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Concorso fotografico e grafico/pittorico indetto dal Gruppo XXL

Scritto da carlo moretti

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Il Gruppo XXL in collaborazione con l’Istituto Comprensivo “Pais Serra” di Nulvi, con il Comune di Chiaramonti, la Pro Loco Chiaramonti e la Provincia di Sassari, organizza due concorsi, il primo fotografico, intitolato  “click … Natura e paesaggi dell’Anglona” suddiviso in due fasce di età: 1ª fascia fino ai 14 anni e 2ª fascia dai 15 anni in poi e partecipazione gratuita.

Il secondo concorso grafico/pittorico per bambini, intitolato “Insieme per l’Ambiente – Guardiamoci intorno”, è riservato a tutti i bambini e alunni della scuola primaria e secondaria di 1° grado di Nulvi, Chiaramonti e Martis.

Il termine della consegna degli elaborati sarà il 30 aprile 2011.

Di seguito è possibile visualizzare i regolamenti dei concorsi:

Le premiazioni avverranno il 21 Maggio durante il concerto che si terrà in piazza Della Costituzione.

Altre informazioni potranno essere reperibili nel sito del Gruppo XXL: www.gruppoxxl.it

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Le maschere del Carnevale

Scritto da carlo moretti

La storia delle maschere ha origini molto lontane. Sin dal paleolitico superiore l’uomo utilizzava maschere rituali durante riti tribali, magici e religiosi, per permettere a stregoni e sciamani di contrastare gli spiriti maligni.

Ancora oggi in Africa e in Oceania esistono tribù che utilizzano maschere propiziatorie.
Alcune tribù della Papua Nuova Guinea costruiscono enormi maschere destinate a non essere mai indossate, che vengono semplicemente tenute appese nelle capanne per tenere lontani gli spiriti maligni.
I Dogon del Mali ritengono che ogni volta che un uomo muore, il suo spirito vada a vivere in una maschera della sua famiglia o del suo villaggio.
Oltre alle maschere rituali alcune tribù utilizzano anche maschere da guerra.
Esse hanno il compito di incutere timore all’avversario e perciò devono avere un aspetto terribile!
Oltre ad indossare una maschera il guerriero si dipinge anche il corpo, per assomigliare il più possibile ad uno spirito cattivo o a un mostro.

I “mud man” o “uomini fango” della Papua Nuova Guinea sono un esempio perfetto di questa usanza. Durante gli attacchi contro tribù nemiche indossavano una pesante maschera fatta di fango e si ricoprivano tutto il corpo dello stesso materiale, che asciugandosi dava loro uno spettrale colore grigio chiaro.

La consuetudine di utilizzare cammuffamenti durante le cerimonie religiose esisteva anticamente anche presso i Greci.
Grazie al contributo di alcuni grandissimi scrittori, queste rappresentazioni religiose si trasformarono gradualmente in rappresentazioni teatrali.
A questi antichi attori le maschere greche offrivano diversi vantaggi. Grazie alle maschere un attore poteva sostenere diverse parti; inoltre gli attori maschi potevano sostenere parti femminili, dato che alle donne non era permesso di recitare nei teatri.
I lineamenti della maschera erano adatti al personaggio che l’attore doveva rappresentare: in questo modo si aiutava lo spettatore a distinguere i personaggi e a capire meglio la trama.
Infine la maschera era più grande della faccia dell’attore e in questo modo riusciva ad amplificare la sua voce.

Nel Medioevo si diffuse in tutta Europa l’uso di fare grandi e festosi cortei mascherati, che percorrevano le vie delle città. Durante il Carnevale medievale l’uso del travestimento permetteva di abbattere le barriere sociali della ricchezza e del rango: in questo periodo dell’anno il ricco, mascherato da povero, poteva permettersi certi comportamenti non concessigli nella vita quotidiana ed il povero, travestito naturalmente da ricco, poteva accedere a luoghi di solito proibiti ed avvicinare persone inaccessibili.
La città in cui più si diffuse questo modo di festeggiare il Carnevale fu Venezia. Maschere e travestimenti venivano utilizzati per festeggiare ogni occasione, come l’elezione del Doge, l’arrivo di un ambasciatore o una vittoria in battaglia.
Le maschere, oltre a rincorrersi per le tortuose calli, potevano esibirsi sui palchi o sfilare in Piazza San Marco, sotto gli sguardi di un pubblico esigente e critico, seduto su poltroncine o panche sistemate per l’occasione.
Assieme a giocolieri, burattinai, mangiatori di fuoco, c’erano maschere di tutti i generi: turchi, arabi, demoni, streghe, animali.
La Bauta, la tipica maschera veneziana, si diffuse nel ‘700. E’ una mantellina o cappuccio di merletto, pizzo o reticolo che copre la testa e le spalle. Sul viso si usa una mascherina di seta, velluto, tela o cartone e in testa un tricorno (cappello a tre punte) nero.
Infine occorre un mantello in seta o panno nero o rosso e a scelta ornato con galloni e nastri.
La Bauta non doveva essere troppo particolare o personalizzata, perchè deveva garantire l’anonimato.

