essa da vincoli di servitù e quindi di lavoro e uomini liberi capeggiati dal majore de villa e da altri pochi notabili che la governavano. Esisteva anche la chiesetta parrocchiale del villaggio, intestata a san Nicola, in linea con l’area di sedime dove 70 anni più sarà edificato il monastero.
La chiesa era retta dal parroco che di certo non aveva da compilare l’anagrafe parrocchiale non ancora istituita. I servi e liberi nascevano e morivano senza lasciar traccia di sé, a meno che non finissero per svariati motivi negli atti notarili dei condaghi o fossero componenti della famiglia giudicale di Torres.
L’abbondanza di seminativi e pascoli che la valle ampia offriva comprendendo in essa la più ricca e abitata di Orria Manna; la presenza forse di un altro mulino ad acqua più a monte, non molto lontano dall’esistente chiesa di Santa Giusta da cui scaturiva un’abbondante sorgente di acqua, inoltre la collina di sos Renalzos forse piantata a vigna, i boschi più in alto nei pressi de sa Serra e sicuramente nella zona di Nicu, davano agli uomini e alle donne della villa l’opportunità di vivere con una certa agiatezza a patto che si rispettassero le consuetudini.
Una delle tante donne che si recava solitamente a lavare i panni presso il rio, una mattina d’inverno, raccontò alle altre d’aver sentito proprio dalla sorella della protagonista questo fatto
La nascita alla Storia di Orria Pithinna
L’anno del Signore millecentrotrantacinque, forse in una notte di gennaio, a cavallo, percorrendo i tratturi che dall’abbazia di Salvennor, portavano verso Osteana de Montes e Nugulbi, e poi deviavano verso la chiesa di Santa Giusta, Petru de Flumen bussò alla porta della sorella di Maria Pira che abitava nel primo rione della villa di Orria Pithinna.
La donna, sui 50 anni, aprì, riconobbe al lume di stearica il volto stanco e la pancia tondeggiante della sorella. La fece entrare insieme all’accompagnatore, la invitò a sdraiarsi sul letto di legno con materasso di paglia ed esclamò:
- Che ti è successo Maria?
La donna non rispose, ma Petru de Flumen, uomo libero, originario di Villa Alba, anche lui residente a Salvennor, disse:
- Sta per sbocciare il fiore che abbiamo seminato a primavera inoltrata, ma tu sai io sono un uomo libero e la consuetudine impedisce che io la sposi. Credo che fermandoci da te fino al parto potremo poi, in barba al priore di Salvennor, sposarci e vivere serenamente.-
- Incosciente, rispose Giusta, sai bene che i monaci di Savennor non accetteranno di buon grado questo matrimonio, essendo lei di pertinenza del monastero. Potevate evitare queste cose e tu già sei uomo di mondo. Maria è serva della chiesa e i suoi frutti appartengono alla stessa chiesa. Di certo il parroco di Santu Nicolau non benedirà le vostre nozze.
I procuratori di Salvennor in men che non si dica, sapendo che io abito in questa villa, non si faranno attendere anche perché qui è un crocevia di passaggio e dai quattro punti cardinali arriva gente che riferirà dove vi siete rifugiati!-
Una settimana dopo, nacque un maschietto e anche di fronte all’evidenza il parroco di Santu Nicolau non volle sposare i due fuggiaschi.
Nel frattempo Maria allattava il bambino e la sorella la nutriva come la loro condizione permetteva, pentolame molto grezzo, brocche mal rifinite, mestoli di sughero e legna, non mancava una cassapanca per il pane e nicchie scavate nel muro rustico per sistemare la provvista del lardo. Solo la biancheria di lino locale sembrava dare splendore a quella casa.
