Chiaramonti, il portale delle vostre idee

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Concerto del gruppo MARIAMARI’ il 5 giugno a Chiaramonti.

Scritto da carlo moretti

Sabato prossimo, 5 giugno, presso il cortile del circolo “THE FLY” (palazzo del Banco di Sardegna), in via Brigata Sassari a Chiaramonti, si terrà un concerto del gruppo MARIAMARI’ (componenti dei NASODOBLE) con inizio alle 21:30 ed ingresso gratuito.

L’evento è organizzato dalla Federazione Italiana della Caccia – sezione di Chiaramonti e  la collaborazione del Gruppo XXL e della Pro Loco Chiaramonti.

Partecipate numerosi.

Clicca sull’immagine per ingrandire la locandina.

DE SU POTENTE ET FORTE BRANCALEONE di Giovanni Deputzo

Scritto da carlo moretti

GIOVANNI DEPUTZO
Di Monteleone. Era mercante di professione, parteggiante di Nicolò Doria, e nemico dichiarato degli Aragonesi che spogliarono quello con guerre sleali di tutti i suoi feudi. Visse nella prima metà del secolo XV. I due suoi componimenti che ci sono pervenuti sono molto preziosi, e più per la parte storica che per la parte poetica. [I versi della prima poesia sono seguiti da una nota di chiusura relativa all’autore: «De su supradictu mercatore de Monteleone, su quale fugesit ad Aristanis in sa edade de annos LXVI» (Del suddetto mercante di Monteleone, che fuggì ad Oristano in età di 66 anni). Nell’indice alfabetico dei poeti Spano lo chiama De Putzo].

(Le notazioni in rosso, possono essere raggiunte in automatico al margine cliccandoci sopra  con l’articolo completamente aperto – vedi “leggi tutto”)

DE SU POTENTE ET FORTE BRANCALEONE [*]

1 De su potente et forte Brancaleone
fizu fudi su donnu Nicolosu
hapidu cun donn’Anghela Melone,
fruttu de un’amore tormentosu.
Onne[1] gentile et bona educatione
dadu l’haviat su padre[2] affectuosu:
s’istudiu sufficiente – et s’arte de sa gherra
in cust’istesa terra – apprendesit valente
et proite fudit[3] de grand’intendimentu
de sos sabios fudit su cuntentu.

2 Mortu su fizu ’e donna Eleonora
cun su padre monstrad’hat su valore
s’esercitu sighende ad onne hora,
saltiggiando castellos cun furore
contra sa gente istranza et traitora,
sa patria difendende cun honore;
et quando s’Arboresu – discazzesit su conte
faghende grande fronte – ochirit donnu Aresu,[4]
ma feridu su padre Brancaleone
s’inserresit cun ipso in Monteleone.

3 Ma bènnidu su bisconte de Narbona
ad gubernare s’arborea gente
factu ch’haviat un’alleanza bona[5]
cun su conte et su fizu sou valente
chi sas gentes dughiat de s’Anglona;
cun ipsos s’incaminat fieramente
contra su re Martinu – qui a Kalaris benesit,
et gherra illi factesit – cun felice destinu
chi rutu cust’esercitu alleadu
ad stentu su bisconte fuit salvadu.[6]

4 Ad stentu su bisconte s’est salvadu
pro mesu de su forte Nicolosu,
ma su conte dae caddu trabuccadu
in sa stessa battaglia corazosu
raccumandesit a su fizu amadu
sas terras et contadu suo gloriosu;
in tanta confusione – fugit cullu bisconte
et su pizzinnu conte – tornat dai Monteleone,
inhue posca cun filiale cura
ad su padre donesit sepultura.[7]
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Dagli scavi spuntano un antico villaggio e un santo misterioso – La Nuova Sardegna 18 maggio 2010