Verso la fine del XVI secolo, in Italia si diffuse la “Commedia dell’arte”, che utilizzava le maschere italiane, cioè personaggi che ricomparivano in ogni commedia con lo stesso nome, lo stesso costume, lo stesso trucco o maschera, lo stesso linguaggio e soprattutto lo stesso carattere.
Questi personaggi, come Arlecchino, Pantalone, Colombina, il Dottor Balanzone, Pulcinella divennero famosi in tutta Europa.
Il declino del teatro delle maschere iniziò nel XVIII secolo, quando autori come Carlo Goldoni abolirono le loro avventure grottesche e ridimensionarono il loro ruolo, riducendole a figure di contorno.
Scomparse col tempo dalle scene dei teatri, le maschere sono sopravvissute soltanto nelle feste e nelle mascherate di Carnevale.
Ogni anno fanno la comparsa molte maschere nuove e fantasiose accanto alle loro antenate e tutte insieme hanno, come tanto tempo fa, lo stesso scopo: garantire allegria.

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Ricordati domenica scorsa quattro minatori morti nelle miniere d’oro a Pestarena di Macugnaga. Tre di loro erano sardi.

Scritto da carlo moretti

Si è celebrato domenica scorsa, il cinquantesimo anniversario dell’incidente accaduto il 13 febbraio del 1961, nelle miniere d’oro di Pestarena in Valle Anzasca, provincia del Verbano Cusio Ossola a quattro minatori che persero la vita in un’esplosione mentre preparavano nelle viscere del Monte Rosa le cariche che avrebbe consentito l’avvanzare dei cunicoli sotterranei. I minatori erano un Bergamasco, Giovanni Offredi nato a Taleggio (BG) il 31.12.1908 e tre sardi, Salvatore Puddu nato a Seui (NU) il 29.01.1940, Antonio Argiolas nato a Villanovatulo (CA) il 04.07.1937 e Vito Utzeri nato a Muravera (CA) il 13.12.1902.

Negli anni bellici della Seconda Guerra Mondiale, le miniere di Pestarena garantirono a molti uomini l’esonero della chiamata alle armi, in cambio del lavoro nelle viscere del Monte Rosa. Dopo la fine della Grande Guerra e prima del boom economico di quegli anni, il lavoro nelle miniere d’oro della Valle Anzasca attirava numerosi lavoratori da diverse regioni d’Italia. Sono lunghe le liste dei cavatori, Veneti, Siciliani, Piemontesi e Sardi. Tutti lasciavano terra natia e affetti, per cercare pane e lavoro, così anche molti minatori del Sulcis-Iglesiente, furono costretti ad emigrare perchè le miniere di carbone in Sardegna chiudevano.

Pestarena arrivò a contare molte centinaia di lavoratori, tanti si erano portati dietro anche la famiglia, altri se la sono fatta nel posto. Era un centro industriale di prim’ordine. Un paese dove oltre al pane si assaporava la polvere della miniera, altro flagello che ha quasi cancellato una generazione di uomini che non superavano i 40 anni per via della silicosi. Tutta gente umile e spesso povera. Onesti lavoratori arrivati lassu e catapultati nella pancia del Monte Rosa.

L’incidente del 13 febbraio 1961 fù il pretesto definitivo per l’Ammi, Azienda Statale che faceva capo al Ministero dell’Industria e al Ministero delle partecipazioni statali, per chiudere le miniere d’oro di Pestarena, decretando la disperazione di molte famiglie che di colpo si ritrovarono senza lavoro. Eppure, vecchi minatori e i carotaggi effettuati durante gli ultimi anni di apertura da parte di tecnici sudafricani, affermarono che l’oro c’è ancora ed è in quantità rilevante, ma è giù nelle profondità della terra dove il paese affonda le sue radici.

