Chiaramonti, il portale delle vostre idee

Il libero spazio per le vostre opinioni

Coraggiu – di Giovanni Maria Dettori

Scritto da carlo moretti

Giovanni Maria Dettori di Siligo (XX secolo)

Fu Parroco di Chiaramonti dal 1951 al 1983, era scrittore e modernissimo interprete di poesie in logudorese.

Ha collaborato alla rivista S’Ischiglia, scritto su Libertà e La Nuova Sardegna. Molteplici e notevoli i riconoscimenti al Premio di poesia Città di Ozieri: la segnalazione per ben quattro anni consecutivi, dal 1960 al 1963;  il premio speciale Medaglione dell’Accademia de “I 500” di Roma alla nona edizione, nel 1964; la menzione d’onore nel 1966 e la menzione speciale d’onore nel 1967.

Coraggiu

Curvu,
guasi opprimidu da un’istoria de affannos,
dasa a sa terra lagrimas,
a su irde sas isperas:
est dogni ena unu pane,
est dogni sulcu una cascia
pro fizos tuos?

Coraggiu!
Su eranu hat carignos de frinas,
malmuttos e fiores
e coronas de prata
pro te, altare umanu.

Coraggiu!
S’istiu t’abbrunzat dogni vena
E ti’estit de siendas:
s’ispiga riet de oro
e ninnat, amorosa,
su fruttu de antigas penas,
su semen de fiamas noas!

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EVANGÈLIU SEGUNDU MATTEO – Traduidu dae Giovanna Santoru

Scritto da carlo moretti

SA NÀSCHIDA DE GESUS.

Sa mama de Gesus

Maria, fit s’isposa promissa de Giuseppe, e innantis de andare a vìvere umpare si fit agatada ràida pro òpera de s’Ispìritu Santu. S’isposu sou Giuseppe, chi fit giustu e non la cheriat repudiare, aiat tando detzisu de la dispedire in secretu. In s’ìnteri chi fit pensende a custas cosas però, un ànghelu de su Segnore l’aparet in su sonnu nèndeli:

«Giuseppe, fizu de Davide, non timas de leare cun tegus Maria, tua isposa, proite su chi est generadu in issa, benit dae s’Ispìritu Santu. Issa at a illierare unu fizu e tue l’as a giamare Gesus. Isse infatis at a salvare su pòpulu sou dae sos pecados suos».

Totu custu fit sutzessu pro fagher abberare su chi fit istadu nadu dae su Segnore pro mesu de su profeta:

Eco, sa Vìrgine at a cuntzepire e at a illierare unu fizu chi at a èssere giamadu Emmanuele, chi cheret nàrrere Deus est cun nois.

E daghi Giuseppe si nd’ischidat dae su sonnu, faghet comente l’aiat ordinadu s’ànghelu de su Segnore:

leat cun isse s’isposa, sa cale, chena chi issu la apat connota, illierat unu fizu, a su cale issu ponet su nòmene de Gesus.

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Sabato 26 novembre Carlo Patatu presenta il suo nuovo libro: SINDACO CONTROVOGLIA

Scritto da carlo moretti

Sabato 26 novembre, alle ore 18:00, Carlo Patatu presenterà nella sala del Consiglio comunale, il suo ultimo lavoro letterario.

Il titolo della sua ultima fatica, “Sindaco controvoglia”, contiene una premessa iniziale di Goffredo Mameli, presidente del Lions Club Castelsardo nell’anno sociale 2010/2011 e contiene nelle sue 96 pagine, circa venti discorsi pubblici che da sindaco Carlo Patatu scrisse e fece, negli anni in cui ha indossato la fascia tricolore, cioè dal ’70 fino al ’75.

Una vicenda politica, vissuta inizialmente controvoglia nel ricoprire la carica di primo cittadino.

Il resto lo scopriremo leggendo il volumetto che l’autore, come accaduto in altre occasioni, consegnerà gratuitamente a tutti i presenti che vorranno intervenire alla manifestazione.

Il programma prevede l’introduzione del Cerimoniere del L.C. Castelsardo, seguito da un intervallo musicale del caro amico Giancarlo Carboni e la sua chitarra classica.

Saluteranno poi il Sindaco Giancarlo Cossu, il Presidente del L.C. Castelsardo Andrea Corso e l’Assessore alla cultura del Comune di Chiaramonti  Marina Manghina. Ancora Giancarlo tornerà con la sua chitarra prima di dare parola agli interventi, che saranno di Gofredo Mameli, Damiano Nieddu e  Salvatore Patatu.

