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VI. Le prime indagini sull’archeologo morto ammazzato a Miramonti nel 1889 di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Appena il cielo iniziò a schiarire il pretore di Vulvu col brigadiere e con due militi lasciarono la caserma a cavallo diretti al rio Filighesos presso la domus sulla roccia rossastra per rimuovere il cadavere dell’archeologo miramontano Antonio Pedde, vegliato nella notte da un milite e dal pastore Mudulesu del Nuraghe Aspru. Ci vollero due ore di cammino per raggiungere la località, lanciando di tanto in tanto al trotto i cavalli. Passati davanti alla chiesa di Santa Maria Bambina, detta anche, de Aidos, raggiunto il rio Giunturas, che in altimetria degrada almeno duecento metri da quella del paese, posto a 450 metri sul livello del mare, giunsero a sa Punta de sas Tanchittas e via a spron battuto verso il rio Filighesos.

I due custodi del cadavere si erano svegliati presto e avevano preparato due fascine di cisto su cui legarlo. Il brigadiere, il pretore e il milite, appena raggiunta la domus, diedero l’ordine di calare dalla grotta il cadavere dell’archeologo. Due militi col pastore Mudulesu entrarono nella grotta, sollevarono il cadavere ormai freddo del morto, lo poggiarono sulla fascina di cisto e lo legarono con robuste corde. Farlo uscire da quella porticina non fu facile e poiché il morto era a braccia aperte, chiesero al pretore l’autorizzazione di spezzargli le braccia, per piegarle in forma rituale e trasportarlo fuori della grotta. Mudulesu, il più esperto uscì per primo dalla domus e si ancorò agli spuntoni esterni, così da supportare energicamente la fascina di cisto e orientarla correttamente, mentre i due militi la spingevano fuori, tenendo da un capo all’altro, con due corde, il cadavere e la fascina a mo’ di barella. Il cadavere scivolò così fino a toccare terra dove l’altro milite e il brigadiere la spostarono in modo tale che il pretore potesse osservare il poveretto. Il magistrato notò subito il marchio sulla fronte e al lato destro della tempia abrasioni medie, guardando per i fianchi osservò che l’abito era rotto da una larga fessura attraverso la quale si notava l’effetto d’una stilettata che aveva procurato al morto un’evidente emorragia. Capì subito che l’uomo era stato pugnalato di fianco dall’assassino, steso con un colpo contundente alla tempia e poi marchiato in fronte con il marchio di una protòme taurina arroventata. Volle vedere anche la bisaccia e notò subito i ferri del mestiere: una cazzuola, una piccozza, un martello, uno scalpello e poi una sacchetto con due boccette ripiene una certamente d’acqua e l’altra d’olio, più tre crocifissi; nell’altra tasca della bisaccia vi era del pane del formaggio e un pezzo di lardo. Il pretore divenne nervoso per lo spettacolo raccapricciante a cui pure era abituato e, sigillata con due corde le sacche della bisaccia, diede ordine di trasferire il cadavere oltre il fiume e condurlo in alto nei pressi de s’istrampu del rio, dove il porcaro Zulianu, servo di Mudulesu, aveva approntato un carro da buoi, per condurre il cadavere in paese. Il pretore impartì l’ordine di partire e si rassegnò a seguire quel rozzo carro funebre trainato da buoi. Passarono due ore e mezzo prima di raggiungere, nei pressi di Codinas, sa Punta de Bona Notte. Dopo una breve sosta il carro continuò verso Caminu de Litu e quindi in via Garibaldi, fino alla casa del morto, dove le donne cominciarono un tristissimo lamento senza ottenere la restituzione del caro estinto che per legge doveva essere condotto nella camera mortuaria del Camposanto, per essere esaminata dal medico legale di Vulvu dr. Donaru, che aveva sostituito il vecchio dr. Pische, dopo l’assassinio di Maria Giusta Molinas, Anna Maria Brinca e il sicario.

