Chiaramonti, il portale delle vostre idee

Il libero spazio per le vostre opinioni

AJO in Anglona passizzende in Tzaramonte su degheotto de maiu

Scritto da carlo moretti

Studi sull’architettura dell’antica parrocchiale di San Matteo di Gianluigi Marras

Scritto da Gianluigi Marras

La parte più rimarchevole delle emergenze del sito è costituita dagli imponenti ruderi dell’antica parrocchiale di San Matteo, che occupano l’angolo nord-occidentale del pianoro di Monte Cheja.

Nonostante la solennità delle strutture mancano completamente studi architettonici e stilistici. Purtroppo la veloce degradazione di cui sono state oggetto, con il crollo e lo spoglio di molte murature, rende sempre più difficile la lettura del monumento. E se i recenti restauri hanno avuto il merito di bloccare (o rallentare?) il degrado e di consolidare la fabbrica, conseguenze non altrettanto positive ha avuto per l’analisi stratigrafica degli elevati. L’uso indiscriminato infatti di malte negli spigoli e nei punti di contatto fra i vari elementi architettonici, i rimaneggiamenti effettuati senza alcun rispetto delle tecniche originarie, donano si ai ruderi un candore piacevole a vedersi ma altresì appiattiscono e omogeneizzano le differenze originali.

In ragione di tale inibizione, oltre che della difficoltà dell’esame autoptico ravvicinato di varie porzioni del monumento, quella qui proposta non può che essere un’indagine incompleta e problematica in molti punti.

Si  espongono di seguito dapprima una breve descrizione stilistico-architettonica della chiesa e, di seguito, i risultati dell’analisi stratigrafica dell’elevato[1].

Lo studio stratigrafico è stato svolto secondo una campionatura che ha interessato circa il 60% delle strutture. La selezione è stata fatta sulla base di tutta una serie di ricognizioni non sistematiche, che hanno individuato una serie di problematiche e punti da controllare[2].

La chiesa di San Matteo ha posto sin dall’inizio una serie di quesiti di seguito riassunti:

1)          Si potevano individuare preesistenze architettoniche?

2)          In caso affermativo, erano pertinenti a strutture civili o religiose?

3)          Individuazione di eventuali fasi costruttive distinte della chiesa

4)          Riconoscimento delle tecniche costruttive

5)          Analisi delle dinamiche di cantiere.

6)          Cronologie assolute

A indagine, almeno parzialmente, conclusa si può affermare che i punti 1 e 3 hanno avuto una risposta soddisfacente, i punti 4 e 5 una spiegazione limitata mentre per il punto 2 si sono solo potute formulare delle ipotesi non verificabili se non con le tecniche dello scavo stratigrafico. Il punto 6 infine non ha avuto alcuna risposta, a causa della mancanza di qualsiasi indicatore cronologico assoluto.

Ad una prima osservazione il complesso architettonico (CA) è stato suddiviso in undici corpi di fabbrica (d’ora in poi CF):

Planimetria generale
Planimetria generale

§ CF 1, costituito dalla torre campanaria;

§ CF 2, cappella laterale orientale addossata al CF 1;

§ CF 3, cappella laterale orientale a sud di CF 2;

§ CF 4, cappella laterale orientale a sud di CF 3;

§ CF 5, cappella laterale orientale a sud di CF 4;

§ CF 6, la prima cappella laterale occidentale rispetto all’ingresso;

§ CF 7, cappella laterale occidentale, a nord di CF 6;

§ CF 8, cappella laterale occidentale obliterata, a nord di CF 7;

§ CF 9, abside quadrangolare;

§ CF 10, navata centrale della chiesa;

§ CF 11, cappella laterale occidentale rasata, a sud di CF 6.

Leggi tutto »

Il castello di Chiaramonti: la Topografia – di Gianluigi Marras

Scritto da Gianluigi Marras

(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale e sulle notazioni per accedere subito alle note)

Analisi topografica

L’area da me analizzata mediante ricognizione archeologica è nota nella cartografia catastale come San Matteo[1], ma viene chiamato popolarmente Monte e’cheja, ovvero “monte della chiesa”. La toponomastica riporta dunque memoria dell’antica parrocchiale di San Matteo, traslata poi nell’attuale sede nel 1888[2], e non serba traccia dell’antico castrum.