Gli interventi termineranno con il dibattito e le conclusione dell’Autore. La chitarra classica chiuderà definitivamente la manifestazione sempre per mano di Giancarlo Carboni.

Che dire, partecipiamo numerosi alla presentazione del libro: SINDACO CONTROVOGLIA

Cliccando nella locandina in miniatura, sarà possibile visualizzarla in dimensioni reali. Ringrazio per l’invito e per l’ufficialità che stavolta aveva come destinario “Chiaramonti, il Portale delle vostre idee”.

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Studi storici sui dialetti della Sardegna Settentrionale di Mauro Maxia – Premessa e Capitolo 1

Scritto da carlo moretti

Premessa

Gli studi sulle varietà dialettali della Sardegna settentrionale non hanno, fino ad oggi, attratto in modo particolare l’interesse degli studiosi. Dopo il primo trentennio del Novecento, durante il quale un’accesa discussione impegnò gli specialisti sulla loro collocazione, i linguisti sembrano essersi disinteressati di questo ambito disciplinare.

Ai dialetti che passano sotto i nomi di «gallurese» e «sassarese» e alle loro sottovarietà finora si sono accostati sporadicamente cultori e appassionati che, in varia misura, hanno cercato di colmare questa evidente lacuna della linguistica italiana e sarda.

La causa principale di tale stato di cose va individuata in un duplice ordine di motivazioni. La prima è rappresentata dal fatto che questi dialetti non rientrano a pieno titolo nel sistema sardo e, d’altro canto, anche volendoli attribuire tout-court al sistema italiano, essi costituiscono, rispetto allo stesso toscano, una remota appendice poco conosciuta.

L’altra è rappresentata dalla notevole importanza che la lingua sarda riveste nel contesto degli studi romanzi. Gli studi relativi al sardo, infatti, hanno catalizzato l’interesse di gran parte dei maggiori linguisti del Novecento. La convergenza delle due concause ha finito, appunto, col mortificare gli studi e le conoscenze sui dialetti sardocòrsi, definizione che, forse meglio di altre, può compendiare il sottosistema linguistico rappresentato dal sassarese e dal gallurese.

I saggi qui riuniti costituiscono dei lavori preparatori in funzione di uno studio più vasto che ambisce a tracciare le linee storiche e a definire il quadro culturale entro cui i due dialetti si radicarono in Sardegna. La lettura dei singoli articoli può rivelarsi utile per un primo inquadramento di tematiche che, nonostante la loro importanza, erano passate inosservate o quasi. È il caso, per esempio, della documentazione del còrso in Sardegna.

Eppure la sua vigenza nel settentrione sardo era apprezzabile in vari documenti che vanno dal Trecento al Cinquecento. Numerose interferenze di carattere fonetico, morfo-sintattico e lessicale emergono perfino in alcuni importanti documenti logudoresi trecenteschi come gli Statuti di Sassari e Castelsardo. Questo stato di cose risalta, poi, in modo vistoso nel Codice di San Pietro di Sorres.

Al ristagno degli studi occorrerà porre rimedio, iniziando a restituire alle due macrovarietà sardo-còrse l’ambiente sociale entro il quale presero le mosse. Si potrà osservare, fra l’altro, quanto siano discutibili le teorie che danno per scontato un diretto influsso toscano-genovese.

La compenetrazione fra l’elemento sardo e quello còrso fu talmente profonda da dare vita non soltanto al sassarese e al gallurese ma a quelle particolari sottovarietà del logudorese che in modo riduttivo vengono solitamente unificate sotto l’unica denominazione di «logudorese settentrionale».

I saggi che vengono qui presentati forse potrebbero dare l’impressione di una raccolta non sempre coesa. In realtà tutti gli articoli – compresi quelli che prendono in esame aspetti di antroponimia e toponomastica – hanno una stretta attinenza col tema di fondo, che è rappresentato dal quadro storico all’interno del quale si collocano i singoli argomenti trattati. La medesima linea caratterizzerà un volume di prossima edizione in cui saranno trattate alcune tematiche fra le quali, in particolare, quella relativa ai cognomi sardi di origine corsa. Attenzione sarà riservata anche all’influsso esercitato sul corso da parte del sardo e delle lingue iberiche (catalano e castigliano) durante i quattro secoli della dominazione spagnola.

La sintesi in cui verranno convogliati i singoli contributi terrà conto di tutte queste problematiche nel contesto di un quadro coerente ed esaustivo, naturalmente nei limiti consentiti dalla documentazione finora disponibile.