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“La Chiesa testimoni il suo amore preferenziale per i poveri”: così mons. Francesco Antonio Soddu, nuovo direttore di Caritas Italiana

Scritto da carlo moretti

Sarà presto a Roma, mons. Francesco Antonio Soddu, (nato a Chiaramonti nel 1960) per assumere il suo incarico di nuovo direttore della Caritas Italiana, nominato dal Consiglio permanente della Cei. Mons. Soddu, finora direttore della Caritas diocesana di Sassari e parroco della cattedrale del capoluogo sardo, subentra a mons. Vittorio Nozza, che ha diretto la Caritas Italiana dal 2001 ad oggi. 52 anni, mons. Soddu ha compiuto gli studi teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. “La nomina a direttore della Caritas Italiana – ha confidato – crea in me uno stato di vertigine indescrivibile”. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Ho accolto questa notizia con molta meraviglia e la sto vivendo con molta trepidazione. Capisco più che mai lo stato d’animo degli Apostoli, di tutti i profeti, quando sono stati chiamati da Dio. In un primo momento il loro atteggiamento poteva forse sembrare riluttante, ma dinanzi ad una chiamata così grande, tutte le forze e le sicurezze vengono chiaramente a mancare. Davanti alla chiamata autentica di Dio non si può che rispondere: “Eccomi!”. Con questa risposta si vuole dire che si è pieni di fiducia e che il Signore saprà agire attraverso la nostra incapacità ed anche il nostro essere indegni.

D. – Lei dal 2005 è stato direttore della Caritas diocesana di Sassari ed ora riveste quest’importante incarico. Quali sfide sente di dover affrontare arrivando a Roma, alla Caritas italiana?

R. – La prima sfida è verso me stesso, perché ho ancora molto da imparare. Sotto questo punto di vista sono ancora molto spaventato, ma metterò in pratica quello che è il metodo della Caritas, che cercherò di portare avanti e di incarnare nella mia persona: ascoltare, osservare e discernere. Credo che questa sfida possa essere ben superata.

D. – Viene spontaneo pensare al fatto che il suo trasferimento coincida con un periodo non certo facile per l’Italia…

R. – Tutte le stagioni e tutte le epoche sono state particolari per chi le ha vissute. Questo è il nostro tempo. In questo nostro tempo, ed in questo nostro Paese, la Chiesa deve testimoniare sempre il suo amore preferenziale per i poveri, partendo dagli ultimi, rispecchiando la legalità e tutti quelli che sono i capisaldi del messaggio evangelico.

D. – In conclusione, cosa augura a se stesso?

R. – Auguro a me stesso di essere all’altezza di ciò che il Signore, mediante la Chiesa, mi sta affidando. Quasi 27 anni fa – vi faccio questa confidenza – quando diventai sacerdote, nel santino della prima Messa che generalmente si dà, ho fatto stampare la frase della Sacra Scrittura: “Signore, io vengo per fare la tua volontà”. Soltanto in nome della volontà di Dio si affronta tutto ciò che la Chiesa ci affida, con quel grande senso di fiducia che si accompagna a quel sano timore che non deve mai mancare, altrimenti si possono creare un po’ di pasticci.

Radiogiornale vaticano del 28.o1.2012

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L’ Istituto Comprensivo “F. Pais Serra” di Nulvi con la partecipazione del Centro ebraico di Roma e del Comune di Chiaramonti ricorda “Il Giorno della Memoria”

Scritto da carlo moretti

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Il testo dell’articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»

La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.

Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall’ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.(vidia)

In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi, Chełmno, e Bełżec, ma questi campi detti più comunemente di “annientamento” erano vere e proprie fabbriche di morte dove i prigionieri e i deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo pochi “sonderkommando”, che in italiano vuol dire unità speciale.

Tuttavia l’apertura dei cancelli ad Auschwitz, dove 10-15 giorni prima i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con sé in una “marcia della morte” tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento del lager (anche se è doveroso riportare che due dei forni crematori situati in Birkenau I e II furono distrutti nell’autunno del 1944)[senza fonte].

In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell’alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l’Olocausto.