Effettivamente la prima ubicazione del castello nel sito è quella dell’Angius, seguito poi dal La Marmora e quindi dagli altri studiosi di storia sarda, nella prima metà dell’800. Ancora il Mamely de Olmedilla, nella sua Relazione del 1769[3] (scritta l’anno prima), descrive la parrocchiale[4], “…grande e non brutta né in cattivo stato…[5]; ci dice inoltreche la pianura dove è situata in passato doveva essere popolata, “…secondo quanto indicano le fondamenta di abitazioni[6]” senza però far menzione di eventuali torri o apprestamenti militari.

L’Angius[7] è invece il primo che identifica il sito della chiesa parrocchiale con l’ubicazione dell’antico castello. Al momento in cui scrive “…sta ancora tutta intera una torre, perché fattasi servire a campanile; sono di un’altra visibili alcune parti, ed è qualche vestigio delle mura, tra le quali la cisterna scavata nella roccia…”[8]. Il generale Della Marmora, che visitò il paese nel 1834[9],  riteneva invece che della costruzione militare non restasse traccia e che sul suo perimetro fosse sorta la chiesa[10].

Descrizione geografica

La collina di Monte e’cheja è una delle tre alture su cui insiste il centro urbano di Chiaramonti, più precisamente quella posta a nord-est, di fronte alla collina denominata Cunventu a nord-ovest e a quella di Codina Rasa, sud-est. Tutto il massiccio è posto a strapiombo verso la fertile vallata interna dell’Anglona ad est (dove sorgono gli attuali centri di Martis, Laerru e Perfugas) e la vallata del Rio Iscanneddu a nord e nord-ovest (nella zona è vitale attualmente solo il villaggio di Nulvi, ma nel Medioevo vi si contavano molti insediamenti civili e monastici), mentre degrada più dolcemente verso sud. Storicamente il centro di Chiaramonti rimase isolato dalle vie di comunicazione fino agli anni settanta dell’ottocento, quando venne costruita la strada statale da Ozieri e Castelsardo[11], che ancora lo attraversa.

L’area sottoposta all’analisi è costituita dal tavolato calcareo in cima a Monte e’cheja, posta alla quota di 467 m s.l.m.. I versanti si presentano piuttosto ripidi in tutte le direzioni: solo a sud-ovest c’è la possibilità di un’ascesa, mentre ad ovest, sud, nord e nord-est si nota la presenza di pareti rocciose verticali di varia estensione. Specialmente il versante ovest è costituito da un fronte roccioso alto circa 10 m, di quasi impossibile percorrenza, soprattutto nei mesi invernali.

Leggi tutto »

Chiaramontesi avanzano negli studi accademici e nelle carriere di Angelino Tedde

Scritto da angelino tedde

Lidia Schintu, dopo aver conseguito due anni fa la Laurea breve triennale in Archeologia fenicio-punica, ha conseguito oggi, dopo due anni di studio intenso, la Laurea Magistrale, discutendo brillantemente davanti alla commissione di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia  dell’Università degli Studi di Sassari, presieduta dal prof. Bartoloni,  la tesi su “La ceramica fenicio-punica in Sardegna”.

La commissione, visto il curriculum di studio e la novità della sua ricerca,  le ha conferito 110 e lode su 110 dichiarando il suo lavoro degno di pubblicazione.

Il nostro paese, sempre ricco di graduati e al terzo posto, fra tutti i paesi dell’Anglona  per numero di graduati dal 1767 al 1873, pur non avendo una collegiata come Nulvi e Castelsardo, oggi può vantarsi di aver acquisito anche un archeologo esperto in Archeologia Fenicio-Punica, che segue a ruota l’archeologo Gianluigi Marras, esperto in Archeologia Medioevale.

Ci auguriamo di avere l’opportunità, in altro momento, di intrattenerci sul prezioso lavoro di Lidia Schintu.

Ora, a parte Mario Unali, cultore enciclopedico di storia e antichità varie, ci manca  un archeologo sia del periodo delle domus de janas sia dell’epoca nuragica e se vogliamo essere al completo delle antichità romane.