Scritto da carlo moretti

Un villaggio medievale scomparso, una chiesetta romanica dedicata a Santa Maria Maddalena, l’epigrafe trecentesca di un santo sconosciuto e, per certi versi, misterioso. Ci sono tutti gli ingredienti tipici della trama di uno di quei best-sellers – sullo stile de Il Codice da Vinci – che negli ultimi anni hanno appassionato migliaia di lettori, anche in Sardegna. In realtà si tratta dei primi interessanti risultati che fanno da sfondo a una importante ricerca archeologica avviata alcuni anni fa dalla Cattedra di Archeologia medievale dell’Università di Sassari, diretta dal professor Marco Milanese, insieme al Comune di Chiaramonti, alla Soprintendenza archeologica e con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna.  Lo scenario – decisamente suggestivo – è quello di Orria Pithinna, piccola località a circa 5 chilometri a sud-ovest di Chiaramonti, dove sorge la chiesa campestre di Santa Maria Maddalena che domina e controlla una pittoresca vallata. Il santuario, in stile romanico, venne costruito agli inizi del Duecento impiegando conci di calcare bianco e di trachite rossa disposti a filari alternati, una soluzione decorativa che la rende davvero unica nel suo genere.  Le ricerche nel sito di Orria Pithinna stanno cominciando a dare i primi risultati: è stata perimetrata la parte relativa a un monastero camaldolese, individuata l’area su cui sorgeva il villaggio, eseguite mappatura e analisi completa delle testimonianze epigrafiche e dei graffiti rilevati nella chiesa. Proprio grazie a quest’ultimo studio – compiuto dall’epigrafista medievale Giuseppe Piras – è emersa una scoperta che ha del sensazionale. E’ stata finalmente decifrata una iscrizione del XIV secolo, incisa all’esterno della cappella meridionale, che ha svelato l’esistenza di una sepoltura relativa a un personaggio. Si tratta di un certo Autedus, al quale viene attribuito nell’epigrafe l’appellativo di sanctus.  «Non si tratta di un santo per il quale vi fu un processo di canonizzazione con il riconoscimento ufficiale della Curia di Roma – spiega lo studioso di Porto Torres che ha pubblicato i risultati della ricerca negli Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – ma verosimilmente di un personaggio (forse legato al priorato camaldolese, un monaco o un eremita), che per la sua esistenza virtuosa venne acclamato santo spontaneamente dalla comunità di fedeli, i quali insieme alla loro devozione gli tributarono impropriamente il titolo di santo». Le ricerche non hanno fornito altri elementi riferiti ad Autedus e tantomeno al suo culto. «Non ne è rimasto ricordo – sottolinea Giuseppe Piras – nemmeno nella toponomastica locale. La spiegazione più probabile è che questo culto locale sia sorto nel Trecento in concomitanza con il periodo drammatico vissuto dagli abitanti di Orria Pithinna e si sia spento rapidamente con l’abbandono del villaggio e del priorato camaldolese. Abbandono che per giunta – dice Piras – può avere prodotto nei suoi confronti quasi l’effetto di una damnatio memoriae da parte della popolazione».  L’indagine diretta dal professor Marco Milanese apre un filone importante per il recupero di risorse straordinarie, non solo per la storia medievale della Sardegna ma anche in termini di attrazione dei flussi di turismo culturale e scolastico.  «Il progetto sui villaggi abbandonati della Sardegna è cominciato una quindicina d’anni fa – racconta il professor Milanese – con una attività svolta direttamente sul territorio e non in maniera astratta. Con due obiettivi fondamentali: tutelare le risorse e assumere un ruolo responsabile per la loro valorizzazione e conseguente trasmissione alle generazioni future».  Conoscenza storica, dei tempi e delle dinamiche, scoprire come erano organizzate le popolazioni medievali, come erano fatte e quanto erano grandi le case, valutare le strade, il tutto con la convinzione che «l’archeologia può dare un contributo determinante per mettere insieme la storia della società». Lavorare e fare in modo che alla fine sia la sosietà stessa «a impadronirsi di un patrimonio così significativo».  Dalle fonti storiche, emerge che la chiesa intitolata a Santa Maria (la ridedicazione alla Maddalena compare, ancora inspiegabilmente, in documenti del Settecento), il 10 luglio 1205 venne donata dalla nobildonna Maria de Thori (zia di Comita giudice di Torres) all’Ordine Camaldolese. I monaci si stabilirono nel territorio e fondarono un monastero che divenne un priorato (dipendeva dall’abbazia di Saccargia) e si impegnarono per rendere produttivi i terreni divenuti di loro proprietà. Tra il 1323 e il 1335 – lo confermano le epigrafi presenti nella chiesa, decifrate proprio di recente – i monaci la restaurarono rifacendo il portale e la ampliarono aggiungendo due cappelle laterali. La situazione cambiò radicalmente nella seconda metà del Trecento: tutta l’Anglona divenne teatro della guerra scoppiata tra i Doria (che dominavano da secoli quelle contrade), il giudice di Arborea loro alleato e il sovrano d’Aragona. Il conflitto durò dversi decenni e portò devastazione e morte, oltre alle ondate di carestie e pestilenze. Una situazione terribile che spinse i monaci ad abbandonare il territorio e a rifugiarsi in villaggi limitrofi, fino a spostarsi nel neonato borgo fortificato di Chiaramonti (già nel 1350) considerato più sicuro.  Oggi, unica testimone di quelle tragiche vicende è rimasta solo la chiesa di Santa Maria Maddalena: sono scomparsi il monastero e il villaggio di Orria Pithinna insieme agli altri vicini. Il progetto partito nel 2005, diretto appunto da Marco Milanese e coordinato sul campo dagli archeologi Gianluigi Marras e Maria Cherchi ha come obiettivo proprio quello di individuare e riportare alla luce insediamenti medievali dei quali si è persa traccia.  «Occorre puntare sul discorso più ampio di politica culturale – ha rimarcato Marco Milanese – e lavorare senza lasciare un vuoto interno. In quei terreni, oggi in larga parte incolti o abbandonati, c’è sotto la storia e potrebbero diventare una attrazione in più per il territorio. Bisogna partire dal basso, lavorare sulle scuole, sensibilizzare i Comuni che altrimenti rischiano di perdere l’aggancio con la loro identità».  Ora non resta che attendere che le indagini e gli scavi archeologici previsti dal progetto possano fare riemergere i resti del villaggio, del monastero camaldolese. E magari consentano di ritrovare anche la sepoltura di Autedus, il misteroso santo di Orria Pithinna.