(Tratto da Wikipedia, L’enciclopedia libera)

 

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Settimo festival del folklore in Thailandia, presente il Gruppo Folk Santu Mateu de Tzaramonte.

Scritto da carlo moretti

Il SIFF (Surin International Festival Folclore) è una manifestazione nata nel gennaio 2006 e giunta oramai alla sua settima edizione. Proprio mentre scriviamo si sta svolgendo il festival che quest’anno si terrà dal 15 al 25 gennaio per noi nell’anno 2012 e in Thailandia nel 2555, ben 543 anni più avanti. Se poi consideriamo che il “Songran, il tradizionale Capodanno Thai cade all’incirca tra il 13 el il 15 aprile, è una festa religiosa che segna l’inizio dell’anno buddhista, ci troviamo proprio di fronte ad un altro calendario.

Il calendario Thai segue l’era buddhista pertanto il loro “l’anno domini” (che per noi è quello della nascita di Cristo) corrisponde secondo la tradizione al “Puttha Sakkaràt” ovvero l’anno della morte del Buddha. Secondo altre tradizioni invece all’introduzione della religione buddhista in Thailandia. Comunque il loro “conteggio dell’anno” attuale è di ben 543 anni avanti… quindi il nostro 2000 d.C. corrisponde al 2543 anno thailandese.

I quattro principali obiettivi sono i seguenti: Esibizione dei gruppi partecipanti dalle varie nazioni, Seminario Accademico Internazionale, Sfilata di moda dei paesi partecipanti, Canzoni, discorsi e dichiarazioni di pace per favorire la pace nel mondo

All’evento partecipano circa 200 persone provenienti da  India, Italia, Cina, Myanmar, Vietnam, LaoPDR, Cambogia, Indonesia, Filippine, Sri Lanka, Stati Uniti, Israele, e la Tailandia.

L’Università della Surindra Rajabhat, in Provincia di Surin organizza e gestisce molto bene il magnifico e sorprendente Festival.

In questo posto, le delegazioni che provvengono quasi da tutto il mondo, partecipano interagendo fra loro e condividendo tutte le esperienze acquisite nel tempo.

I thailandesi hanno una sola forma di saluto, sawasdee (si pronuncia savasdì) che viene usata in qualsiasi momento del giorno. Nel pronunciare il saluto si usa fare il “vài” che consiste nel congiungere le mani vicino al petto (nei confronti di uguali o inferiori), vicino al mento nei confronti di superiori, e vicino alla fronte nei confronti di alte personalità o al cospetto del Buddha.

Sawasdee quindi, a tutti gli amici thailandesi e al nostro magnifico Gruppo Folk che porta in giro per il mondo il nome del nostro paese Chiaramonti.

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Il marchio della Protòme Taurina – V. Le chiacchiere del paese sull’archeologo assassinato di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Il pretore di Vulvu accolse il milite della stazione di Miramonti giunto a cavallo per la triste notizia dell’archeologo assassinato.

-In quale domus l’hanno accoppato quest’ impiccione?-

-Presso il rio Filighesos, quella domus delle roccia che fa parete alla sponda opposta venendo da Miramonti.-

-Uh, ho capito, perbacco, sempre nel Sassu avvengono i delitti nel vostro territorio. Bella galoppata, mi tocca fare, ma per il Re e per l’Italia attenda che vengo subito, naturalmente non oggi, ma domattina ci si muove da Miramonti. Vengo a pernottare nella vostra caserma e domani mattina presto si va sul posto.-

Il pretore chiamò un inserviente, fece sellare il suo cavallo e seguì malinconicamente il milite, dicendosi che aveva scelto un bel mestiere, quello del becchino, ah, avesse potuto cambiare, lo avrebbe fatto volentieri. Accidenti agli archeologi e ai miramontani, gentaccia, abigeatari, omicidi, omertosi, incivili tutto sommato.

Il sole aveva oltrepassato il mezzogiorno da un bel pezzo e i due marciavano tra mulattiere e sterrate che portavano a Miramonti col sole in faccia, tanto che i due cavalli, a tratti s’infastidivano.