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Scritto da angelino tedde
Il primo giugno, a Chiaramonti, nella sala consiliare, verrà presentato il quaderno 3 dei villaggi abbandonati della Sardegna, da Angelino Tedde, alla presenza degli autori che interverranno, per meglio illustrare il tema specifico di questo quaderno stampato a Firenze nel c. a, dal titolo Villaggi e monasteri. Orria Pithinna. La chiesa, il villaggio il monastero. Autori sono prof. Marco Milanese, curatore del quaderno e ormai noto archeologo medievista, (Malcu Nostru), i dottori di ricerca Maria Cherchi, Gianluigi Marras (Nostros su matessi), Giuseppe Padua, archeologi medievisti, prof. Mauro Maxia (De totu s’Anglona e Caddura), onomasta, dott. Giuseppe Piras, epigrafista, dott. Alma Casula (Femina Nostra), storica dell’Arte, e direttrice del compendio museale del Canopoleno per conto della soprintendenza,prof. Aldo Sari,storico dell’Arte, prof. Alessandro Soddu-Chiaramonti (a sa castigliana), storico medievista.
Si tratta di un’équipe a livello universitario che ha portato avanti una rigorosa ricerca sul villaggio abbandonato e sulla chiesa e il monastero di Orria Pithinna ubicati in agro di Chiaramonti. Con una metodologia raffinatissima, gli studiosi, hanno fatto parlare le pietre (laterizi, ceramiche, calcare e argilla) non prima d’aver consultato la letteratura sull’argomento. Presumibilmente il villaggio risale al XII secolo mentre il monastero e la contigua chiesa di Santa Maria Maddalena in tempo successivo. La villa non sorse sicuramente per la presenza del monastero, ma esistette probabilmente prima e sicuramente si gestì con chiara indipendenza dai Monaci Camaldolesi di origine Toscana. La presenza di una chiesetta nel villaggio, con un parroco, e il distinto pagamento delle decime, rispetto al monastero, lascerebbero intendere questa ricostruzione dei fatti.
La prima notizia del villaggio di Orria Pithinna è dovuta alla fuga di Maria Pira, serva della Chiesa di Salvennor, presso Codrongianos, e del di lui aspirante marito Padro Flumen di Viddalba. I due amanti si erano rifugiati invano nel piccolo villaggio di Orria Pithinna, per realizzare il loro sogno d’amore. Ma l’amore tra una serva ed un uomo libero non era di facile combinazione. Si precipitò nel villaggio il Procuratore Gasantine de Thori che riacciuffò per conto dei padroni la serva e promise all’aspirante marito una delle figlie. Insomma c’è il tanto da farne un romanzo giallo-rosa. Basta chiedersi come andarono le vicende dei due.
Grazie a questa fuga apprendiamo da un condaghe l’esistenza di Orria Pithinna, fuga benedetta anche se infelice nell’esito.
L’intrattenimento culturale si svolgerà nella sala consiliare del noto villaggio di Chiaramonti dove presumibilmente confluirono, a tappe gli abitanti di Orria Pithinna e di altre ville, quando sul Monte, chiamato dai Doria Claramonte, a quanto pare, per onorare dei nobili consuoceri della famiglia catalana del Claramaunt o Clermont. Gli stessi Doria costruirono il castello (1348-50) e vi s’incastellarono con il loro santo protettore San Matteo apostolo, attirando nei pressi gli abitanti di numerose ville, forse d’origine romana, per dar luogo al riottoso borgo di Chiaramonti che guarda torvo come un’aquila rapace la bella e vasta anglona, per depredarla.
Per fortuna non si vive più di pecore e capre e maiali, altrimenti Chiaramonti sarebbe il paese più dovizioso dell’Anglona, grazie al suo blasono di ladru.
Lasciamo da parte le celie e pensiamo alla produzione scientifica che da al paese di Chiaramonti un prezioso apporto storico di notevole pregio.
La compianta Prof.ssa Ginevra Zanetti che voleva restaurare la Chiesa vendendo cartoline sorriderà sicuramente dal Cielo.
In concomitanza con la presentazione del libro avranno luogo presso il Centro Sociale di Chiaramonti anche le seguenti iniziative:
- h 16:00 Piano superiore, presentazione del Progetto “Impara l’arte”, sezione “Vivere nel medioevo”, progetto didattico delle classi IV e V Elementare e I Media, AS 2011/12, della sezione di Chiaramonti dell’Istituto Comprensivo “Pais Serra” di Nulvi, coordinato da Gianluigi Marras, da Maria Cherchi e Maria Antonietta Solinas. in collaborazione con le insegnanti Bianca Maria Denanni, Pierfranca Pinna e M.A. Arras.