Gianni Bazzoni

Festa in onore di Santa Giusta 2010

Scritto da carlo moretti

Chiaramonti si prepara nei prossimi giorni, a rinnovare il voto a Santa Giusta Patrona degli automobilisti che si svolgerà come sempre proprio alla vigilia dell’Ascensione.

Il comitato 2010 composto completamente da giovani ragazzi, dimostrano come ogni anno impegno per festeggiare una delle icone religiose chiaramontesi, al quale i cittadini sono più devoti.

E non è poco il lavoro che svolgono per i preparativi che tradizionalmente  dovranno affrontare con la preziosa collaborazione della Proloco di Chiaramonti.

Prima di proporvi il programma dei festeggiamenti, vi segnalo due link relativi ad articoli precedentemente pubblicati nel nostro sito, uno riguarda la storia di Santa Giusta, mentre l’altro riiguarda un simpatico racconto della festa della Santa ambientata all’incirca alla fine dell’800 o al più tardi agli inizi del secolo scorso:

Storia di Santa Giusta

Andende a Santa Giusta di Giorgio Addis

  • Programma festeggiamenti

12-13-14 Maggio:

Triduo in onore di Santa Giusta nella chiesa campestre della santa.

Sabato 15 Maggio:

ore 11:00 – S. Messa solenne in onore di Santa Giusta

ore 13:00 – Pranzo a base di pasta e carne di pecora, in seguito intrattenimeto con giochi per adulti, bambini ed esibizione di parapendio organizzata dall’Associazione i Grifoni

ore 18:00 – S. Messa animata dal Coro Parrocchiale,  a seguire corteo automobilistico con il simulacro della santa verso la Chiesa Parrocchiale di San Matteo.

ore 22:00 – Carla Denule e Sardinia remix in concerto

Domenica 16 Maggio:

ore 8:30 – S.Messa nella Parrocchia di S.Matteo

ore 10:30 – Partenza del corteo automobilistico con il simulacro della santa verso la chiesetta campestre di Santa Giusta dove alle ore 11:00 sarà celebrata la Santa Messa animata dal “Coro de Tzaramonte”

ore 18:00 – S. Messa nella chiesa di Santa Giusta

ore 22:00 -Carovana Folk in concerto

LA DAMA BIANCA di Grazia Deledda

Scritto da carlo moretti

Vicino ad uno dei più pittoreschi villaggi del Nuorese, noi abbiamo un podere coltivato da una famiglia dello stesso villaggio.

Il capo di questa famiglia, già vecchio, ma ancora forte e vigoroso, – strano tipo di sardo con una soave e bianca testa di santo, degna del Perugino, – viene ogni tanto a Nuoro per recarci i fitti ed i prodotti del podere, e ogni volta ci racconta bizzarre storie che sembrano leggende, invece accadute in realtà tra i monti, i greppi, e le pianure misteriose ove egli ha trascorso la sua vita errabonda, e a molte delle quali egli ha preso parte… Egli si chiama zio Salvatore.

Ecco dunque l’ultima storia che egli ci ha raccontato, che molti non crederanno, e che pure è realmente avvenuta in questa terra delle leggende, delle storie cruente e sovrannaturali, delle avventure inverosimili.

Era una notte di maggio del 1873. In una capanna perduta nelle cussorgias solitarie del villaggio di zio Salvatore, due giovani pastori dormivano accanto al fuoco semi-spento. Fuori, vicino alla capanna, le vacche dormivano nell’ovile di pietre e di siepe, e la luna d’aprile, tramontando sull’occidente di un bel roseo flavo, illuminava la campagna sterminata, nera, chiusa da montagne nude, a picco. A un certo punto uno dei pastori si svegliò, e rizzandosi a sedere guardò se albeggiava. Visto che la notte era ancora alta ravvivò il fuoco, e, a gambe in croce restò un momento muto, immobile, tormentato da un pensiero; poi svegliò il compagno.

Erano entrambi bruni, simpatici e forti, ma il primo svegliato, che si chiamava Bellia, cioè Giommaria, era più alto e ben fatto, con una testa signorile che colpiva, e faceva chiedere se a chi apparteneva non era figlio di qualche ricco Don.

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L’eredità problematica del vice vicario Baingio Cabresu Falchi del 30 dicembre 1833 in Chiaramonti.

Scritto da angelino tedde

Il vicario Giovanni Satta detta il testamento nel settembre del 1832, trovandosi infermo, dopo circa 38 anni di cura d’anime in Chiaramonti, del vice vicario non conosciamo l’inizio del ministero, ma conosciamo la data del testamento e quella di morte, dal momento che l’inventario dei suoi beni viene effettuato nel giugno del 1834, quindi dopo la sua morte.

Egli detta il testamento al notaio, ugualmente di notte, alla luce di tre candele, come il vicario, ma con testimoni diversi da quelli del del vicario. In ordine alfabetico si tratta di Casula Francesco, sacerdote, Cossiga Baingio, chirurgo, Migaleddu Baldassarre, Talu Antonio, Tedde Vincenzo, medico. Come si vede i medici abbondano, ma è presente anche il chirurgo, probabilmente per fargli calare la pressione alta applicandogli le sanguisughe. Il medico, nell’allora curriculum universitario, doveva seguire un corso di 6 anni e doveva curare i malati ricorrendo alla farmacopea, mentre il chirurgo seguiva un corso di cinque anni e doveva sempre intervenire con varie operazioni sul corpo del malato. L’uno non poteva invadere il campo dell’altro. Soltanto nel 1857 furono unificati del tutto i due corsi ed ecco perché, quasi un relitto storico, ogni medico anche oggi viene detto medico chirurgo benché non sia deputato a fare operazioni a meno che non sia specializzato in chirurgia.