Cinquant’anni dopo l’incidente, per “non dimenticare Pestarena” l’Associazione “Figli della miniera” ha organizzato una giornata in memoria dei minatori deceduti nell’incidente al Ribasso Morghen di Campioli. Alle 14:30, il parroco don Maurizio Medali ha celebrato la Santa Messa animata dal “Coro de Tzaramonte“, poi dopo una breve preghiera nel “cimitero del ricordo“, nella piazza si è officiata la benedizione e lo scoprimento di una targa commemorativa, alla presenza di Giovanna Boldini, sindaco di Macugnaga, Livio Tabachi, sindaco di Ceppo Morelli e l’On. Valter Zanetta.

Al pomeriggio commemorativo hanno partecipato il Coro de Tzaramonte, eseguendo durante la funzione religiosa i canti tradizionali e successivamente nella piazza alcuni canti di repertorio tradizionale sardo, omaggio ai caduti in miniera voluto dal presidente del circolo sardo “Costantino Nivola” di Domodossola.  Ha presenziato alla cerimonia anche la Banda Musicale di Ceppo Morelli.

Nel link seguente è possibile vedere un documentario che riporta come veniva eseguita l’estrazione delle piriti aurifere e dell’oro di Pestarena:

http://www.vcoazzurranews.tv/index.php?option=com_hwdvideoshare&task=viewvideo&Itemid=669&video_id=341

Per dovere di cronaca voglio anche trascrivere la bella poesia scritta dal poeta Valerio B. Cantamessi eclusivamente per i “figli della miniera” per Pestarena e la sua gente:

Il canto della Madre Terra (Pestarena)

Madre,
quel triste tuo canto
sorvola gli immobili abeti
avvolge e ghermisce ogni cosa
rimbomba oltre i picchi del Rosa
quassù, tra i compagni quieti
sui visi trafitti dal pianto

scolora le lacrime asciutte
condanna la vita stroncata
trafigge la persa fortuna.
Appesi alle falci di luna
guardiamo la valle dorata,
noi vite che furon distrutte

noi visi anneriti, la schiena
piegata, contorra alla terrra
violata da mani spezzate
non pace, non voli di fate
coi picchi e le pale la guerra
facemmo alla tua Pestanera.

Ma Madre,
nel buio silente
se mai tu potrai perdonare
l’averti in profondo trafitta
se infine alla nostra sconfitta
vorrai con dolcezza ridare
l’orgoglio dell’umile gente

allora le note contorte
del canto che avvolge ogni cosa
saranno armonia della vita
chèmai noi ti abbiamo tradita
ma ancor tra le braccia del Rosa
cantiamo il tuo canto di morte.

Valerio B. Cantamessi

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Presupposti allo studio del carnevale sardo (1956) di Francesco Alziator

Scritto da carlo moretti

Dal punto di vista del nome del carnevale l’isola ci appare divisa – la divisione è naturalmente assai approssimativa – in cinque zone:

1) quella vastissima del Carnovali, che comprende tutta la parte meridionale, s’arresta intorno ai confini dell’Ogliastra, del Sarcidano ed agli estremi limiti dell’Arborea nella zona delle grandi lagune oristanesi;

2) la piccola zona orientale del Maimone accentrata nell’Ogliastra;

3) quella centrale, di non maggiore estensione, del Coli-coli della Barbagia;

4) quella occidentale, più vasta, del Carrasegare che dal Mandrolisai sale alla Campeda;

5) quella di grandissima estensione di Giorgio che dalle prime propaggini del Meilogu sale per tutto il resto dell’Isola, tutto abbracciando dal mare di Bosa alla Gallura, dalla Nurra al Logudoro e diffondendosi per pianori, valli, montagne e lidi.

Sono estremamente palesi le origini dei nomi Carnevale e Carrasegare, né alcun dubbio che il sostantivo Maimone significhi un essere demoniaco. Oscura, almeno per ora, appare l’etimologia di Coli-coli, né son del tutto chiare le ragioni del nome Giorgio. E’ assai probabile tuttavia che esso abbia origini bizantine e si ricolleghi al culto del santo guerriero la cui tomba, sulla via di Gerusalemme, era particolarmente venerata sin dal periodo nel quale l’Isola era sotto l’impero d’Oriente.