- h 16:45, aula consiliare, proiezione di un filmato realizzato dalla I Media della sezione di Chiaramonti dell’Istituto Comprensivo “Pais Serra” di Nulvi
Ci si riserva di fornire ulteriori informazioni al merito siete tutti invitati a partecipare
Scritto da ange de clermont
Soddisfatte le richieste rituali del pretore di Vulvu, i carabinieri di Miramonti, cinque uomini ormai esperti del territorio, ritennero giunto il momento di riprendere le indagini sull’assassinio dell’archeologo. Si consultarono e concordarono di sentire le persone coinvolte o per bene o per male in quell’atroce delitto. In primo luogo pensarono di convocare il pastore Mudulesu, domiciliato nei pressi del Nuraghe Aspru, con moglie, figli e servi, successivamente sos teracos de pastoria, sos polcalzos, sos teracos dei bovini e, se del caso, anche i pastori dei pressi del rio Filighesos. In seguito avrebbero sentito sos archeologos de su Cabu de Susu dei paesi vicini e da ultimo, a sorpresa, sos archelogos de Miramonti tra i quali, per ultimo, a sorpresa, per tenerlo in ansia, il sospettato Andria Galanu. Nel frattempo due militi avrebbero perlustrato sa Tanca de s’Ena, nei pressi del rio, e la località de su Cànnau. Altri due furono inviati nella vicina zona di Murtis e Laoru, ad intercettare persone che si aggiravano nelle sterrate e nei sentieri campestri. Il piantone Rustico Fanelli e il brigadiere Alessandro Carrigni sarebbero rimasti nella stazione per dare inizio agl’interrogatori.
Ad una settimana dalla sepoltura bussò al portone della Caserma di buon mattino il convocato Giommaria Mudulesu. Il piantone Fanelli gli aprì e, salutatolo, lo accompagnò nell’ufficio del brigadiere, lo fece accomodare e si sedette come testimone per il verbale dell’interrogatorio.
- Sig, Mudulesu – cominciò il brigadiere Carrigni- Mi relazioni come si sono svolti i fatti del ritrovamento del morto ammazzato Antonio Pedde.-
-Brigadie’, però questa chiamata quasi mi offende, proprio a me che vi ho dato la notizia, volete interrogare?-
-Sig. Mudulesu, stia tranquillo, questa è la regola, ma non pensiamo manco lontanamente che ad ucciderlo sia stato lei. Noi però dobbiamo fare il nostro lavoro.-
-Va bene, allora comincio, dunque, compare Antonio, buonanima, il giorno prima, è passato a casa, per salutarci e dare la strenna al figlioccio Luigi. Gli abbiamo offerto un bicchierino di rosolio e un papassino e poi ci ha salutato dicendoci che avrebbe dato uno sguardo alla domus de janas de sa Rocca Ruja presso la valle del rio Filighesos e che in serata sarebbe passato a salutarci, prima di tornare a Miramonti.-
-Oltre a sua moglie e a suo figlio chi c’era in casa sua quando è venuto a trovarla?-
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Scritto da ange de clermont
Il giorno successivo alla perizia medico – legale, tiu Giuannandria Movimentu preparò una bara grezza, per il morto Antonio Pedde e con l’aiuto del becchino Birrocu, alla presenza di un parente inchiodò il coperchio sulla bara. Alle 9 del mattino giunse il vicario dalla parrocchiale preceduto da un corteo di dieci chierichetti, in tonaca rossa e cotta bianca, il più grandicello, portava tutto pomposo la croce di legno nera, mentre dopo il vicario seguivano il prof. don Grixone, il vice vicario don Arica e i due chierici maggiori Lucio Foe e Matteu Pedde. Dietro il clero seguivano la moglie e le due figlie del defunto con le consorelle delle Vergine del Rosario e i confratelli della Santa Croce. Tutti rispondevano ai versi del Miserere intonato dalla stentorea voce di don Grixone.
Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam./ Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me…
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; /nella tua grande bontà cancella il mio peccato./Lavami da tutte le mie colpe,/mondami dal mio peccato…
Davanti al convento carmelitano abbandonato altri miramontani erano in attesa del corteo, disquisendo sul morto, su chi l’avesse eliminato, sul mistero della protòme taurina, sugli altri archeologos sardos di Miramonti, ma soprattutto su Andria Galanu, additato come il sicuro assassino di Antonio Pedde. Tutti concludevano: si detestavano troppo, non può essere che Andria.
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Scritto da ange de clermont
Appena il cielo iniziò a schiarire il pretore di Vulvu col brigadiere e con due militi lasciarono la caserma a cavallo diretti al rio Filighesos presso la domus sulla roccia rossastra per rimuovere il cadavere dell’archeologo miramontano Antonio Pedde, vegliato nella notte da un milite e dal pastore Mudulesu del Nuraghe Aspru. Ci vollero due ore di cammino per raggiungere la località, lanciando di tanto in tanto al trotto i cavalli. Passati davanti alla chiesa di Santa Maria Bambina, detta anche, de Aidos, raggiunto il rio Giunturas, che in altimetria degrada almeno duecento metri da quella del paese, posto a 450 metri sul livello del mare, giunsero a sa Punta de sas Tanchittas e via a spron battuto verso il rio Filighesos.
I due custodi del cadavere si erano svegliati presto e avevano preparato due fascine di cisto su cui legarlo. Il brigadiere, il pretore e il milite, appena raggiunta la domus, diedero l’ordine di calare dalla grotta il cadavere dell’archeologo. Due militi col pastore Mudulesu entrarono nella grotta, sollevarono il cadavere ormai freddo del morto, lo poggiarono sulla fascina di cisto e lo legarono con robuste corde. Farlo uscire da quella porticina non fu facile e poiché il morto era a braccia aperte, chiesero al pretore l’autorizzazione di spezzargli le braccia, per piegarle in forma rituale e trasportarlo fuori della grotta. Mudulesu, il più esperto uscì per primo dalla domus e si ancorò agli spuntoni esterni, così da supportare energicamente la fascina di cisto e orientarla correttamente, mentre i due militi la spingevano fuori, tenendo da un capo all’altro, con due corde, il cadavere e la fascina a mo’ di barella. Il cadavere scivolò così fino a toccare terra dove l’altro milite e il brigadiere la spostarono in modo tale che il pretore potesse osservare il poveretto. Il magistrato notò subito il marchio sulla fronte e al lato destro della tempia abrasioni medie, guardando per i fianchi osservò che l’abito era rotto da una larga fessura attraverso la quale si notava l’effetto d’una stilettata che aveva procurato al morto un’evidente emorragia. Capì subito che l’uomo era stato pugnalato di fianco dall’assassino, steso con un colpo contundente alla tempia e poi marchiato in fronte con il marchio di una protòme taurina arroventata. Volle vedere anche la bisaccia e notò subito i ferri del mestiere: una cazzuola, una piccozza, un martello, uno scalpello e poi una sacchetto con due boccette ripiene una certamente d’acqua e l’altra d’olio, più tre crocifissi; nell’altra tasca della bisaccia vi era del pane del formaggio e un pezzo di lardo. Il pretore divenne nervoso per lo spettacolo raccapricciante a cui pure era abituato e, sigillata con due corde le sacche della bisaccia, diede ordine di trasferire il cadavere oltre il fiume e condurlo in alto nei pressi de s’istrampu del rio, dove il porcaro Zulianu, servo di Mudulesu, aveva approntato un carro da buoi, per condurre il cadavere in paese. Il pretore impartì l’ordine di partire e si rassegnò a seguire quel rozzo carro funebre trainato da buoi. Passarono due ore e mezzo prima di raggiungere, nei pressi di Codinas, sa Punta de Bona Notte. Dopo una breve sosta il carro continuò verso Caminu de Litu e quindi in via Garibaldi, fino alla casa del morto, dove le donne cominciarono un tristissimo lamento senza ottenere la restituzione del caro estinto che per legge doveva essere condotto nella camera mortuaria del Camposanto, per essere esaminata dal medico legale di Vulvu dr. Donaru, che aveva sostituito il vecchio dr. Pische, dopo l’assassinio di Maria Giusta Molinas, Anna Maria Brinca e il sicario.