La scelta di divulgare questi studi non su riviste specialistiche ma attraverso un volume va nella direzione di rendere possibile la consultazione a un numero più elevato di lettori, oltre che al segmento rappresentato dagli studiosi e dai cultori. Tutto ciò può contribuire, come si auspica, a stimolare l’interesse e la discussione sulle tematiche che vengono proposte.

Ringrazio la Studium A.d.f. e l’amico prof. Angelino Tedde per avermi offerto questa opportunità.

L’occasione è propizia per rivolgere un ringraziamento ai proff. Massimo Pittau e Giulio Paulis per gli ambiti suggerimenti di cui mi hanno gratificato.

Sassari, dicembre 1999

L’Autore

Capitolo 1

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Hapo su sole in su coro di Giovanni Maria Dettori

Scritto da carlo moretti

Giovanni Maria Dettori di Siligo (XX secolo)

Fu Parroco di Chiaramonti dal 1951 al 1983, era scrittore e modernissimo interprete di poesie in logudorese.

Ha collaborato alla rivista S’Ischiglia, scritto su Libertà e La Nuova Sardegna. Molteplici e notevoli i riconoscimenti al Premio di poesia Città di Ozieri: la segnalazione per ben quattro anni consecutivi, dal 1960 al 1963;  il premio speciale Medaglione dell’Accademia de “I 500” di Roma alla nona edizione, nel 1964; la menzione d’onore nel 1966 e la menzione speciale d’onore nel 1967.

Hapo su sole in su coro

Est già interinende;
ma deo
hapo su sole in su coro…

Mi lu naran
sas campanas de Codinas,
boghes de dolore
in su mare de olia
chi palpitat de prata.

Hapo su sole in su coro…

Mi lu narat s’istella,
oju de chelu amorosu
subra sas penas umanas.

Avanzende est sa notte
e istudat
s’ultimu fi lu de lughe;
ma deo
hapo su sole in su coro…

Hapo su sole in su coro…

Manzanu, dae su monte,
had’a torrare s’albore.
Had’a torrare s’albore,
tantu pius bellu e caldu
cantu pius longa
e marigosa
had’a esser sa notte.

Had’aggiungher su sole sou
a su sole meu!…

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I dieci mondi (seconda parte) – di Domenico Perinu

Scritto da ztaramonte

Nei primi sei mondi basiamo la nostra felicità,quindi la nostra stessa identità su elementi esterni. I due stati successivi: Studio e Illuminazione parziale emergono quando ci rendiamo conto che tutto ciò che sperimentiamo nei sei sentieri è fugace, quindi iniziamo a cercare una verità duratura.
Questi due stati, più i due successivi complessivamente vengono definiti i quattro mondi nobili. A differenza dei sei sentieri,che sono reazioni passive all’ambiente,questi quattro stati più  elevati vengono ottenuti attraverso uno sforzo intenzionale.

Studio.

In questo stato, cerchiamo la verità attraverso gli insegnamenti o le esperienze degli altri.

Illuminazione parziale.  (o Realizzazione)

Questo stato è simile allo studio, tranne per il fatto che cerchiamo la verità non attraverso  gli insegnamenti di altri, ma attraverso la nostra stessa percezione diretta del mondo.

Studio e Illuminazione parziale sono chiamati “I due veicoli”. Avendo compreso la fugacità delle cose, le persone in questi stati hanno conquistato un livello di indipendenza e non sono prigionieri delle proprie reazioni, come invece nei sei sentieri. Spesso però, tendono a sentirsi superiori alle persone legate ai sei sentieri che non hanno ancora raggiunto questo livello di comprensione. In più la loro ricerca della verità è principalmente orientata verso se stessi, quindi c’è un grande potenziale di egoismo in questi due stati e le persone possono raggiungere una soddisfazione con i loro progressi senza scoprire il potenziale più alto della vita umana nel nono e decimo mondo.

Apostolato.

Gli apostoli sono coloro che aspirano ad ottenere il decimo mondo e nel contempo sono altrettanto determinate a mettere tutti gli altri esseri in grado di fare la stessa cosa. Consapevoli dei legami che ci uniscono a tutti gli altri, in questo stato ci rendiamo conto che qualunque felicità proviamo da soli è incompleta e ci dedichiamo ad alleviare le sofferenze degli altri.

Chi si trova in questo stato trova la maggiore soddisfazione in un comportamento altruistico.Gli stati dall’Inferno all’Apostolato sono complessivamente chiamati “I nove mondi”. Questa espressione viene spesso usata in contrapposizione al decimo mondo.

