Scritto da ztaramonte
Pubblico una seconda versione dei “goso”, che ripercorre quasi per filo e per segno, i festeggiamenti religiosi solenni per il Patrono San Matteo e che a loro volta contraddicono forse interamente quelli che lo stesso autore ha scritto prima della festa.
Amadu Carulu, custu manzanu, ida sa prutzisione ‘e deris, mi so penetidu de su c’aio iscritu pro Santu Mateu e tando pro penitentzia e pro domandare iscuja a totu sos tzaramontesos dae a mie criticados in su goso c’asa ja prubicadu, siguramente pro ispiratzione de Santu Mateu, n’apo fatu un ateru de ringratziamentu, iscritu comente s’ateru segundu sos consizos de Tore Patatu, chi poi est su ghi cherene sas concas de ou de Sa Regione Autonoma de sa Sardigna. Ringratzio Domitilla Mannu chi istustinada da-i-e-a mie in su telefono m’at dadu consitzos pretziosos.
Anghelu ‘e sa Niera
Goso de ringratziamentu pro Santu Mateu (2008)
Totu cantu Tzaramonte
Pro sa festa s’est movìdu
Man’ in petus e man’in fronte
su divotu est accudidu
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Scritto da ztaramonte
Pubblico con piacere questa poesia, direi estemporanea, che “Angelu ‘e sa Niera” ha scritto e mi ha inviato.
Ben’apidu Carolu, apo fatu custu goso ca ido chi si cras pioede, cheret narer chi Santu Mateu est tristu e tando bisonzat de l’invocare cun custu goso iscritu sigundu su comitadu rezionale de Sardigna.
Amezuvidere
Anghelu ‘e sa Niera
Goso pro Santu Mateu
Tristu ést Santu Mateu
De Tzaramònte protetore
Ca òfesu amus Deu
Curumpende nos su core
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Scritto da angelino tedde
Volendo concludere il discorso sul paesaggio urbano non si può dimenticare quello rurale dove numerose case sparse hanno letteralmente infestato impudicamente il territorio. Quelle d’interesse architettonico sono certamente nel Sassu gallurese, i cosiddetti stazi. Leggi tutto »
Scritto da ztaramonte
“Contados – Leggende sarde” di Grazia Deledda, a cura di Dolores Turchi, Roma, Newton Compton Editori, 1999, collana Italia Tascabile, 8
Questa leggenda la lessi tempo fa in un giornale letterario sardo, La terra dei nuraghes, diafanamente scritta da Pompeo Calvia, uno dei più gentili poeti sardi.
È sulla chiesa di S. Pietro di Sorres, vicino a Torralba: un’antica chiesa storica, ora quasi rovinata, ritenuta, dice il Calvia, per il più antico monumento dell’arte medioevale che vanti la provincia. La dolce e misteriosa leggenda narra che viveva anticamente, forse verso il mille, un giovine mastro di Sorres, artista, poeta gentile; il quale tornando nel suo paese dopo aver studiato oltremare, presso un pittore ed architetto famoso, rimarcò nel villaggio una finestra misteriosa «dove con molta grazia ed abbondanza crescevano le rose, e le campanule s’intrecciavano alle spirali delle colonnine», che non si apriva mai, e tra i cui fiori non appariva mai nessuna testa. Solo ogni mese un arazzo intessuto di astri, di figurine e di foglie d’alloro, sventolava leggero sul davanzale, ma invisibile era la mano che lo spargeva e lo ritirava. Mosso dalla curiosità il giovane artista chiese informazioni su quella casetta arcana; ma nessuno gliele seppe mai dare. Il mistero più intenso regnava là intorno.
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Scritto da angelino tedde
Certamente il rione de sa Niera è andato sviluppandosi tra Otto e Novecento, dato che la caserma risulta coeva alla Casa Comunale-Scuola edificata in Pala ‘e Chercu e non lontana da s’Ulumu, nel 1874. Entrambi questi edifici, in via di restauro, offriranno servizi culturali utili allo sviluppo turistico-culturale del paese, dal momento che sembra che nel primo dovrebbe rifiorire la Biblioteca e nel secondo il Museo etnologico del mondo contadino e pastorale.
Non mancano all’interno dell’area urbana le chiese: l’oratorio del Rosario, forse costruito a metà del Seicento e la chiesa del Carmelo coeva all’abbattuto seicentesco Convento del’Ordine dei Carmelitani di antica osservanza, le cui carte sono a disposizione presso la Biblioteca dei Beni Culturali di Sassari (Universitaria).
Alle appendici del Monte de Cheja si trova la chiesa di San Giovanni, edificata ai primi del Novecento. Queste tre chiese, oltre alla parrocchiale di San Matteo, offrono ai compaesani del primario agglomerato urbano l’occasione di meditare sui nostri santi patroni durante il ciclo liturgico, ma all’occorrenza possono essere utilizzate per convegni e manifestazioni musicali. D’estate, qualche volta lo si è fatto, offre ampio spazio anche l’aula della chiesa di San Matteo del monte con il suo fascino seicentesco e l’essere collocata proprio sull’area di sedime del Castello dei Doria.
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Scritto da angelino tedde
Il tema l’ho già trattato in due occasioni su patatu.it vorrei continuarlo in questo sito.
Premesso dunque che dobbiamo amare il paese perché rafforza la nostra identità e fa parte della nostra storia, aggiungo che dobbiamo amarlo segnalando anche le cose che non vanno e che lo deturpano, rendendo disagevole la vita dei suoi cittadini.
Ad esempio è incantevole vedere come la popolazione di questo borgo abbia scelto con tenacia di vivere arroccato sulle tre colline di Monte ‘e Cheja (470 ) di Cudinarasa (462 m.), del Carmelo (455) e infine, sul pianoro di Codinas (430), quasi in groppa a tre verdeggianti muli e poi sulla lunga coda. Certo Chiaramonti non è stato sempre così. Dopo carruzzu longu, carruzzu ‘e ballas, carrela longa e piatta, costruite con la testa in su quasi a sfidare il monte, ha preferito adagiarsi alle pendici delle tre colline seguendo le isoipse e organizzandosi ad anfiteatro, alla base del quale, a fine Ottocento, ha scelto di costruire la chiesa parrocchiale cuore pulsante della vita cristiana della comunità. Ivi si viene battezzati, comunicati e confessati; ivi si viene cresimati, ci si sposa e si dà l’arrivederci per la vita eterna. Il ciclo della vita si apre e si chiude nella chiesa di San Matteo, santo protettore donatoci dai Doria.
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Scritto da ztaramonte
Mi ricordo che durante la mia fanciullezza, mia madre spesso, mentre svolgeva le faccende in casa canticchiava alcune canzoni, spesso in sardo, e qualcuna mi è rimasta impressa nella mente come questa :
“In su mont’e Gonare
cantat una sirena,
chi cantat nott’e die.
In su mont’e Gonare
si non mi dan’a tie,
mi trunco carchi vena
e mi lasso isvenare”
E’ così che leggendo questo racconto, mi tornavano frequentemente in mente questi versi mai scordati, che però non hanno niente a che fare con la breve lettura che andremo a visitare.
Carlo Moretti
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