Chiaramonti, il portale delle vostre idee

Il libero spazio per le vostre opinioni

Contos de foghile – Ancora magie……

Scritto da carlo moretti

Di Grazia Deledda:

Zio Salvatore, il nostro vecchio fattore, cominci:

- Figlioli miei, io non sono stato sempre agricoltore: ero nato per diventare qualcosa di grande, prete almeno, ma i casi e l’estrema povertà della mia buona mamma, non lo permisero. Tuttavia durante la mia fanciullezza feci il sagrestano nella nostra chiesetta di San Giuliano, e solo allorché, smessa ogni vocazione religiosa, pensai di ammogliarmi, mi scossi via il profumo d’incenso e di cera che esalava dalle mie vesti, e, vestitemi le ghette mi posi a lavorare la terra. Sentite dunque: era l’ultimo anno della mia… segrestania e ne contavo già ventidue.

Una sera di novembre, all’imbrunire, me ne stavo seduto al di fuori della nostra casetta, sul carro di un vicino, e guardavo in fondo alla via. Siccome faceva freddo nessuno si degnava tenermi compagnia, e anch’io, certo se non fossi stato spinto da un forte motivo, non sarei rimasto là. Vedevo i monti, già coperti di neve, tutti velati di nebbia, sentivo già dal cielo fosco stillare un’umidità gelata che trapassava il mio cappotto, e il vento freddo m’imporporava il naso, eppure non mi muovevo. Il campanile nero di San Giuliano, facendo di tanto in tanto capolino fra la nebbia e le tinte fosche dell’imbrunire, mi avvertiva esser l’ora di recarmi a sonar l’ave, eppure io restavo là duro, stecchito, immemore del mio dovere. Ciò che più mi tentava era l’allegro schioppettare del fuoco, dentro, nella nostra cucinetta calda ove mamma preparava un buon minestrone di fagiuoli con cavoli, un vero lusso sapete, aizzando ogni tanto con la sua voce tremula l’asinello che funzionava ancora, monotono e lento, intorno alla macina in un angolo della cucina. Guardavo ogni tanto il tetto basso e umido che fumava e il pensiero del buon fuoco accresceva il mio freddo, pure non mi muovevo, come fossi incantato. Ah, se, ero proprio incantato. Un’ora prima, all’uscita della novena, Graziarosa, mi aveva detto con mistero:

«Compare Batò, devo parlarvi: attendetemi fra un’ora davanti a casa vostra.»

Graziarosa parlarmi, darmi un convegno! Era una cosa che io non sognavo neppure: perché dovete sapere che, innamorato pazzo di lei, lei non mi aveva mai voluto ascoltare, anzi mi derideva chiamandomi: compare campanile! Come soffrivo Dio Santo! Graziarosa si credeva un gran che perché serviva in casa del Sindaco, il più ricco signore del paese, e accompagnava la padroncina Donna Daniela, a passeggio; era una bella ragazza, Graziarosa, con gli occhi verdi, e io ne andavo pazzo: ma lei non mi dava uno sguardo, anzi pretendeva di maritarsi con un signore! Figuratevi però che signore! Uno che avesse pantaloni, ecco, talché io, esasperato, quando lo seppi, le cantai persino sotto la sua finestra, una canzone infame:

Teracas chi signoras bos cheries..

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Amare Chiaramonti: i monelli di Via Garibaldi (1940-1947)

Scritto da angelino tedde

Parte superiore di-Via Garibaldi

Eravamo un gruppo di nove ragazzini, in Chiaramonti, nel rione de Sa Niera: nei pochi metri quadrati di via Garibaldi 17, il più grandicello era Giuanninu mentre Angelinu, Ico, Faricu quasi coetanei; le ragazze: Margherita, Giannedda, Giuannina, Toiedda e Matteuccia, queste, mie sorelle. Si giocava insieme dalla mattina alla sera, scorrazzando tra la casa Grixoni e quella meno agevole dei fratelli Pisanu: Placida, Ottavio, Giulio, Toeddu.

Corsa, bagliaroculos, imbrestia (gioco al sasso piatto) monteluna e le ragazze, a brucio, saltellando ad una gamba dentro i quadrati disegnati con la carbonella.

Spesso si sconfinava nella stradina a larghe scaline che portava in via Cavour, quasi dentro la casa di zia Lucia Tedde e più in là di zia Ziziglia, la più insopportabile insieme a zia Mariantonia, che vigilava da un piano sopraelevato, all’angolo, del vicoletto, che portava alla strada più alta de sa Niera. Non potevamo che stare insieme dal momento che Giuanninu, Ico, Margherita e Giuannedda erano figli di zio Peppeddu Biddau e di zia Leonarda Porcheddu che abitavano il piano sopraelevato al nostro di proprietà di zia Filomena Tedde, emigrata a Perfugas con zio Bachisio Ortu.

Sotto, in quella che era stata la casa prima di mio bisnonno Antonio e poi di mio nonno Matteo, stavamo noi, figli di Angelinu Tedde, senior, e di Serafina Linda Piras.

Nostri dirimpettai erano Giuannina e Faricu, figli di zia Marietta Succu e di zio Giuanne Tolis.

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Cantadores a poesia – Masala e Seu a Seui nel 1996 – Secondo tema: Muzere fea e onesta, muzere bella e disonesta.