A detta del Taramelli, il nostro territorio è una miniera in proposito.

Il Castello di Chiaramonti di Gianluigi Marras

Scritto da ztaramonte

(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale e sulle notazioni per accedere subito alle note)

Gianluigi Marras è il primo archeologo medievista, nativo  di Chiaramonti, del quale abbiamo avuto modo di parlare in altra occasione. Con questo contributo e con gli altri che seguiranno ci svelerà la storia del Castello. Lo ringraziamo calorosamente per la sua collaborazione.

Introduzione

Il castello di Chiaramonti è da sempre noto agli storici sardi, che tuttavia hanno generalmente fornito solo laconiche informazioni sulla sua storia ed evoluzione nello scorrere del tempo, sulla sua ubicazione e sulle eventuali strutture materiale superstiti. La vulgata ha in particolare tramandato le notizie di un castello appartenuto dapprima ai Malaspina, poi ai Doria (Matteo, Brancaleone e Niccolò), la cui torre è stata poi riutilizzata come campanile della parrocchiale del centro di Chiaramonti.

La mia ricerca[1] parte da queste basi per cercare di fare il punto sulla storia, le strutture materiali e l’evoluzione del castello di Chiaramonti, partendo dall’analisi delle fonti archeologiche, e prima di tutto dagli imponenti ruderi della chiesa di San Matteo, e dalla raccolta delle fonti documentarie edite. Naturalmente non si ci si è posti limiti documentando ogni tipo di emergenza presente nel sito e ogni reperto, a prescindere dalla loro cronologia e funzione. Riteniamo infatti che solo procedendo con un approccio scevro di pregiudiziali si possano raccogliere tutti i dati concernenti un sito, per poterne poi ricucire la storia.

Lo studio dei castelli medievali della Sardegna, e in particolare riferimento alla situazione del Regno di Torres[2], è stato spesso condotto con criteri e metodi non troppo scientifici e risente inoltre della mancata ricaduta del dibattito nazionale e internazionale, avviato dalle tesi del Toubert negli anni 70′ e i cui frutti, a livello archeologico, sono giunti dalla fine degli anni 80′, con un alto grado di raffinatezza specialmente per i contesti liguri, laziali e toscani.

Poco interesse ha infatti finora suscitato il tema dell’incastellamento, ovvero delle ricadute della fondazione dei castelli sull’insediamento preesistente, e pochi i contesti studiati, sia dal punto di vista storico che archeologico; da ricordare comunque le analisi storiche e archeologiche effettuate nei castelli di Bosa, Monteleone Roccadoria, Ardara e Castelsardo da parte dell’èquipe del prof. Milanese e gli approfondimenti della documentazione specialmente aragonese effettuata negli ultimi anni da Angelo Castellaccio, Giuseppe Meloni, Giuseppe Spiga, Alessandro Soddu e Franco Campus, che hanno mostrato come possa essere ancora fruttuosa la ricerca negli archivi iberici.

Leggi tutto »

Dagli scavi spuntano un antico villaggio e un santo misterioso – La Nuova Sardegna 18 maggio 2010