In paese tutti sapevano tutto o s’inventavano almeno una parte di tutto. Per alcune donne e i loro uomini fit lantadu a balla (ucciso a pallettoni), per altre si era sfraccellato cadendo dal costone roccioso di rio Filighesos, per altre sicuramente gli spiriti delle domus lo avevano ammazzato per soffoccamento., anima mia libera! I bambini dai quattro anni in su ascoltavano i genitori in casa e fuori ,per la strada le chiacchiere dei vicini e, purtroppo, si preparavano ad una notte d’incubi. A sa Niéra dove si piangeva il morto la maggior parte delle donne si erano recate ad abbracciare la moglie e le due figlie e di tanto in tanto una delle tre in lutto si lasciava andare ad un lamento.

Poi anche le voci si erano attenuate e la notte più nera del solito era scesa a coprire fortune e miserie dell’antico borgo medievale.

Il vicario, con la candela accesa sulla scrivania, vegliava in preghiera e si percuoteva il petto per l’incapacità di condurre il suo gregge a Dio. Prima di mettersi a letto cominciò a domandarsi chi poteva aver ammazzato l’archeologo Pedde. il più caro a Giuanne Ispanu e il più anziano di tutti quelli che Miramonti nutriva a pane e lardo. Poteva trattarsi di una vendetta, ma con quale scopo? Gli è che quando il demonio s’impossessa di un’anima non va tanto per il sottile e al momento di massimo dominio la induce al peggiore dei peccati: un fratello che uccide l’altro fratello.

Si addormentò con la corona del rosario sul petto, ma i suoi sogni furono turbati da visioni infernali: gli sembrava di trovarsi davani a San Pietro e un diavolo cornuto lo accusava di non aver fatto un bel niente per le anime di Miramonti, anzi, perdendo spesso la pazienza li aveva allontanati dalla frequenza in parrocchia, e lui a difendersi…Finché l’incubo non si dileguò e dormi in serenità.

In caserma, invece, il brigadiere, ormai tanti anni a Miramonti, con i militi si domandava chi poteva avere interesse ad uccidere Antonio Pedde che, a parte le arie per la passione di archeologo, era una brava persona e migliore sarebbe stata se non avesse assunto a tratti un atteggiamento di sufficienza nei confronti degli altri archeologi che, per questo motivo, lo detestavano. Mentre si scambiavano queste impressioni giunse il pretore con un altro milite. Gli diedero la camera predisposta per lui che non volle nemmeno ascoltarli e dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo se nera andato a dormire, già affaticato, per quanto lo attendeva il giorno seguente.

La moglie di Mudulesu, saputo che il marito con un milite avrebbe pernottato nei pressi della domus ormai tomba del morto ammazzato, portò loro un pò di minestrone di verdure per riscaldarsi, due stuoie e una coperta di lana da lei lavorata al telaio, e si congedò da loro tornando a casa con l’animo gravato dal peccato che aveva compiuto nella mattinata con l’amore mancato. Prese il rosario e cominciò a dirselo, chiedendo perdono a Dio per quella mancanza e promettendo che un peccato del genere non l’avrebbe più commesso.

Nella radura rane e grilli, cani e volpi facevano sentire i loro strani guaiti, mentre le pecore e i maiali, raccolti negli ovili venivano guardati nella notte da occhi rivolti al buoio, solo le stelle parevano ignorare il trambusto delle cose che avveniva a Sassu Altu. Il mondo era andato sempre così e diversamente non poteva andare finché pastori e animali si aggiravano in quell’immenso tavolato miocenico che offriva la sua vista a Miramonti e poi precipitava rovinosamente nel costone in su campu de Utieri dove il grano andava assumento colorito giallo e i fiumi e i ruscelli tendevano al magro.


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EVANGÈLIU SEGUNDU MATTEO – Traduidu dae Giovanna Santoru

Scritto da carlo moretti

SA MISSIONE DE SU BATTISTA.