Scritto da carlo moretti

Continuiamo con le gare di poesia sarda.

Vi invitiamo a leggere e ascoltare il secondo tema della gara poetica tra Marieddu Masala e Juanne Seu a seguito del primo tema già pubblicato con il precedente articolo del 16 novembre 2008.

Oltre i versi, troverete circa ogni dieci ottave, un lettore mp3 che vi consentirà di sentire la registrazione della gara. La necessità di dividere la registrazione in tre parti, è unicamente una mia scelta, dovuta al fatto che con spezzoni di files più piccoli, sono agevolati all’ascolto anche gli utenti con linea non ADSL. vi consiglio di avviare il lettore prima di iniziare la lettura dei versi.

Buon ascolto e buona lettura.

MARIEDDU MÀSALA / JUANNE SEU

Festa de Santu Pitanu

Seui, su 4 de Austu de su 1996

Secondo tema: MUZERE FEA E ONESTA,

MUZERE BELLA E DISONESTA

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La notte santa. – BUON NATALE

Scritto da carlo moretti

- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!

Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.

Presso quell’osteria potremo riposare,

ché troppo stanco sono e troppo stanca sei. -

Il campanile scocca

lentamente le sei.

- Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?

Un po’ di posto per me e per Giuseppe? -

- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;

son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe -

Il campanile scocca

lentamente le sette.

- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?

Mia moglie più non regge ed io son così rotto!-

- Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:

Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto. -

Il campanile scocca

lentamente le otto.

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Fiabe di Natale: L’Agrifoglio.

Scritto da carlo moretti

Il pastorello si sveglia all’improvviso. In cielo v’è una luce nuova: una luce mai vista a quell’ora. Il giovane pastore si spaventa, lascia l’ovile, attraversa il bosco: è nel campo aperto, sotto una bellissima volta celeste. Dall’alto giunge il canto soave degli Angeli.

- Tanta pace non può venire che di lassù – pensa il pastorello, e sorride tranquillizzato.
Le pecorine, a sua insaputa, l’hanno seguito e lo guardano stupite.
Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affrettati, si dirigono verso una grotta.
- Dove andate? – chiede il pastorello.
- Non lo sai? – risponde, per tutti, una giovane donna. – È nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso.
Il pastorello si unisce alla comitiva: anch’egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue
pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare quando si così poveri?
Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono.
Ahi! Tanti spini gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: – Oh, un arbusto ancor verde!
È una pianta di agrifoglio, dalle foglie lucide e spinose.

Il coro di Angeli sembra avvicinarsi alla terra; c’è tanta festa attorno. Come si può resistere al desiderio di correre dal Santo Bambino anche se non si ha nulla da offrire?
Ebbene, il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d’agrifoglio sarà il suo omaggio.
Eccolo alla grotta. Si avvicina felice e confuso al bambino sorridente che sembra aspettarlo.
Ma che cosa avviene? Le gocce di sangue delle sue mani, ferite dalle spine, si trasformano in rosse palline, che si posano sui verdi rami dell’arbusto che egli ha colto per Gesù.

Al ritorno, un’altra sorpresa attende il pastorello: nel bosco, tra le lucenti foglie dell’agrifoglio, è tutto un rosseggiare di bacche vermiglie.
Da quella notte di mistero, l’agrifoglio viene offerto, in segno di augurio, alle persone care.

(Brano di Natale di G. Marzetti Noventa)

Fiabe e Favole di Natale: Il racconto della Stella di Natale

Scritto da carlo moretti

In un piccolo villaggio messicano viveva una bambina di nome Altea, Giunse la notte di Natale e tutti andarono in chiesa con un piccolo dono per Gesù. Solo Altea rimase a casa perché non aveva nulla da donargli. All’improvviso apparve un Angelo. «Perché sei così triste?» chiese alla bambina.

“Perché non ho nulla da portare a Gesù!” rispose Altea. Allora l’Angelo le disse: “Tu hai una cosa molto importante da donare a Gesù: il tuo amore. Raccogli le frasche che crescono ai bordi della strada e portale in chiesa. Vedrai, il tuo dono sarà il più bello di tutti.”
Altea fece come le aveva detto l’Angelo e depose un mazzo di frasche davanti all’altare. Mentre la bambina pregava le frasche si trasformarono in una pianta meravigliosa con foglie verdi e rosse: era nata la Stella di Natale.

Contos de foghile – Nostra Signora del Buon Consiglio [9]

Scritto da carlo moretti

“Leggende sarde” di Grazia Deledda, a cura di Dolores Turchi, Roma, Newton Compton Editori, 1999, collana Italia Tascabile, 8

Oggi, miei piccoli amici, voglio raccontarvi una storia che vi commuoverà moltissimo, e che, se non vi commuoverà, non sarà certamente per colpa mia o delle cose che vi narro, ma perché avete il cuore di pietra.

C’era dunque una volta, in un villaggio della Sardegna per il quale voi non siete passati e forse non passerete mai, un uomo cattivo, che non credeva in Dio e non dava mai elemosina ai poveri.

Quest’uomo si chiamava don Juanne Perrez, perché d’origine spagnola, ed era brutto come il demonio. Abitava una casa immensa, ma nera e misteriosa, composta di cento e una stanza, e aveva con sé, per servirlo, una nipotina di quindici anni, chiamata Mariedda.

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