Scritto da carlo moretti

Un villaggio medievale scomparso, una chiesetta romanica dedicata a Santa Maria Maddalena, l’epigrafe trecentesca di un santo sconosciuto e, per certi versi, misterioso. Ci sono tutti gli ingredienti tipici della trama di uno di quei best-sellers – sullo stile de Il Codice da Vinci – che negli ultimi anni hanno appassionato migliaia di lettori, anche in Sardegna. In realtà si tratta dei primi interessanti risultati che fanno da sfondo a una importante ricerca archeologica avviata alcuni anni fa dalla Cattedra di Archeologia medievale dell’Università di Sassari, diretta dal professor Marco Milanese, insieme al Comune di Chiaramonti, alla Soprintendenza archeologica e con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna.  Lo scenario – decisamente suggestivo – è quello di Orria Pithinna, piccola località a circa 5 chilometri a sud-ovest di Chiaramonti, dove sorge la chiesa campestre di Santa Maria Maddalena che domina e controlla una pittoresca vallata. Il santuario, in stile romanico, venne costruito agli inizi del Duecento impiegando conci di calcare bianco e di trachite rossa disposti a filari alternati, una soluzione decorativa che la rende davvero unica nel suo genere.  Le ricerche nel sito di Orria Pithinna stanno cominciando a dare i primi risultati: è stata perimetrata la parte relativa a un monastero camaldolese, individuata l’area su cui sorgeva il villaggio, eseguite mappatura e analisi completa delle testimonianze epigrafiche e dei graffiti rilevati nella chiesa. Proprio grazie a quest’ultimo studio – compiuto dall’epigrafista medievale Giuseppe Piras – è emersa una scoperta che ha del sensazionale. E’ stata finalmente decifrata una iscrizione del XIV secolo, incisa all’esterno della cappella meridionale, che ha svelato l’esistenza di una sepoltura relativa a un personaggio. Si tratta di un certo Autedus, al quale viene attribuito nell’epigrafe l’appellativo di sanctus.  «Non si tratta di un santo per il quale vi fu un processo di canonizzazione con il riconoscimento ufficiale della Curia di Roma – spiega lo studioso di Porto Torres che ha pubblicato i risultati della ricerca negli Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – ma verosimilmente di un personaggio (forse legato al priorato camaldolese, un monaco o un eremita), che per la sua esistenza virtuosa venne acclamato santo spontaneamente dalla comunità di fedeli, i quali insieme alla loro devozione gli tributarono impropriamente il titolo di santo». Le ricerche non hanno fornito altri elementi riferiti ad Autedus e tantomeno al suo culto. «Non ne è rimasto ricordo – sottolinea Giuseppe Piras – nemmeno nella toponomastica locale. La spiegazione più probabile è che questo culto locale sia sorto nel Trecento in concomitanza con il periodo drammatico vissuto dagli abitanti di Orria Pithinna e si sia spento rapidamente con l’abbandono del villaggio e del priorato camaldolese. Abbandono che per giunta – dice Piras – può avere prodotto nei suoi confronti quasi l’effetto di una damnatio memoriae da parte della popolazione».  L’indagine diretta dal professor Marco Milanese apre un filone importante per il recupero di risorse straordinarie, non solo per la storia medievale della Sardegna ma anche in termini di attrazione dei flussi di turismo culturale e scolastico.  «Il progetto sui villaggi abbandonati della Sardegna è cominciato una quindicina d’anni fa – racconta il professor Milanese – con una attività svolta direttamente sul territorio e non in maniera astratta. Con due obiettivi fondamentali: tutelare le risorse e assumere un ruolo responsabile per la loro valorizzazione e conseguente trasmissione alle generazioni future».  Conoscenza storica, dei tempi e delle dinamiche, scoprire come erano organizzate le popolazioni medievali, come erano fatte e quanto erano grandi le case, valutare le strade, il tutto con la convinzione che «l’archeologia può dare un contributo determinante per mettere insieme la storia della società». Lavorare e fare in modo che alla fine sia la sosietà stessa «a impadronirsi di un patrimonio così significativo».  Dalle fonti storiche, emerge che la chiesa intitolata a Santa Maria (la ridedicazione alla Maddalena compare, ancora inspiegabilmente, in documenti del Settecento), il 10 luglio 1205 venne donata dalla nobildonna Maria de Thori (zia di Comita giudice di Torres) all’Ordine Camaldolese. I monaci si stabilirono nel territorio e fondarono un monastero che divenne un priorato (dipendeva dall’abbazia di Saccargia) e si impegnarono per rendere produttivi i terreni divenuti di loro proprietà. Tra il 1323 e il 1335 – lo confermano le epigrafi presenti nella chiesa, decifrate proprio di recente – i monaci la restaurarono rifacendo il portale e la ampliarono aggiungendo due cappelle laterali. La situazione cambiò radicalmente nella seconda metà del Trecento: tutta l’Anglona divenne teatro della guerra scoppiata tra i Doria (che dominavano da secoli quelle contrade), il giudice di Arborea loro alleato e il sovrano d’Aragona. Il conflitto durò dversi decenni e portò devastazione e morte, oltre alle ondate di carestie e pestilenze. Una situazione terribile che spinse i monaci ad abbandonare il territorio e a rifugiarsi in villaggi limitrofi, fino a spostarsi nel neonato borgo fortificato di Chiaramonti (già nel 1350) considerato più sicuro.  Oggi, unica testimone di quelle tragiche vicende è rimasta solo la chiesa di Santa Maria Maddalena: sono scomparsi il monastero e il villaggio di Orria Pithinna insieme agli altri vicini. Il progetto partito nel 2005, diretto appunto da Marco Milanese e coordinato sul campo dagli archeologi Gianluigi Marras e Maria Cherchi ha come obiettivo proprio quello di individuare e riportare alla luce insediamenti medievali dei quali si è persa traccia.  «Occorre puntare sul discorso più ampio di politica culturale – ha rimarcato Marco Milanese – e lavorare senza lasciare un vuoto interno. In quei terreni, oggi in larga parte incolti o abbandonati, c’è sotto la storia e potrebbero diventare una attrazione in più per il territorio. Bisogna partire dal basso, lavorare sulle scuole, sensibilizzare i Comuni che altrimenti rischiano di perdere l’aggancio con la loro identità».  Ora non resta che attendere che le indagini e gli scavi archeologici previsti dal progetto possano fare riemergere i resti del villaggio, del monastero camaldolese. E magari consentano di ritrovare anche la sepoltura di Autedus, il misteroso santo di Orria Pithinna.