Ricorderemo che anche in Corinzia compare, tra gli Slavi di quella regione, un «verde Giorgio», un ragazzo rivestito di fronde che, in occasione della festività del Santo (23 Aprile), vien buttato in acqua per propiziare le piogge. Particolare della massima importanza e che, assai spesso, il «verde Giorgio» è un fantoccio che al momento del lancio in acqua sostituisce il giovane.

Aggiungerò che a Villanova-Monteleone ed altrove, in provincia di Sassari, Giolgi muore annegato.

Vi sono poi alcuni paesi che non si allineano con gli altri nella denominazione del fantoccio. Barumini lo chiama Papi Pata; Isili usava s’urdi de s’antrecoru; a Desulo è detto Zidicosu; a Mamoiada Mardis Sero, espressione assai chiara in quanto vale sera del martedì, cioè del martedì di Carnevale, e Dorgali ha Radjolu, parente stretto del Lardajolu cagliaritano e campidanese (giobia de Lardajolu = giovedì grasso).

Il processo e la condanna a morte sono variamente eseguiti, anzi, per essere esatti, diremo che il processo resiste sempre meno al volgere degli anni e così avviene del testamento del moribondo, mentre diffusissima e tenace è l’esecuzione della sentenza di morte del Carnevale che tuttora sopravvive nella stessa capitale sarda. Al rogo che è l’esecuzione più comune s’aggiungono talvolta i petardi, celati dentro il fantoccio. Inutile ricordare che i petardi sono sempre gli eredi di più antiche forme di allontanamento degli spiriti.

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Seconda giornata di ritorno ed il Chiaramonti batte l’Atl. Muros per due reti a zero.

Scritto da carlo moretti

Una guida della classifica tutta anglonese, quella che vede Erula e Chiaramonti capoliste del girone M in terza categoria. Dopo aver guadagnato terreno nel campo del Mara Calcio, vincendo per una rete a zero e chiudendo in pareggio lo scontro con il Sorres, i nostri ragazzi hanno riguadagnato i vertici della classifica a pari punti con l’Erula.

Non c’era modo migliore per avviare il girone di ritorno, un pareggio fuori casa e punteggio pieno in casa ieri con l’Atletico Muros.

Il prossimo turno con il Benetutti nel loro campo.

Sale in coro il solito incitamento:

FORZA RAGAZZI!!! FORZA CHIARAMONTI!!!

Per i dettagli rimando la vostra lettura al sito ufficiale:

www.scchiaramonti.it

Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:

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Medaglia d’Oro al Merito Civile al Finanziere chiaramontese Gavino Tolis scomparso durante l’ultimo conflitto mondiale.

Scritto da carlo moretti

Giovedì 3 febbraio alle ore 11:00 presso la sala consiliare in via Brigata Sassari,  cioè domani, il Comune di Chiaramonti riceverà per mano del Comando provinciale della Guardia di Finanza, la Medaglia d’Oro al Merito Civile del quale è stato insignito uno degli Eroi chiaramontesi della seconda guerra mondiale. È un fatto straordinario che la medaglia venga consegnata al Comune di nascita, in quanto a Chiaramonti non ci sono discendenti diretti del Tolis. Motivo di orgoglio in più, è sapere anche, che nel Corpo della Guardia di Finanza, solo cinque sono stati riconosciuti ufficialmente e uno di questi è proprio Gavino Tolis nostro compaesano.

Per il ricordo della sua memoria e per conoscere meglio il nostro Eroe, pubblichiamo di seguito quanto estratto dal sito istituzionale della GdF.

Ricerche storiche e biografia realizzate dal Capitano Gerardo Severino

Il Finanziere Giovanni Gavino Tolis nacque a Chiaramonti (Sassari) il 4 febbraio 1919, figlio di Francesco e di Maria Piga. Dopo aver conseguito il Diploma di 5^ Elementare, esercitò per alcuni anni il mestiere di agricoltore, finché il 5 dicembre 1938, non ancora ventenne, si arruolò nella Regia Guardia di Finanza.

Dopo aver frequentato il corso allievi finanzieri presso la Scuola Alpina di Predazzo, il 1° giugno 1939 fu assegnato al Circolo di Como, alla Brigata di frontiera di Chiasso Internazionale, operante direttamente in territorio elvetico, uno dei reparti che, dopo l’8 settembre 1943, si distinsero maggiormente sia in favore del movimento resistenziale che di quanti cercavano di fuggire ai tedeschi espatriando clandestinamente in Svizzera.