Illuminazione. (o Buddità)

L’illuminazione è uno stato dinamico difficile da descrivere. Possiamo parzialmente descriverlo come uno stato di libertà perfetta, in cui siamo illuminati alla verità ultima della vita.  É caratterizzato da una compassione infinita e da una saggezza sconfinata. In questo stato, possiamo trasformare armoniosamente ciò che dal punto di vista dei nove mondi appare come una contraddizione insolubile.

P.s.

Nel buddismo di Nichiren Daishonin i dieci mondi sono invece considerati condizioni vitali che tutte le persone potenzialmente possono sperimentare. In qualunque momento, uno dei dieci mondi si manifesterà e gli altri nove saranno latenti, ma costante rimane la potenziale di un cambiamento. Questo principio viene espresso anche come mutuo possesso dei dieci mondi, secondo cui ognuno dei dieci mondi possiede in se tutti gli altri. Ad esempio,una persona che si trova nella condizione di Inferno può, un attimo dopo, rimanere all’Inferno oppure manifestare uno qualunque degli altri stati. L’implicazione fondamentale di questo principio è che tutte le persone hanno il costante potenziale di manifestare L’Illuminazione.

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Il marchio della Protòme Taurina – II. La maledizione dei Nuragici di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

II. La maledizione dei Nuragici

Secondo sos archeologos de su Cabu de Susu, in Anglona, e in primo luogo  a Miramonti, il mistero del passato era facilmente riscontrabile scavando dentro e fuori dai Nuraghi, costruzioni ciclopiche a tronco di cono in trachite colorata che andava dal grigio al rossastro e raramente al bianco come i balzi rocciosi rimasti sfregiati dopo tante costruzioni. Certo, secondo le ipotesi più accreditate questi nuraghi dovevano un tempo essere arredati di scale e camminamenti in legno di cui non era rimasta più traccia. Si scoprono presso questi resti ciclopici bronzetti di guerrieri e di oranti,  navicelle con marinaio dell’epoca del bronzo, anfore, lance e spade, spesso causa di morte per gli scopritori. Una mistura di oggetti che lasciano intendere tribù primitive che avevano giocato alla guerra e che come tutti i popoli antichi mischiavano perfettamente segni sacri e profani, oggetti di culto e depositi di armi e dei loro simboli.

Il ritrovamento di questi oggetti di bronzo spesso portavano male: i pastori lo sapevano, ma altri ignari, credendo d’aver trovato un tesoro da contrabbandare, erano finiti male. Si raccontava che alcuni fossero scomparsi in voragini apertesi all’improvviso, mentre attraversavano vaste tanche d’asfodelo con i bronzetti nelle bisacce, altri fossero precipitati in immense forre presso i cui costoni dove camminavano per richiamare qualche pecora, altri fossero morti bruciati, svegli o addormentati, nelle pinnette presso cui avevano nascosto i misteriosi tesori.

Il grande archeologo Giuanne Ispanu, prima di raccoglierli e portarli nel suo grande museo di Càlleri, li sottoponeva ad esorcismi, a benedizioni con l’acqua santa, a veri battesimi di olio e acqua santa, le cui ampolle,  non mancavano mai nella sua bisaccia. I suoi allievi lo sapevano e conoscevano anche le formule di esorcismo e di benedizione, tuttavia spesso ricoprivano la terra dove li rinvenivano, lasciando che questi simulacri di un popolo defunto, continuassero a riposare in pace con i loro proprietari.

C’erano archeologi, venuti da fuori, che non conoscevano i riti e con leggerezza li mettevano in bisaccia per portarli via. Costoro non avevano tempo d’imbarcarsi, perché qualche voragine li  inghiottiva chiudendosi misteriosamente su di  loro.

-Il mistero del passato va lasciato  in pace.- Sussurravano i pastori.

- Questi oggetti dei morti antichi sembrano stregati.- Mormoravano le donne parlandone nei lavatoi dei paesi dell’Anglona ad ogni annuncio di morte.

- Sarebbe come togliere il pasto agli affamati, a portar via quei bronzetti, quelle anfore, quelle navicelle mortuarie- Aggiungeva  sentenzioso il vicario.

- Anima mia libera. Sant’Antonio abate. Santa Giusta e  santa Enedina, pregate per noi- Esclamavano le pie sorelle della Vergine del Rosario a sentire questi racconti e altrettanto ripetevano i confratelli della Santa Croce.

Sos archeologos dell’Anglona, da soli o in compagnia, prima di andare a tastare palmo a palmo il territorio si procuravano una boccetta d’acqua santa e d’olio benedetto , un rosario e almeno tre piccoli crocefissi con le consuete formule tramandate loro da Giuanne Ispanu che li aveva ammoniti spesso dicendo:

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