La formula seguita dal notaio, salvo qualche svarione, segue quella  del vicario e sarebbe superfluo soffermarci ancora su di essa. Il vice vicario vuole essere seppellito anch’egli nella parrocchiale di San Matteo al Monte. I curatori dei funerali oltre che la sorella Francesca sarà anche il nipote Giorgio Falchi. D’altra parte la donna, presumibilmente illetterata, ma non analfabeta come vedremo nella stesura dell’inventario, aveva pur bisogno dell’aiuto del cugino, visto che don Baingio ha una situazione immobiliare problematica, proprio per non dire “incasinata” come volgarmente si dice oggi.

Il nostro dà inizio al testamento disponendo che la nobildonna Anniga Solinas della quale è stato procuratore per tanti anni, saldi i cento scudi dovutigli ai suoi eredi, si suppone intentandogli causa, visto che la donna non glieli ha ancora resi; altra grana è la casa abitata da una sua nipote per la quale questa deve pagare l’affitto.  E siccome, si dice non c’è due senza tre, la terza grana deriva da una casa lasciatagli dalla defunta Giovanna Satta, in stato precario e da lui restaurata con 33 scudi, e per il valore della quale doveva celebrare delle messe, egli dispone che una volta tolti dall’affitto quanto vi ha investito, esso debba essere versato alla Causa Pia, mentre lui si è rifatto trattenendo un terreno che trovasi in località Orria Pizzinna, del valore di 9  scudi come da estimo eseguito dai periti Vincenzo Unali e Vincenzo Fiori.

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Il testamento del vicario di Chiaramonti (1795-1833) Giovanni Satta. A cura di Angelino Tedde.

Scritto da angelino tedde

Per rendere edotti i miei 5 lettori, compreso quello che mi abbassa la valutazione, cliccando sulla stellina meno generosa, a quanto già detto sugli atti dei primi anni Trenta dell’Ottocento, offro la lettura di due testamenti di notevole interesse perché sono del Vicario Satta (1795-1833) e del vice vicario Cabresu (Falchi).

Per questa puntata presentiamo il testamento del vicario.

Il vicario Giovanni Satta fa testamento nel 1832, l’uomo  è talmente malridotto che non riesce a firmarlo. Egli lo detta di notte alla luce di tre candele.

L’altro elemento importante che risalta è la constatazione di testimoni quasi tutti con grado universitario. Li elenchiamo in ordine alfabetico: Cabresu Baingio, sacerdote, Cossiga Gavino, chirurgo, Falchi Sanna Pietro (Cristoforo), (notaio), Ferralis Domenico, baccelliere in medicina, Multineddu Giovanni, presumibilmente maestro d’arte.

La premessa del testamenti è rituale e fa riferimento alla morte, sempre certa, ma incerto il momento in cui questa avviene. Da ciò la determinazione di fare testamento.

Il secondo pensiero del vicario è rivolto a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Sua Santissima Madre, la Vergine Maria, Avvocata dei peccatori davanti al giudizio di Dio.

Si passa quindi all’enunciazione di una grande verità di fede, molto consolatoria al momento della morte: il vicario chiede l’accoglienza dell’anima nella Patria Celeste, non per i pochi  suoi meriti, ma per il Preziosissimo Sangue, sparso durante la Passione e morte da Gesù Cristo, in espiazione dei peccati degli uomini, per sollecitare la Misericordia di Dio-Padre verso l’umanità peccatrice.

Provveduto, quindi, al bene dell’anima, il vicario passa alla scelta della sepoltura ecclesiastica nella chiesa parrocchiale di San Matteo al Monte e alle relative  pompe funebri.

Fatta questa debita e rituale premessa, si passa ai beni della terra e alla loro destinazione, perché questi non si possono portare all’altro mondo.

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