Gianni Bazzoni

Ajo in Anglona – Chiaramonti 18 aprile 2010

Scritto da carlo moretti

L’associazione delle Pro Loco dei comuni anglonesi e della bassa valle del Coghinas, presenterà a Chiaramonti domenica 18 aprile, la quarta edizione di Ajò in Anglona.

Anche quest’anno l’inaugurazione stagionale  avverrà a Chiaramonti alla presenza delle autorità.

Nata nel 2007, da un idea della Pro Loco diretta da Sandro Unali, è riuscita ad accomunare i comuni anglonesi e della bassa valle del Coghinas in una manifestazione, che anno dopo anno, si sta dimostrando sempre più interessante e sta coinvolgendo anche altri comuni che inizialmente non avevano aderito all’idea.

Vi aspettiamo perciò Domenica 18 aprile tutti a Chiaramonti per inaugurare Ajò in Anglona 2010.

Ecco il programma della manifestazione:

  • 10:00 – Apertura degli stands
  • 10:30 – Nella Parrocchia San Matteo, Santa Messa accompagnata dal Coro Parrocchiale
  • 11:30 – In P.zza Repubblica, inaugurazione Ajo in Anglona 2010, con la presenza delle varie autorità
  • 12:00 – Aperitivo ai giardini pubblici in Piazza Repubblica
  • 13:00 – Inizio percorso itinerante nel centro storico, visitando i luoghi più suggestivi ed interessanti del paese. Durante il percorso sarà possibile fruire di punti di ristoro con piatti tipici. (buono pasto 6 euro)
    • MENU’ COMPOSTO DA:
          • Antipasto
          • Primo
          • Secondo
          • Digestivo
          • Acqua e vino
    • Buono pasto da acquistare sul posto o su prenotazione ai numeri

    • 079 569254 – 348 9158653 – 348 2523270

  • 15:00 -  Castello dei Doria: convegno sulla storia medievale del paese
  • 16:00 – Castello dei Doria: esibizione del “Coro de Tzaramonte”. A seguire esibizione  di parapendio organizzata dall’Associazione sportiva e scuola di volo “I Grifoni” Chiaramonti, con l’istruttore Salvatore Solinas
  • 16:30 – Visite guidate ai siti di maggiore interesse nel territorio (su prenotazione, biglietto 1 euro)
  • 17:00 – Castello dei Doria: esibizione del “Gruppo Folk Santu Mateu de Tzaramonte”
  • 19:00 – In Piazza Repubblica balli per tutti, dal Sardo al Samba.

Gli orari potranno subire delle variazioni in base alle esigenze della giornata.

Buon divertimento!

Chirca.it - Pagerank BlogItalia.it - La directory italiana dei blog
SCAMBIO BANNER CHIRCA.IT - SUBITO 1.000 CREDITI IN REGALO