Il Tolis, oltre a trasportare lettere e messaggi riservati da o per la Svizzera per le organizzazioni partigiane e lo stesso C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), favorì soprattutto il materiale espatrio in territorio elvetico dei profughi ebrei e dei perseguitati, che tentavano la fuga dai rastrellamenti tedeschi.

Nell’aprile del 1944, il Fin. Tolis fu posto sotto sorveglianza dal Comando della Polizia Confinaria Germanica, finché, come risulta dai verbali dell’epoca: «Verso le ore 13 del 24 aprile u.s., il TOLIS, in servizio al posto fisso “Dietro Dogana” veniva scorto all’atto di far passare un involtino oltre la rete metallica di confine». I due incaricati della sorveglianza, recatisi sul posto, «trovarono una donna, identificata in seguito per la nominata PANZICA Giuseppina, apparentemente affaccendata nel suo prato attiguo alla rete di protezione». Fu successivamente eseguita una perquisizione domiciliare presso l’abitazione della signora Panzica, giungendo: «[...] al rinvenimento di una lettera indirizzata a tale Oscar Orefice di Lugano (Svizzera), nella quale si accennava a persone di razza ebraica che avrebbero transitato clandestinamente la frontiera».

Nel pomeriggio del 25 aprile 1944, il Comando delle SS di Cernobbio, richiese la consegna, oltre che della valuta e dei documenti sequestrati, anche del Tolis e della Panzica, che il mese dopo furono tradotti presso il Carcere di San Vittore, a Milano.

Il Fin. Tolis, quindi, transitò prima per il Campo di Concentramento di Fossoli, poi per il Lager di Bolzano, venendo, infine, destinato al Campo di Sterminio di Mauthausen, in Austria. La signora Panzica, invece, lasciò Milano il 20 settembre per giungere come ultima destinazione nel famigerato campo di sterminio di Ravensbrück, al quale per fortuna sopravvisse, rientrando in Italia nell’ottobre 1945.

Il venticinquenne finanziere Giovanni Gavino Tolis morì quindi il 28 dicembre 1944 nel campo denominato Mauthausen-Gusen, a causa dei maltrattamenti a cui era stato sottoposto e per le privazioni di ogni genere che aveva subito, e la sua salma venne bruciata nel forno crematorio. Nel febbraio del 1947, presso la Chiesa Parrocchiale di Monte Olimpino (Como), così come riportò il giornale «Il Monitore del Finanziere» del 10 febbraio, a suffragio dell’eroico finanziere si celebrò una messa solenne, nel corso della quale venne evidenziata l’attività di tramite che il Tolis assicurò in favore degli «italiani rifugiati in Svizzera ed i parenti rimasti in angustia nell’Italia occupata dai tedeschi».

Alla memoria dell’eroico finanziere è stata concessa, con D.P.R. in data 17 giugno 2010, la Medaglia d’Oro al Merito Civile con la seguente motivazione:
«Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale contribuì alla lotta di liberazione con l’attività di postino delle organizzazioni partigiane e, con eccezionale coraggio, si prodigò in favore dei profughi ebrei e dei perseguitati politici, aiutandoli ad espatriare clandestinamente nella vicina Svizzera. Arrestato dalle autorità tedesche fu infine trasferito in un campo di concentramento austriaco, dove perse la giovane vita. Mirabile esempio di umana solidarietà e di altissima dignità morale, spinte fino all’estremo sacrificio».
1943/1944 – Mauthausen – Gusen (Austria)

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Sos corros de su chervu – Le corna del cervo

Scritto da carlo moretti

Tratto dal libro: “Contos chena tempus” di Pinuccio Canu.

Sos corros de su chervu

Tucheit unu chervu a s’abbadorzu

e in cuss’abba totu s’ispijeit:

banteit sa carena cun su corzu,

sos pes romasos pagu pertzieit.

“Sos corros apo a bantu e meraviza,

pomposos, bellos longos che moniles.

Mi mudant e mi deghent a sa chiza

ma tropu lanzos tenzo sos archiles”.

Ma, tot’in unu, intendet sos apeddos

de cos”e canes meda arrajulidos:

fiagant suta ‘e tupas e rueddos

ca sunt a mata bòida inganidos.

Su chervu si che fuit cun profetu

cun cuddos pes lizeris murrunzados

ma non che faghet mancu meda tretu

ca restat cun sos corros trobojados.

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