In cussas dies Giovanni Battista fit preighende in su desertu de sa Giudea, e naraiat: «Cunvertìdebos, proite su regnu de  sos chelos s’acurtziat!». Issu est su chi aiat annuntziadu su profeta Isaia nende:

Boghe de unu chi abboghinat in su desertu:
preparade sa via de su Segnore, deretade sas semidas suas!

Giovanni giughiat unu bestire de pilos de cammellu e una chintorza de pedde in tundu a sos fiancos; su màndigu sou fint tilipisches e mele areste. Tando acudiat a issu meda zente dae Gerusalemme e dae tota sa Giudea e, cunfessende sos pecados issoro, si faghiant batizare in su fiùmene Giordano. Bidende però meda fariseos e sadduceos bènnere a su batizu sou, aiat nadu:

«Ratza de pìberas! Chie bos at sugeridu de lassare s’ira imminente?  Faghide duncas frutos dignos de cunversione, e non pensedas de poder nàrrere:
Amus Abramo comente babbu. Bos naro chi Deus potet fagher ispuntare fizos de Abramo dae custas pedras. Sa bistrale est già posta in sa raighina de sas àlvures: dogni àlvure chi non produit frutos bonos at a èssere segada e furriada in su fogu. Deo bos batizo cun abba pro sa cunversione; però su chi at a bènnere pustis de a mie, est pius forte de a mie e deo non so dignu mancu de li giùghere sos sàndalos: isse bos at a batizare cun s’Ispìritu Santu e cun su fogu. Isse giughet in manu sa palarzola, at a pulire s’arzola sua e at a coglire su trigu sou in s’orriu, at a brujare però sa pula cun fogu chi non si podet istudare».

SU BATIZU DE GESUS.

In cussu tempus Gesus dae sa Galilea fit andadu in su Giordano dae Giovanni pro si fagher batizare dae issu. Giovanni però non fit de acordu e naraiat: «Deo apo bisonzu de èssere batizadu dae te e tue benis a mie?». Ma Gesus l’aiat rispostu: «Lassa fàghere pro como, proite cumbenit chi gai giompimus a dogni giustìscia ». Tando Giovanni l’aiat batizadu. Apena batizadu Gesus fit bessidu dae s’abba: e eco chi sos chelos li si fint abertos e aiat bidu s’Ispìritu Santu falende comente una culumba chi beniat subra de issu. Poi una boghe dae su chelu aiat nadu: «Custu est su fizu meu istimadu, in su cale deo mi so cumpiàghidu».

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Studi storici sui dialetti della Sardegna Settentrionale di Mauro Maxia – Capitolo 3

Scritto da carlo moretti

Capitolo 3

Sardo e còrso dallo scorcio del Medioevo agli inizi dell’Etá Moderna

Che il settentrione della Sardegna, almeno dalla seconda metà del Quattrocento, fosse interessato da un forte presenza còrsa si può desumere da diversi punti di osservazione. Il Wagner, a proposito delle desinenze del perfetto, osservava che le antiche forme logudoresi “…nei testi dei secc. XVI e XVII occorrono ancora, ma accanto alle nuove formazioni in -ési”, precisando che le forme del perfetto debole della 3^ coniugazione “…sono state soppiantate, a partire dal sec. XVI, da nuove forme di perfetto, nelle quali la desinenza -esi, -isi, presa dai perfetti in -s-, si affigge ora al tema del presente, ora a quello del perfetto; accanto a presi sorge prendesi; accanto a fegi si dice fegisi, ecc.

Oggi tutti i verbi formano un perfetto in – ési nel logud. sett., unica regione in cui attecchí tale formazione, e accanto a questa ve n’è un’altra in -éi senza differenza di funzione e di significato”32.

Non vi è chi non veda la correttezza delle osservazioni del grande tedesco, ma donde proviene la desinenza in -ési del perfetto nel logudorese settentrionale? E come mai essa si radicò, accanto alle genuine forme in -ai ed -ei, soltanto nell’area settentrionale del Logudoro?

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