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Scritto da ange de clermont
Il pretore di Vulvu accolse il milite della stazione di Miramonti giunto a cavallo per la triste notizia dell’archeologo assassinato.
-In quale domus l’hanno accoppato quest’ impiccione?-
-Presso il rio Filighesos, quella domus delle roccia che fa parete alla sponda opposta venendo da Miramonti.-
-Uh, ho capito, perbacco, sempre nel Sassu avvengono i delitti nel vostro territorio. Bella galoppata, mi tocca fare, ma per il Re e per l’Italia attenda che vengo subito, naturalmente non oggi, ma domattina ci si muove da Miramonti. Vengo a pernottare nella vostra caserma e domani mattina presto si va sul posto.-
Il pretore chiamò un inserviente, fece sellare il suo cavallo e seguì malinconicamente il milite, dicendosi che aveva scelto un bel mestiere, quello del becchino, ah, avesse potuto cambiare, lo avrebbe fatto volentieri. Accidenti agli archeologi e ai miramontani, gentaccia, abigeatari, omicidi, omertosi, incivili tutto sommato.
Il sole aveva oltrepassato il mezzogiorno da un bel pezzo e i due marciavano tra mulattiere e sterrate che portavano a Miramonti col sole in faccia, tanto che i due cavalli, a tratti s’infastidivano.
In paese tutti sapevano tutto o s’inventavano almeno una parte di tutto. Per alcune donne e i loro uomini fit lantadu a balla (ucciso a pallettoni), per altre si era sfraccellato cadendo dal costone roccioso di rio Filighesos, per altre sicuramente gli spiriti delle domus lo avevano ammazzato per soffoccamento., anima mia libera! I bambini dai quattro anni in su ascoltavano i genitori in casa e fuori ,per la strada le chiacchiere dei vicini e, purtroppo, si preparavano ad una notte d’incubi. A sa Niéra dove si piangeva il morto la maggior parte delle donne si erano recate ad abbracciare la moglie e le due figlie e di tanto in tanto una delle tre in lutto si lasciava andare ad un lamento.
Poi anche le voci si erano attenuate e la notte più nera del solito era scesa a coprire fortune e miserie dell’antico borgo medievale.
Il vicario, con la candela accesa sulla scrivania, vegliava in preghiera e si percuoteva il petto per l’incapacità di condurre il suo gregge a Dio. Prima di mettersi a letto cominciò a domandarsi chi poteva aver ammazzato l’archeologo Pedde. il più caro a Giuanne Ispanu e il più anziano di tutti quelli che Miramonti nutriva a pane e lardo. Poteva trattarsi di una vendetta, ma con quale scopo? Gli è che quando il demonio s’impossessa di un’anima non va tanto per il sottile e al momento di massimo dominio la induce al peggiore dei peccati: un fratello che uccide l’altro fratello.
Si addormentò con la corona del rosario sul petto, ma i suoi sogni furono turbati da visioni infernali: gli sembrava di trovarsi davani a San Pietro e un diavolo cornuto lo accusava di non aver fatto un bel niente per le anime di Miramonti, anzi, perdendo spesso la pazienza li aveva allontanati dalla frequenza in parrocchia, e lui a difendersi…Finché l’incubo non si dileguò e dormi in serenità.
In caserma, invece, il brigadiere, ormai tanti anni a Miramonti, con i militi si domandava chi poteva avere interesse ad uccidere Antonio Pedde che, a parte le arie per la passione di archeologo, era una brava persona e migliore sarebbe stata se non avesse assunto a tratti un atteggiamento di sufficienza nei confronti degli altri archeologi che, per questo motivo, lo detestavano. Mentre si scambiavano queste impressioni giunse il pretore con un altro milite. Gli diedero la camera predisposta per lui che non volle nemmeno ascoltarli e dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo se nera andato a dormire, già affaticato, per quanto lo attendeva il giorno seguente.
La moglie di Mudulesu, saputo che il marito con un milite avrebbe pernottato nei pressi della domus ormai tomba del morto ammazzato, portò loro un pò di minestrone di verdure per riscaldarsi, due stuoie e una coperta di lana da lei lavorata al telaio, e si congedò da loro tornando a casa con l’animo gravato dal peccato che aveva compiuto nella mattinata con l’amore mancato. Prese il rosario e cominciò a dirselo, chiedendo perdono a Dio per quella mancanza e promettendo che un peccato del genere non l’avrebbe più commesso.
Nella radura rane e grilli, cani e volpi facevano sentire i loro strani guaiti, mentre le pecore e i maiali, raccolti negli ovili venivano guardati nella notte da occhi rivolti al buoio, solo le stelle parevano ignorare il trambusto delle cose che avveniva a Sassu Altu. Il mondo era andato sempre così e diversamente non poteva andare finché pastori e animali si aggiravano in quell’immenso tavolato miocenico che offriva la sua vista a Miramonti e poi precipitava rovinosamente nel costone in su campu de Utieri dove il grano andava assumento colorito giallo e i fiumi e i ruscelli tendevano al magro.
Scritto da ange de clermont
Giommaria Mudulesu, di solito tranquillo, mentre scendeva da Sassu Altu verso Chirralza e il rio Filighesos, non riusciva a capire perché si era tanto agitato, ma il presagio di qualche disgrazia gli attanagliava l’animo. Affrettò il passo e raggiunse il rio Filighesos, lo attraversò nel tratto più magro e raggiunse la domus de janas sulla parete della roccia rossastra, si arrampicò sugli spuntoni, non prima d’aver colto un pò d’erba secca per illuminare la domus, raggiunse l’imboccatura quadrata di quella che era detta casa delle fate e non tomba delle genti prenuragiche, e ci si buttò dentro. Con le pietre focaie che non abbandonavano mai le sue tasche e con quel pò d’erba secca, accese un minuscolo falò, e orrore, gli uscì dalla gola un grido strozzato e lamentoso: compare meu Antoni, bos ant mortu, compare Antonio vi hanno ammazzato. Gli toccò la fronte e, vedendo il marchio, con sangue rappreso, continuò ad urlare: compare Antoni bos ant mortu!
Abbandonò subito la grotta, oltrepassò il fiume, e correndo come mai aveva corso in vita sua, raggiunse il casolare a duecento passi dal nuraghe Aspru, entrò in casa e alla moglie che lo vide stravolto, urlò: -Ant mortu a compar’Antoni!
-Hanno ucciso compare Antonio? Oih che disgrazia! E come fai a dire che l’hanno ucciso?-
-Come Gesù Cristo sulla croce l’hanno ucciso! L’assassino l’ha trafitto alla fronte con uno strano disegno! Sellami il cavallo che corro in paese a dirlo ai carabinieri e avvertimi Andria!-
Maria corse a sellare il cavallo del marito, un baio abbastanza snello, e il marito, indossata una giacca di orbace, montò sulla sella e a spron battuto si diresse a Miramonti, mentre il cuore gli sussultava nel petto. Raggiunse velocemente sa punta de sas tanchittas, ma non rallentò la corsa e poi scese a tutto sprone verso la parte bassa e magra del rio Giunturas, passò davanti a sas Coas e via su su fino a Santa Maria de Aidos. Nostra Segnora mia!- sussurrò passando davanti alla chiesetta e percorrendo il sentiero irto che lo portava a Santu Miale, passò a Punta de Bona Notte, attraversò sferragliando Codinas, un vasto pianoro di roccia miocenica, costeggiò il bosco dei Frassini, spronò il cavallo verso Caminu de Litu e bloccato il cavallo davanti alla Caserma, salì i gradoni che lo condussero al portone e bussò. Il piantone aprì e visto l’uomo stravolto, esclamò: -Che c’è, che cosa e successo, sig. Mudulesu?-
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